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Norma Rangeri
Nichi Vendola: «Si è aperto un varco»
14 Maggio 2011
Articoli del 2011
Intervista a un politico forte, leader di un partito debole. il manifesto, 14 maggio 2011

L'unico vero contenuto di questa campagna elettorale sembra essere l'infamia della destra. È mancata un'idea di sinistra. Hai girato tutta l'Italia, che idea ti sei fatto? Che cosa hai trovato?

Intanto che l'operazione della destra è scientifica, non è uno scivolamento sulle provocazioni, sulle battute, sulle diffamazioni o sulle piccole fisiologiche infamità di una campagna elettorale. C'è il disegno di cancellare le questioni reali di un paese che è oppresso da una sofferenza sociale veramente drammatica: portare l'Italia dalla dimensione della realtà nella dimensione della propaganda.

Questa è la tecnica delle campagne elettorali berlusconiane.

Sì. Dall'altro però negli eccessi di questa specifica campagna elettorale si intravede anche una significativa inquietudine, la percezione che il popolo del centrodestra non è totalmente mobilitato, che ci sono crepe significative nel sistema di consenso del berlusconismo. Questo sforzo della macchina del fango è davvero emblematico: è aperta la possibilità di espugnare la capitale del berlusconismo.

Ma la sinistra che cosa ha messo in campo in questa campagna elettorale?

Intanto le primarie. Hanno rappresentato la fine di una stagione depressiva. Pensa a come si immaginava di andare e come invece si sta andando concretamente alla vicenda del comune di Milano. Le primarie sono state la selezione di personalità della società milanese che hanno portato un valore aggiunto straordinario e poi nel processo di partecipazione democratica è accaduto un fatto non irrilevante: si è per la prima volta illuminata la scena del malgoverno della destra. E come se noi non avessimo avuto il coraggio di nominare questo oggetto scabroso che è la Milano degradata e sporca, la Milano che si cimenta come un pezzo di Calabria con le vicende dell'Expo, la Milano rinchiusa nelle proprie nevrosi e nei propri affarismi. Ci accorgiamo che non è più la grande capitale euromediterranea della modernità e dell'innovazione.

Questo è il contenuto più forte che è venuto nella campagna elettorale?

Il centrosinistra ha a disposizione la propria mobilitazione locale e la capacità di mettere a fuoco i danni sociali del governo in carica. Non ha prodotto quella spinta necessaria che potrebbe venire dalla costruzione di un'agenda comune, di un cantiere comune del centro sinistra, nazionalmente questo non c'è. La destra italiana gioca la sua partita soprattutto nelle quattro città fondamentali Torino, Milano, Bologna e Napoli. Il centrosinistra gioca quattro partite differenti da cui ciascuno potrà desumere un significato generale.

A proposito di partite differenti: a Reggio Calabria il candidato di Rifondazione è sostenuto dal Pd ma Sel invece sta con l'Idv, e a Napoli sostiene Morcone contro De Magistris.

Noi, le forze di centrosinistra, ci presentiamo a ranghi sparsi in dinamiche contrapposte e questo è un male ma è una derivazione del problema principale che ti dicevo prima, perché ovviamente se manca un programma ed una regia generale è chiaro che sul terreno locale talvolta si ha la sensazione del liberi tutti, no? Per me che sono il leader di una formazione molto giovane e molto segnata dalle spinte della partecipazione e della rivendicazione di un modello democratico, non c'è (sia nella mia volontà che nella mia possibilità) una gestione giacobina delle vicende locali, tant'è vero che nella partita più difficile che è quella napoletana alla fine il mio suggerimento è stato di passare per una consultazione di tutti gli iscritti, anche perché io ho considerato un errore drammatico esibire lì, nel luogo in cui il centrosinistra aveva cumulato tanti errori e tante sconfitte e tuttavia nel luogo in cui aveva bisogno di provare a risalire la china, ritrovarsi divisi.

Tu hai lanciato «un'opa» sul Pd sostenendo che o si ristruttura tutto il campo progressista o si resta perennemente all'opposizione. Questa opzione è ancora in campo come scelta strategica?

