Siamo certi che i celebrati musei stile Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry facciano davvero rifiorire le città? Siamo certi che servano per il marketing urbano, il turismo e la crescita? Contro la retorica dell' «effetto Bilbao» diffusa in gran parte del mondo, retorica che sta portando le città a competere nel collezionare architetture spettacolari, è uscito un libro di Davide Ponzini e Michele Nastasi "Starchitecture. Scene, attori e spettacoli nelle città contemporanee" (Allemandi, pp. 146, 30). Ponzini è un ricercatore dell'area urbanistica che ha studiato a lungo le ricadute di queste architetture in chiave economica e sociale ed è intervenuto in recenti convegni internazionali al termine dei quali, riporta la pubblicistica straniera, persino importanti fondazioni sono state indotte a riflettere su alcune aperture di musei futuri. In alternativa all'insistente celebrazione mediatica di ogni architettura nichilista dell'iperconsumo — che comunque rappresenta e rispecchia i nostri tempi — gli autori propongono una lettura critica delle molteplici implicazioni urbane di edifici, piani e progetti per le varie Bilbao, Abu Dhabi, Parigi e New York. L'architettura, infatti, non è solo un linguaggio e, tantomeno, un «evento». E uno dei temi che si è sottovalutato è la rapida obsolescenza architettonica e mediatica di queste gioiose macchine da guerra messe in scena in città non sempre appropriate. Per dirne una — e forse è una buona notizia — appare incerto il destino dell'approvato nuovo Museo di arte contemporanea di Milano firmato da Daniel Libeskind. Fu vera gloria?