Una chiara illustrazione del merito della sentenza e della portata del giudizio della magistratura. E i primi segnali dei tentativi della
politique politicienne di annullarne le conseguenze politiche. La Repubblica, 2 agosto 2003
Ma Berlusconi, proprio per via della condanna che supera i due anni, e per la legge Severino sulle cause di non candidabilità, non solo non potrà essere eleggibile per sei anni, in base al tetto massimo stabilito, ma il suo stato dovrà essere sottoposto a un voto del Senato, dove è stato eletto. Il decreto legislativo 235 del dicembre2012, all’articolo 3, stabilisce che la sopravvenuta «causa di incandidabilità » comporti un voto del Parlamento. A “salvarlo” potrebbe essere l’indulto di 3 anni del 2006 che riduce la sua pena da 4 anni a uno solo. A questo punto dovrà essere la giunta per le elezioni e autorizzazioni del Senato a dirimere il caso, a stabilire se prevale la «condanna» a quattro anni,oppure la pena effettiva di un anno frutto dello sconto dell’indulto.
Sarà il tormentone dell’estate e dei prossimi mesi. Il presidente di Sel della giunta Dario Stefàno annuncia che intende trattare «subito » la questione. Altrettanto fa il capogruppo Pd, l’ex pm Felice Casson. Già mercoledì prossimo, nella prima seduta utile, si discuterà della questione che si prean-nuncia “calda” tant’è che Pier Ferdinando Casini parla di legge sull’incandidabilità non applicabile proprio per via dell’indulto.
Ma torniamo alla Cassazione, all’aula Brancaccio, dove per tre giorni s’è concentrata l’attenzione dei media di tutto il mondo. Torniamo a quell’attimo di suspense che c’è stato al momento della lettura della sentenza, proprio per via del rinvio a Milano dell’interdizione. Il presidente Antonio Esposito - seduto accanto al relatore Amedeo Franco, ai giudici Claudio D’Isa, Ercole Aprile e Giuseppe De Marzo - legge il dispositivo, conferma la condanna dei coimputati, il produttoreUsa Frank Agrama a 3 anni, l’ex consulente Mediaset Daniele Lorenzano a 3 anni e 8 mesi, e l’ex manager dell’azienda Gabriella Galetto a un anno e 2 mesi e, poi affronta la questione dell’interdizione.Esposito parla di «annullamento con rinvio» e tutti pensano che l’intero processo sia destinato a saltare, rinviato interamente in appello, proprio come gli avvocati del Cavaliere avevano chiesto con forza il giorno prima.
Invece ecco il passaggio successivo, il rinvio riguarda la sola interdizione, proprio come aveva chiesto il sostituto procuratore generale Antonello Mura, toga di Magistratura indipendente, quindi certo non un magistrato “rosso”. Sostenuto dall’intera procura della Cassazione, tant’è che davanti all’aula Brancaccio, per salutarlo, si è fermato mercoledì lo stesso pg Gianfranco Ciani, sottoscrivendo la sua requisitoria, Mura aveva chiesto la piena conferma delle due sentenze di Milano, dissociandosi dal calcolo dell’interdizione. Aveva proposto di ridurla da 5 e 3 anni. Il collegio ha preferito non agire di sua iniziativa, anche se avrebbe potuto farlo,ma rinviare alla corte d’appello. Che, a questo punto, dovrà attendere le motivazioni della sentenza, poi potrà riunirsi e decidere. Berlusconi, a verdetto emesso, potrà di nuovo presentare appello. Una procedura che nel suo insieme, tra motivazioni, nuovo appello e ulteriore ricorso alla Suprema corte, potrebbe anche portare via sei-otto mesi.
Ma eccoci a un bilancio del processo. Vince la procura di Milano, perdono i legali di Berlusconi. Respinti del tutto i 94 motivi di ricorso presentati da Niccolò Ghedini e Franco Coppi che, 90 minuti dopo il verdetto, in una nota congiunta con Piero Longo, l’altro avvocato storico di Berlusconi che in Cassazione ha ceduto il posto alla new entry Coppi, parlano di una sentenza che «lascia sgomenti ». Per loro c’erano «solidissime ragioni e argomenti giuridici per una piena assoluzione». Annunciano che, nelle prossime ore, «valuteranno ogni iniziativa utile, anche nelle sedi europee, per far sì che questa ingiusta sentenza sia radicalmente riformata».
Ghedini e Coppi, quasi presagendo il risultato, snobbavano la lettura della sentenza. In aula c’è la figlia di Coppi, Francesca, ci sono gli avvocati Pisano, Mazzacuva e Dinacci per Agrama, Lorenzano e Galetto. Ma loro, i due protagonisti della difesa, restano a palazzo Grazioli con Berlusconi. L’appassionata difesa del giorno prima è risultata del tutto perdente, non ce l’ha fatta Ghedini, con il suo pesante affondo contro il pg Mura, né tantomeno Coppi, su cui Berlusconi aveva puntato le ultime speranze. Vince la tesi della pubblica accusa per cui Mediaset è stato «un giusto processo» dove non sono stati lesi i diritti della difesa, come lamenta Ghedini.
Soprattutto, dalle carte, emerge in pieno la colpevolezza di Berlusconi, quel suo essere l’ideatore e il regista di un preciso progetto di evasione fiscale realizzato gonfiando i costi nell’acquisto dei diritti tv per evadere le tasse e creare fondi neri, poi spostati sulle società off-shore. Inutilmente Coppi ha sostenuto che Berlusconi, dal ’94, non ha più seguito la vita delle sue aziende. Quindi non può essere colpevole. Se anche lo fosse, dovrebbe rispondere non di un reato, ma di un semplice abuso penalmente irrilevante. All’opposto il collegio ha riconosciuto la sua piena responsabilità e colpevolezza. Nessuna sentenza annullata, come avrebbe preteso Coppi, ma confermata in pieno.