C'è bisogno di un nuovo centrosinistra e vorrei specificare che cosa significa l'aggettivo nuovo in questo caso. C'è bisogno di non mettere in campo un modello di relazione tra quella che abbiamo chiamato anima radicale e quella che è l'anima riformista, tra le componenti antagoniste e le componenti moderate di una coalizione di centrosinistra. Non c'è invece bisogno di costruire la coalizione come un procedimento di somma algebrica.

Per quello parlavo di ristrutturazione del campo.

Perché poi quello che si riproduce è sempre una contesa in cui prevale l'elemento del posizionamento simbolico, ideologico. Siccome penso che siamo tutti quanti spiazzati e sconfitti, credo che abbiamo bisogno molto di portare il confronto interno sul merito delle cose. Per questo dico: aprire il cantiere significa ciascuno portando le proprie esperienze, la propria sensibilità alla costruzione di un'idea dell'Italia, alla costruzione di un'analisi tendenzialmente omogenea sulle ragioni della crisi. Questa crisi non è una qualunque crisi, ha dentro di sé oltre a una dimensione economico finanziaria e una dirompente dimensione sociale, una proiezione direi antropologica. E' una crisi dell'idea medesima dell'Italia, della sua capacità di stare assieme, di riconoscersi in elementi identitari, in un'idea civile, in una narrazione civile. Dobbiamo entrare nel merito di una ricerca che riguarda il lavoro e i suoi diritti, la formazione e il futuro delle giovani generazioni, l'ecologia come nome nuovo dell'economia. Rimescolare molto le carte, non secondo il trionfo del tatticismo o dell'alleanzismo legato al bisogno di guadagnare consenso. Abbiamo bisogno di proporre una grande alleanza all'Italia migliore che è stata umiliata negli anni di questa Italia peggiore che ci governa.

Tu sei stato l'unico politico a parlare della politica come di una narrazione, capacità di comunicare i sentimenti, delle idee. La parola narrazione è diventata un luogo comune. A questa parola quale cosa corrisponde? Tu, Di Pietro e Grillo siete tre leader senza partito.

A questo campo di forze vorrei esporre un problema: la politica oggi può essere una idea semplificata della realtà, può essere una fuga dalla complessità o non dobbiamo invece riconnettere la politica alle domande della vita e a una forte dimensione culturale, anche ricostruendo l'alternativa come vocabolario dell'alternativa? Da parte di molti di noi talvolta la prevalenza invece della ricerca di una scorciatoia, di un abbrivio linguistico e culturale, come una bestemmia cambierà il mondo, una bestemmia vi seppellirà, non è così. Abbiamo bisogno di sapere esattamente quali sono i marchingegni della riproduzione, per esempio, del consenso a questa destra in Europa. L'educazione alla complessità per me è un punto decisivo del campo di chi vuole cambiare questa società e per questo però a volte tra di noi, penso a Grillo, prevale un elemento microconflittuale, non solo ma prevale anche un linguaggio.....

Hai aspramente polemizzato con il linguaggio di Grillo che ti aveva citato alludendo alla tua omosessualità. Lo stesso Grillo che ha difficoltà a scegliere tra Pisapia e Moratti. È questo l'inizio o è la fine?

L'antipolitica finisce in un politicismo miope. Perché anche l'antipolitica è una politica. Mi pare che Berlusconi sia il campione di una politica che si è strutturata perfino come disprezzo delle procedure tipiche della politica dentro una democrazia matura.

Grillo aggressivo nei confronti della sinistra e anche sessista...

Gliel'ho detto, ma senza animosità. Da parte mia c'è la ricerca di un colloquio, di un dialogo, di una spiegazione. Sono troppo angosciato dall'integralismo, sempre nemico dell'umanità. La politica è anche mediazione, ascolto di voci differenti, costruzione di punti di equilibrio. Fuori da questo, i gruppi sono sette che si credono depositi di verità con la lettere maiuscola.

