Il manifesto, 23 giugno 2015
La costruzione della grande muraglia cinese fu iniziata nel 700 a. C. per concludersi nel 206 a.C. per volere dello zar Qin Shi Huang. Serviva a difendersi dalle incursioni dei popoli confinanti, soprattutto dai mongoli. Ma non risultò molto efficace — anche se misurava 6.350 metri, si trovava sempre un punto valicabile e non coperto. In piccolo fu nei secoli imitata da molte fortezze e castelli sempre per impedire l’entrata ai non desiderati o ai nemici. Dopo la seconda guerra mondiale un muro venne eretto a Berlino per separare le due Germanie. Fu abbattuto con grande giubilo il 9 novembre del 1989 e la Germania tornò ad essere di nuovo una sola.
Oggi l’Europa sta erigendo nuovi muri. L’Europa comunitaria, l’unica che si ritiene degna di portare questo nome. Altri paesi — per lo più quelli formatisi dopo la dissoluzione della Jugoslavia, eccezion fatta per la Slovenia e la Croazia, — non sono più «Europa», sono un continente nuovo ancora senza nome.
Tra poco anche la Grecia, la culla democratica di tutti gli altri, il paese dove la democrazia è nata mentre nei paesi oggi «sviluppati» gli uomini vivevano ancora sugli alberi, non sara più «Europa», con buona pace del Fondo monetario internazionale.
Anche la grande Russia sembra non essere più Europa – il muro verso di lei sono le sanzioni – che danneggiano più noi che i russi – e la Nato che la circonda da tutte le parti approfittando dell’ospitalità dei paesi «vendicatori». (Ricordiamoci il terrore quando la marina sovietica si era avvicinata alle coste di Cuba!).
L’Ungheria, un paese di estrema destra, chiede che si costruisca un muro tra il suo confine e quello della Serbia. L’esempio sono i muri in Texas verso il Messico, quelli a Belfast ovest che dividono i cattolici dai protestanti, di Nicosia, i turchi dai greci e soprattutto il muro che Israele ha eretto a Ramallah per separare i territori palestinesi dai «propri». Muri che servono a difenderci dagli «infetti» che noi abbiamo contaminato. Sono di Belgrado, ma vivo da italiana in Italia da quasi cinquant’anni. Ho militato in un partito che oggi non esiste più (il Pci), sono stata l’interprete anche di Enrico Berlnguer. Ho cercato di diffondere la cultura del mio paese (allora la Jugoslavia) traducendo le opere degli scrittori più importanti. Avendo parenti in tutte le regioni delle ex repubbliche, sono etnicamente «sporca» come si direbbe oggi. Ma sono contenta, il mio mondo è il Mondo anche se le radici contano.
I grandi paesi come la Francia e l’Inghilterra (per non parlare degli Stati Uniti e del disastro provocato negli anni recenti in Iraq, Libia ecc.) non vogliono la nuova ondata degli immigrati dopo aver sfruttato fino all’osso le colonie. Al confine di Ventimiglia arrivano centinaia di stranieri al giorno: sono sbarcati con le loro misere cose in Italia (purtroppo la sua geografia lo permette) ma vogliono andare oltre; spesso hanno già i parenti in altri paesi europei con i quali si vorrebbero congiungere.
Nel periodo dei bombardamenti «umanitari» della Serbia per raggiungere la famiglia che viveva a Belgrado, si andava a Budapest e poi con un pullman sgangherato si proseguiva per la capitale. Al confine i finanzieri non erano proprio gentili, spesso si doveva dar loro qualcosa per essere lasciati in pace. Dicevano: «Avete vissuto bene sotto Tito, ora siete voi ad avere bisogno!».
Asotthalom è una cittadina ungherese al confine con la Serbia. È qui soprattutto che si assiepano immigrati da diversi paesi africani e asiatici in fuga dalle guerre e dalla miseria. Qualche contadino ungherese porge loro un bicchier d’acqua e un po’ di pane. Sono esausti sotto il sole di giugno dopo aver fatto migliaia di chilometri a piedi e negli scafi strapagati dove hanno visto morire i propri compagni. Cimitero azzurro è il poema del serbo Milutin Bojic dedicato ai caduti serbi nel Mediterraneo nella prima guerra mondiale. Il sindaco dice che la cittadina ha 4.000 abitanti e che da qui hanno transitato 40 mila illegali. Arrivano in Serbia dall’Albania e dal Kosovo e poi capiscono che non c’è molto da aspettarsi da un paese già povero. E ora sono qui a cercare di andare oltre, oltre e ancora oltre. Spesso non sapendo nemmeno dove, per riprendere anche un briciolo della vita che hanno perduto.
Sono stati abbattuti i muri dei campi di concentramento e internamento, ci siamo tutti sentiti più uomini. Ma i nuovi muri ci riportano indietro. Capisco anche la gente che ha paura dell’«altro»: rubano, puzzano, sono violenti. Ma dopo giorni e settimane senza mangiare, noi saremmo diversi? Ora che l’unico di sinistra sembra essere papa Francesco, che ci richiama a scoprire un po’ di umanità in noi, come convincere i grandi ad aiutare i «piccoli» che spesso non considerano nemmeno umani? Una scrittrice croata molto polemica (Vedrana Rudan) profetizza che un giorno guardaremo i bambini americani star male e non ci dispiacerà dopo aver visto i volti dei bambini palestinesi, siriani, ivoriani, nigeriani… Certo, un mondo così ingiusto dovrà esplodere. E allora si dovrà ricominciare. Putroppo non sarò in grado di dare il mio contributo.
* scrittrice e traduttrice, ha tradotto in italiano tutte le opere di Ivo Andric