Il Fatto Quotidiano, 15 febbraio 2014
Cosa c’è di male a far sfilare alcuni Masai agli Uffizi in occasione di una sfilata di moda, si chiede Caterina Soffici. C’è di male che il tema di quella sfilata era il “neocolonialismo”, e che ai ricchi bianchi fasciati da lini chiari seguivano i selvaggi in costumi tradizionali, portati a Firenze come bestie da serraglio. Alla faccia della diversity! Qualunque direttore di museo americano ci avrebbe rimesso il posto.
I musei, in Italia, hanno a che fare con la conoscenza e l’educazione (lo dice l’articolo 9 della Costituzione), e con il pieno sviluppo della persona umana (art. 3). Nell’età del totalitarismo ideologico neoliberista per cui tutto è merce, e nell’Italia di Matteo Renzi, Oscar Farinetti e Marco Goldin sembrerà strano: ma è per questo che i musei sono mantenuti (anche se a stento) con il denaro delle tasse di tutti, e non quello di chi ci fa le serate cafonal.
Ma – si obietta – in America e in Inghilterra nei musei si banchetta eccome. Il Victoria and Albert di Londra – scrive Soffici – la sera si trasforma in “un circo Barnum”.
Prima risposta: non lo fa per sopravvivere, lo fa per libera scelta e con regole precise; da noi ci sia arrangia svendendo i gioielli di famiglia a prezzi da ribasso, e in condizioni rischiose. Seconda risposta: i musei italiani sono diversi, perché non nascono quasi mai come tali, ma sono in luoghi storici delicatissimi, inadatti a simili carnevalate. Terza risposta: non è un caso che abbiamo l’articolo 9, da noi l’arte è per tradizione inclusiva e non esclusiva; quello che conta è il tessuto diffuso e la sua funzione civile, difficilmente compatibile con l’esclusività del lusso.
Quarta risposta: anche là esiste un dibattito assai acceso.