I moralisti in mutande sono ora infatuati del bel libro di Franco Cassano, «L'umiltà del male». Lo contrappongono ai moralisti e agli aristocratici della sinistra, ai puritani che vorrebbero questa oscenità della democrazia nel rispetto delle regole.

Giù le mani da Franco Cassano. Il suo è un pensiero vivo, non banale, non convenzionale di una sinistra che si interroga, che non cova sogni revanscisti e non si struttura sulle proprie frustrazioni, ma va in mare aperto, guarda il moto delle onde, si chiede che succede intorno a noi. Franco ha avuto l'acutezza di sollevare il problema dell'immoralismo di questa classe dirigente che si è strutturata come un linguaggio pubblico che ha perfino voluto riscattare, come se fosse una buona cosa quella debolezza della borghesia italiana, quell'incapacità di essere classe generale, portatrice di un disegno generale di trasformazione. E' una tara storica della vicenda nazionale italiana. A questo immoralismo che occhieggia i vizi che qualcuno intravede nei costumi più sedimentati del popolo nostro, rispondere con un moralismo petulante e talvolta livoroso, non produce né un effetto di decostruzione del consenso altrui, né la contaminazione di una nuova etica pubblica. Per questo c'è bisogno che a sinistra torni ad agire l'ago e il filo che cuce nella stessa tela diritti di libertà, diritti umani e diritti sociali.

Nella tua campagna elettorale hai molto insistito proprio sulla libertà come responsabilità.

Sì, perché noi dobbiamo contestare la riedizione della nozione della libertà in chiave berlusconiana. Loro quando immaginano la privatizzazione della costa italiana probabilmente stanno dando una proiezione a quella idea di libertà. Quando si sente dire, in alcune aree della cosiddetta Padania, «padroni in casa nostra», siamo alla libertà patrimoniale predatoria.La libertà, lo dico con timore, dello stupro; se ci pensi un attimo, è la libertà elaborata da un genere onnipotente proprietario, mentre la libertà dei moderni si è strutturata in riferimento alla questione della miseria e dell'ignoranza come emancipazione dalla miseria e dall'ignoranza Nella combinazione tra libertà dalla miseria e libertà dall'ignoranza c'è davvero libertà dalla paura. Invece loro costruiscono una libertà tutta interna al paradigma della paura.

Vendola ha appena finito un consiglio d'amministrazione di un istituto di ricerca scientifica che si chiama Ipres. Ha passato una mattinata con il sottosegretario Roccella per la battaglia per l'allattamento al seno. Ora sta andando a fare chiusure di campagne elettorali a Bisceglie e Barletta. E oggi per lui è ancora campagna elettorale in Sicilia dove si vota tra una settimana. Hai la stessa passione dell'inizio o questa Italia sfasciata ti ha fiaccato?

L'ho detto anche in qualcuno dei comizi: ho sempre vissuto con felicità la politica ma da qualche anno è come una ferita; non ne posso fare a meno perché è il senso della mia vita, però sento un dolore molto grande perché sempre di più la politica è galleggiamento dentro la mucillagine, è il negoziato con le lobby, con le corporazioni. Tu vedi un paese spappolato e l'annuncio di una politica che non arriva mai. Hai di fronte la battuta che noi leaders di sinistra puzziamo, che le donne di sinistra sono racchie e hai la sensazione che a tutto questo bisognerebbe contrapporre davvero una mobilitazione forte, un grande cantiere, una grande agenda. E invece ho il dolore di non sapere ancora se stiamo costruendo un vero percorso di alternativa.

I referendum, per i temi che propongono e per la forma diretta del voto, possono rappresentare la nuova agenda?

I referendum non pongono solo tre temi decisivi: il no al nucleare, l'acqua come bene comune e l'uguaglianza di fronte alla legge. Disegnano uno scenario nuovo. Immagina la coalizione del lavoro (lo sciopero generale) e la coalizione dei beni comuni: eccolo il nuovo cantiere del centrosinistra. Berlusconi è stata la dissipazione

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