Il manifesto, 11 febbraio 2014
Sarà anche «fumo, soltanto fumo», come scrive, con toni di fredda irritazione, il presidente Napolitano nella lettera di risposta inviata ieri al Corriere della Sera. Ma è un fumo denso con un effetto forte e diretto sul braccio di ferro in corso per il cambio della guardia a palazzo Chigi. Un fumo che accresce il senso di soffocamento per la condizione di estrema opacità che avvolge i palazzi romani alla vigilia dell’iter parlamentare di una riforma istituzionale e di una nuova legge elettorale.
Nonostante a monte del botta e risposta tra via Solferino e il Quirinale ci sia solo un lungo articolo del giornalista Alan Friedman che ripercorre i passaggi cruciali del 2011, quando Berlusconi fu dimissionato e Monti promosso da professore della Bocconi a senatore a vita e presidente del consiglio, tuttavia aver rievocato quel momento di estrema fibrillazione politica è bastato a far soffiare sul debole fuoco dell’impeachment, acceso dal Movimento5Stelle, anche gli uomini di Forza Italia. In fin dei conti, i berlusconiani sono gli unici a poter rivendicare di aver sostenuto la strumentalità del passaggio di consegne tra il Berlusconi decadente (anche se all’epoca non ancora decaduto) e il Monti astro nascente di un rinascimento italiano evaporato nello spazio di qualche mese. Gli unici anche se poi si acconciarono a votare il governo Monti.
Tutti gli altri attori di quell’eccezionale momento politico-istituzionale, compreso il Corriere che oggi ne rievoca i momenti salienti come si trattasse di un clamoroso scoop, accolsero quella scelta del Capo dello Stato, sul filo della Costituzione e della democrazia parlamentare, come una salutare iniziativa. Additando chi ne stigmatizzava la rottura con la prassi democratica di un passaggio elettorale, come irriducibile guastatore, come incurabile oppositore di un traghettamento indolore al post-berlusconismo.
Solo che adesso, quando siamo a un altro snodo politico-istituzionale, a un’altra manovra di palazzo nel passaggio di consegne tra un Letta uscente e un Renzi entrante, quando assistiamo a un massiccio spostamento di poteri (da Confindustria in giù) contro l’attuale presidente del consiglio, il Quirinale si ritrova arbitro della partita, di nuovo chiamato a evitare la consultazione elettorale per manovrare una virtuale crisi di governo. Con l’aggravante di aver già stressato l’assetto istituzionale con un raddoppio del settennato, e di essere dentro una mischia politica con una procedura di impeachment che comunque potrebbe arrivare a un voto parlamentare. E non si vede quale diavolo potrebbe fornirgli il coperchio giusto per chiudere il vaso di pandora della politica italiana.