L´ultimo allarme giunge dalla Spagna. Lo lancia il ministro dell´Ambiente del governo Zapatero, Cristina Narbona. Nel periodo fra il 1987 e il 2005 la superficie occupata da costruzioni è cresciuta del 40 per cento. È un fenomeno «insostenibile e irresponsabile», denuncia il ministro. Le punte di questa «urbanizzazione selvaggia» (sono sempre parole di Cristina Narbona) sono nella regione di Valencia e della Murcia, dove si è superato il 50 per cento di aumento. Le coste della regione andalusa, poi, sono integralmente edificate in una fascia di un chilometro dalla battigia per il 34 per cento del totale. «Il trend è continuo ed ormai è senza controllo», continua Cristina Narbona. Una sola regione ha posto un freno, la Catalogna, che ha varato una rigida legislazione per impedire che altro suolo venga consumato.
Il caso spagnolo è ben noto a Richard Burdett, cinquant´anni, i primi venti dei quali trascorsi a Roma (suo padre era il corrispondente della rete tv Cbs) e poi a Londra, dove ora insegna Architettura e Urbanistica alla London School of Economics oltre ad essere fra i consulenti del sindaco Livingstone, Ken "il rosso", come lo chiamano per il suo radicalismo. Burdett è il nuovo direttore della Biennale Architettura di Venezia che quest´anno (vedi il programma nel box qui accanto) si concentra non su singoli oggetti, sul manufatto di questa o di quell´altra "archistar", ma sulla città, anzi sulle megalopoli, mettendo a confronto le esperienze urbane di sedici grandi concentrazioni, da Shangai, Mumbai e Tokyo, in Asia, a Caracas, Città del Messico e Bogotà in Sudamerica; da Johannesburg in Africa al Cairo e a Istanbul nell´area del Mediterraneo, fino alle europee Londra, Barcellona e Berlino in Europa e all´immensa conurbazione che va realizzandosi fra Milano e Torino.
Burdett è specialista degli effetti sociali dell´architettura. Si rigira per le mani le mappe delle sedici città e si sofferma sui colori intensi, quelli che indicano i luoghi in cui vivono i più poveri in una scala che va verso il tenue dei quartieri residenziali. I problemi che l´attraggono sono come tenere legati i diversi pezzi di una città, come distribuire le reti del trasporto pubblico. Sostiene di essere interessato a come realizzare i marciapiedi piuttosto che al Guggenheim di Bilbao, «che pure è un bellissimo oggetto». E aggiunge: «Nella nostra veste di architetti, urbanisti e creatori di città, quando creiamo un´infrastruttura dobbiamo sapere che questa può consentire integrazione sociale o, al contrario, può essere fonte di esclusione e di dominio».
La città che si espande, che oltrepassa i suoi confini, che consuma altro suolo e invade il territorio circostante è un modello che valica i continenti. Spiega Burdett: «Se osserviamo la terra dallo spazio durante la notte, vediamo enormi chiazze e cordoni di luce che rispecchiano da vicino le mappe globali dell´estensione urbana. Per esempio l´Europa è percorsa da un fitto nastro luminoso che si sta consolidando nel cuore del continente, dall´Inghilterra meridionale fino a tutta l´Italia settentrionale. Ma lo stesso fenomeno si osserva in ampie zone degli Stati Uniti o del Giappone oppure, ed è l´avvenimento più recente, nell´Asia meridionale e lungo le coste della Cina, dove si prevede che nell´arco di un paio di decenni si concentrerà quasi metà della popolazione urbana mondiale». È un fenomeno che può avere effetti distruttivi, se non controllato. Ma è anche l´occasione perché si sperimentino nuove forme di governo, affidate soprattutto alla mano pubblica. Su questo Burdett ha pochi dubbi. La London School of Economics è il tempio della terza via che sulle politiche urbane declina il suo verbo con molto mercato e molte, moltissime regole.
Moltissime regole sono indispensabili essendo questa "città dispersa" una città soprattutto privata... «Tutte le città, all´ottanta, novanta per cento, sono private, sia nel centro di Londra che nei barrios del Cairo, dove chi ha costruito abusivamente un palazzo di dodici piani lo lascia in eredità ai suoi figli, e ai figli dei figli e quel palazzo diventa poi perfettamente legale. Ma la politica pubblica deve essere molto autorevole e molto chiara. Ken Livingstone ha autorizzato la Bridge Tower, il nuovo grattacielo di Renzo Piano alto trecento metri a forma di guglia: ma sa quanti posti macchina ha consentito? Dodici. Alla Bridge Tower e nell´area circostante ci si deve arrivare a piedi o con il trasporto pubblico. A Tokyo vivono 35 milioni di abitanti, è la più vasta area metropolitana del mondo, ma il 78 per cento di loro usa abitualmente la metropolitana e non potrebbe fare diversamente». A Los Angeles, invece, domina ancora l´auto privata. Come a Roma, d´altronde, dove circolano quasi ottanta macchine ogni cento abitanti e fra i cento abitanti sono compresi i bambini e gli ultraottantenni.
