Quale perversa ironia della storia è oggi all'opera perché Venezia muoia! Tutto ciò che nella sua storia è stato primato, la supremazia>>>
Quale perversa ironia della storia è oggi all'opera perché Venezia muoia! Tutto ciò che nella sua storia è stato primato, la supremazia nei commerci, la genialità delle sue edificazioni, la sua bellezza senza uguali, la minacciano ormai apertamente di estinzione. E il colmo dell'ironia è racchiuso nel fatto che, a differenza di pressoché tutte le altre città del mondo, Venezia, sin da quando esiste è stata dominata da un costante, quotidiano, imperativo: salvarsi. Venezia ha convissuto infatti per secoli con la minaccia della sua distruzione. Chi la minacciava? Le tempeste periodiche dell'Adriatico che di tanto in tanto la colpivano. Ma il pericolo maggiore veniva essenzialmente dalla stesse potenti forze che l'avevano fatta nascere. La città è infatti un'isola - o meglio un insieme di isolotti poi collegati dai tanti ponti oggi calcati da torme di turisti - all'interno di una vasta laguna di circa 550 Km2. Un mare interno che per secoli è stato porto naturale, luogo di pesca, via di transito e di mobilità urbana.
La condizione in cui versa oggi Venezia è stata più volte denunciata. E corre qui l'obbligo di ricordare almeno un importante testo, uscito da un piccolo editore, Corte del Fontego, Venezia è una città (2009), di Franco Mancuso, con la prefazione di Francesco Erbani. Fondamentale per capire come è stata costruita Venezia, ma anche per le analisi circostanziate sui vuoti che si stanno creando, in città e nelle isole, e sulle possibilità di nuove forme di utilizzo e di vivificazione umana e culturale dei suoi spazi. Una nuova vita può rifiorire a Venezia, se la politica torna ad essere progetto sociale, urbanesimo: vale a dire abitazione degli spazi secondo le direttive di bisogni collettivi.
Il saggio di Settis ha il merito di non fermarsi all' analisi del gioiello lagunare.Venezia è un laboratorio che ci mostra quel che sta accadendo ai nostri centri urbani e quale destino li attende se non verranno governati da una cultura coerente con la loro storia: quella storia che in Italia ha visto fiorire – esempio senza pari in Europa e nel mondo – le nostre “cento città”. E pagine intense Settis scrive sul senso profondo delle nostre creazioni urbane. Esse, ricorda, non sono solo le mura, gli edifici, le piazze, le strade, ma hanno anche un'anima. E l'anima non è solo i «suoi abitanti, donne e uomini, ma anche una viva tessitura di racconti e di storie, di memorie e di principi, di linguaggi e desideri, di istituzioni e progetti che hanno determinato la forma attuale e che guideranno il suo sviluppo futuro. Una città senz'anima, di sole mura, sarebbe morto peso e funebre scenario, come dopo una bomba al neutrone che abbia distrutto ogni forma di vita, lasciando intatti gli edifizi a uso di un conquistatore che arriverà». Riprendendo una metafora di Italo Calvino Settis parla di una “città invisibile”, che vive e anima quella visibile delle pietre.
Ma Venezia è anche un significativo pretesto per denunciare una tendenza che imperversa nel resto d'Italia e del mondo. Non si tratta solo di prendere atto che «La città degli uomini, o “a misura d'uomo” ha ceduto il passo a una macchina produttiva di merci e di consumi». Ma occorre cogliere e combattere la modernità fasulla che avanza, quella tendenza dispiegata che potremmo chiamare la separazione tra architettura e urbanistica, il distacco esibizionistico della singola costruzione, che non ubbidisce ai bisogni, anche estetici di una comunità – come è avvenuto per secoli nelle nostre città - ma è frutto di una invenzione affaristica. Una china culturale incarnata perfettamente nella corsa ai grattacieli, anche quando nessun incremento di popolazione o altra necessità li reclama. «La retorica delle altezze, che trapianta nell'architettura e nella città la competitività dei mercati finanziari».
Merito di questo pamphlet di Settis è infine di aver chiarito che cosa deve significare conservazione e tutela. Questa è tutt'altro che imbalsamazione del passato, come vorrebbero far credere tanti progressisti fautori del “nuovo”, purché sia nuovo. «Il paradosso della conservazione – ricorda – è che nulla si conserva mai né mai si tramanda se resta immobile e stagnante. Anche la tradizione è un continuo rinnovarsi … la memoria storica delle nostre città non richiede la stasi, esige il movimento. Non predica l'imbalsamazione, esalta la vita». La tutela si fa nel flusso della storia che avanza e perciò necessita di cultura, equilibrio, creatività, progetto che interpreti i bisogni collettivi e legga in profondità le tendenze dell'epoca.