Il Fatto Quotidiano, 11 febbraio 2015
C’è chi ha riso, molto, anche senza terremoto. C’è chi ha brindato, molto, a ogni inaugurazione, anche se farlocca. C’è chi ha ottenuto favori, passaggi di carriera, pacche sulle spalle, “ritroviamoci presto”, invece di pagare per le proprie inefficienze volontarie o meno. Tutto questo all’ombra dei Mondiali di calcio di Italia 90, la vetrina del Paese, il “nostro biglietto da visita”, come recitavano dal comitato organizzatore, la chance “per pubblicizzarci all’estero e portare turismo”, insistevano. Il risultato è stato, ed è ancora, una voragine di costi spropositati, moltiplicati in ogni cantiere, come un G8 alla Maddalena, ma alla decima potenza, e sotto la guida, il carisma, il sorriso fiero di Luca Cordero di Montezemolo, che oggi (o al massimo domani) sarà nominato a capo del comitato per le Olimpiadi a Roma del 2024.
Se c'è in'immagine in grado di racchiudere tutta la vicenda dei Mondiali di Italia 90, è quella della stazione della metropolitana di Farneto, a Roma: un binario morto, vetri rotti, telecamere divelte, ingressi sbarrati, bottiglie vuote di birra per terra e graffiti sui muri. Insomma, l’emblema della stazione-fantasma aperta allora solo per il passaggio di 12 convogli e poi chiusa, per sempre, “in quanto il collegamento ferroviario – secondo le FS – usato a pieno regime non avrebbe offerto sufficienti garanzie di sicurezza”, per il rischio-crolli sotto la galleria. Il costo? Appena 82 miliardi di lire per realizzare il duo Farneto-Vigna Clara, pure quest’ultima mai aperta, poi subito abbandonata, quindi utilizzata solo per feste private, mercatini, altre iniziative occasionali.
Ma su Roma torneremo. Nella lista della spesa fu inserita la realizzazione di due nuovi impianti calcistici: il Delle Alpi di Torino e il San Nicola di Bari, Matarrese patron. Per la costruzione del primo il rialzo fu di oltre il 200 per cento rispetto alla cifra iniziale, inaugurato venti giorni prima dell’inizio del Mondiale, solo pochi mesi dopo non risulta agibile per il derby tra Juventus e Torino a causa della neve impossibile da spalare. Non va molto meglio in Puglia: il vento si porta via la copertura di Teflon. Altre città, altri casi: i lavori allo stadio di Bologna costano il 90 per cento in più e quelli all’Olimpico di Roma il 181 per cento oltre il previsto (235 miliardi di lire, la cifra finale); a Firenze il rifacimento dell’Artemio Franchi sarebbe dovuto costare 66,5 miliardi, ma quando viene consegnato il prezzo è lievitato a 87,3 miliardi, inoltre, i lavori per la costruzione del parcheggio e dell’area intorno all’impianto proseguiranno per anni, con altri costi a sorpresa. Alla fine i miliardi sono 111. Quando Montezemolo arriva sui cantieri fiorentini, viene contestato da manifestanti che lo accolgono con lo slogan: “Mondiale uguale morte”, vista la frequenza degli incidenti tra gli operai, l’agenzia Ansa li chiamerà esplicitamente “vittime degli stadi”. In tutto, alla fine, saranno 24.
Non solo stadi. Anche le altre infrastrutture offrono il loro “contributo”, come l’hotel Mundial, tra Milano e Ponte Lambro, mai terminato e infine demolito. Il costo? Dieci miliardi di lire. Già nel 1991 è il settimanale Il Mondo a proporre una stima parziale, e registra: a Milano si sono buttati 160 miliardi, a Torino 187, a Genova 81, a Verona 44 per la sala stampa, altri 4,2 per un campo di pre-riscaldamento, per tre parcheggi 7,6 miliardi, altri 19 per una strada d’accesso a quattro corsie. E all’epoca l’Hellas, squadra principale della città, aveva in media diecimila spettatori. E infine di nuovo Roma: l’Air Terminal Ostiense, 350 miliardi di lire il costo, chiuso nel 2003 perché inadeguato allo scopo. Oggi c’è uno degli Eataly di Oscar Farinetti.
In attesa della nomina di Montezemolo, il leader della Lega Nord, Matteo Salvini, ironizza: «Con lui, sicuro le Olimpiadi si faranno altrove». Ragione o meno, bisogna però riconoscere a Luca Cordero di aver ricoperto in quegli anni, e in pieno, il ruolo di uomo immagine: gli italiani, dopo averlo visto ovunque, fotografato e ripreso, vincente con il cellulare in mano, decisero di far diventare il nostro Paese tra i primi mercati al mondo di telefonia. Peccato che la “bolletta” ci è costata molto cara...