Secondo le Nazioni Unite, ricorda Burdett, nel 2050 l´indiana Mumbai «si sostituirà a Tokyo nel ruolo di città più grande del mondo». Ma intanto la velocità da capogiro è tangibile nelle vaste conurbazioni cinesi: «Shangai cresce sia in altezza sia in ampiezza e ora conta quasi tremila edifici che hanno più di dieci piani, mentre fino a dieci anni fa ne aveva trecento. Il Comune confida di costruire 280 nuove stazioni di metropolitana». Ma l´immagine del nastro di luce non è brillante allo stesso modo. Immense concentrazioni dilagano nelle regioni centrali e costiere dell´Africa (si calcola che nel 2015 Lagos avrà ogni ora 67 nuovi abitanti), ma questi agglomerati sono il riflesso fisico e spaziale della povertà e della scarsa alfabetizzazione. «In Egitto», racconta Burdett, «nasce un bambino ogni venti secondi e oltre il 60 per cento della popolazione vive in insediamenti con edifici alti anche quattordici piani e appena un metro quadrato di spazi aperti pro-capite. Per questo il nuovo parco al-Azhar, un polmone di verde nel centro storico del Cairo, ha un valore sociale che va molto oltre i meriti estetici del progetto».
Le politiche pubbliche per la città sono, secondo Burdett, la scommessa dei prossimi anni. «L´impatto ambientale delle città è enorme, sia per il crescente peso demografico, sia per la quantità di risorse naturali che consumano», dice l´architetto londinese. Tutti gli aspetti della vita urbana hanno implicazioni per l´intero pianeta, per i suoi equilibri ecologici: dai gas di scarico che emettono le auto in fila per entrare in città, o per uscirvi, all´energia per riscaldare o raffreddare gli edifici. Londra, seguendo l´esempio di Singapore, ha imposto una tassa alle macchine private che entrano in città, riducendo così traffico e inquinamento e destinando soldi al trasporto pubblico e alla creazione di nuovi spazi pubblici, come la grande area pedonale intorno a Trafalgar Square disegnata da Norman Foster. Inoltre, invertendo la deregulation thatcheriana, la capitale inglese ha rinnovato i fasti della pianificazione urbanistica: per ospitare i settecentomila abitanti che si prevede arriveranno entro il 2016 (il novanta per cento dei quali extra-comunitari) non verrà edificato neanche un centimetro quadrato della green belt, la cintura verde che l´avvolge, non ci sarà altro consumo di suolo, ma verranno riusate aree industriali dismesse all´interno della città.
Ma non ci sono solo Londra o Barcellona a investire quattrini nella rinascita delle città. A New York, per esempio, sono stati banditi concorsi internazionali per progettare abitazioni pubbliche a basso costo. Ma agli occhi di Burdett spicca il caso di Bogotà, «un caso esemplare quanto imprevisto di trasformazione urbana in direzione dell´egualitarismo». Nel giro di qualche anno la capitale colombiana ha costruito il Transmilenio, un sistema rapido ed efficiente di trasporto pubblico, oltre a una rete di piste ciclabili e poi parchi e piazze «che hanno cambiato il modo in cui gran parte degli oltre 6 milioni di abitanti si spostano in città, con un impatto straordinario per la qualità della vita e per la riduzione della criminalità». Qualche tempo fa, poi, l´Onu ha indicato San Paolo del Brasile come modello di politiche urbane per gli investimenti nella scuola e nei trasporti, che stanno alleviando le drammatiche condizioni di alcuni barrios. Molti barrios cambiano volto anche a Caracas. Nella capitale del Venezuela, quando piove, i ripidi sentieri sterrati che percorrono questi quartieri disperati salendo ad altezze vertiginose, equivalenti a un palazzo di trenta, ma anche quaranta piani, si trasformano in tragiche colate di fango, che trascinano nella melma cose e persone. Ecco: molti di questi sentieri si stanno trasformando, racconta Burdett, in scalinate. È un´infrastruttura semplice e poco costosa, e se ben progettata, architettonicamente definita, serve a evitare che centinaia di persone muoiano ogni anno per un temporale e serve anche a tenere insieme pezzi di una periferia che pareva senza possibilità di redenzione.