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Bruno Manfellotto
Martini, Conti pensiamoci ora
2 Giugno 2007
Toscana
Si continua a discutere sulla bizzarra politica del territorio della Regione Toscana. L’editoriale del direttore de il Tirreno, 2 giugno 2007, con una postilla

Ho molto apprezzato la disponibilità al confronto manifestata anche in questa occasione da Riccardo Conti e da Claudio Martini (“Il Tirreno” di venerdì 25 e di domenica 27 maggio), e soprattutto il tono dei loro interventi, qua e là comprensibilmente piccato (le critiche non piacciono a nessuno), ma pur sempre pacato e costruttivo.

La scintilla era stato un mio commento pubblicato la domenica precedente: spunto, a mo’ di emblema, un nuovo residence in costruzione sulla spiaggia di Talamone (45 appartamentini), ad appena 140 metri dal mare, e l’accesa discussione che ne era nata con “un importante uomo politico toscano” - Conti, appunto - che io avevo celato dietro un sipario di riservatezza, ma che si è sportivamente auto-svelato su queste pagine; domanda di fondo, che cosa faccia la Regione per evitare ferite edilizie e urbanistiche e come sia possibile limitare e mitigare quelle inferte in passato ma in via di realizzazione oggi.

Del resto, il problema c’è se architetti e amministratori hanno lavorato mesi e mesi per stendere un piano del territorio (il famoso Pit) che dettasse norme più stringenti, prevedendo addirittura la possibilità (articoli 36 e 37) di rivedere la congruità alle nuove regole di progetti depositati o in itinere.

Su molte delle cose dette dal presidente della Regione e dal suo assessore all’urbanistica, concordo pienamente. Ha ragioni da vendere Martini quando afferma, per esempio, che sarebbe sbagliato risolvere la questione dicendo sempre e solo “no” a tutto: l’immobilismo genera degrado. E come dargli torto quando ricorda che costruire poco non basta, ma che occorre farlo bene, secondo standard di qualità alti?

È nel vero anche Conti quando ricorda che la Regione si sta impegnando al massimo in campo urbanistico e che sta producendo uno sforzo legislativo senza precedenti. Da entrambi accolgo poi con soddisfazione l’invito a una grande alleanza tra amministratori, tecnici, mondo della cultura e dell’informazione a tutela del paesaggio: quando con il “Tirreno” denunciamo brutture, o diamo voce alle proteste dei cittadini, o stimoliamo l’amministrazione (forse con argomenti poco tecnici e molto tranchant, com’è nella natura stessa del nostro mestiere, ma sinceri) pensiamo di andare proprio in quella direzione. Però...

Però ci sono alcune cose che vorremmo riproporre ancora, con spirito niente affatto demolitorio. Non è esatto, per esempio, che dieci-venti anni fa nessuno osteggiasse piani e progetti per i quali invece si protesta oggi con sindaci e assessori che li hanno ereditati e che stanno correndo ai ripari con nuovi strumenti urbanistici.

No, la protesta c’era eccome, ma rappresentava la proverbiale “vox clamantis in deserto” perché non c’erano allora né coscienza ambientale diffusa, né amministratori disposti ad ascoltare, né le sensibilità di oggi. Basta parlare con i funzionari di un qualsiasi Comune toscano per averne conferme illuminanti.

In quanto ai comitati di protesta che sorgono qua e là, è sbagliato temerli o demonizzarli. Se si invoca un’alleanza bisogna sapere che l’opinione pubblica è fatta anche di “no” decisi. Certo, la Regione non può governare realtà complesse e variegate dicendo solo “no” come molti comitati vorrebbero, ma è opportuno ascoltarli perché segnalano comunque situazioni di sofferenza.

E poi. È vero che in ogni borgo della Toscana c’è un qualche “lascito plausibile” (come lo chiama Conti) con il quale misurarsi. Rolando Di Vincenzo, assessore all’Urbanistica del Comune di Orbetello, ha rifatto la storia (complessa e contrastata, fatta di promozioni e bocciature) di quello di Talamone (“Il Tirreno” di giovedì) e avrà sicuramente ragione e tutte le carte in regola, e sarà pure legittimo - per carità - che sorga a 140 metri dal mare. Ma la Talamone del 2007 non è quella degli anni Sessanta e nemmeno quella del 1995, e se non si può fare niente per armonizzare 7500 metri cubi (per un residence i 4500 dell’inizio non potevano bastare) con le mutate condizioni locali ci deve essere - insisto - qualcosa che non va nella stessa normativa e negli strumenti di controllo.

Certo, ora c’è ben poco da fare. Una volta rilasciata, una concessione edilizia è pressoché intoccabile, qualche sindaco che ci ha provato è stato smentito prontamente dal Tar e talvolta costretto anche a pagare fior di danni. Ma Conti, Martini, credete davvero che tale indiscutibile dato di fatto basti a placare lo sconcerto se non l’indignazione di un toscano, di un inglese, di un tedesco che passi per Castelfalfi o Talamone, Capalbio o Castagneto Carducci, Monticchiello o l’Abetone?

Eppure è proprio questo il problema sul quale misurarsi oggi. Alberto Asor Rosa aveva provocatoriamente proposto, per esempio, l’istituzione di un fondo nazionale o regionale che servisse a risarcire coloro ai quali venisse bloccato un progetto approvato ma in palese contrasto con le attuali sensibilità in materia di ambiente, paesaggio, inquinamento.

Non so dire se l’idea sia giusta o bislacca, ma certo qualcosa ci si deve inventare perché le amministrazioni comunali si muniscano di regolamenti urbanistici più rigorosi per imporre non certo il blocco, ma almeno la modifica di costruzioni offensive per la storia, la cultura, le tradizioni locali.

Qui si sottolinea solo un’esigenza, non si indica una soluzione tecnica alla quale dovrebbero pensare giuristi e architetti. E si insiste anche per via di un particolare. Il Pit regionale consta di 857 pagine, e forse ce ne sono altrettante di norme accessorie, lettura impegnativa anche per il più ferrato degli avvocati.

Conoscendo tempi e usi della nostra burocrazia, e di quella urbanistica in particolare, occorreranno anni prima che ogni dettaglio sia stato sviscerato e applicato, e ogni tranello aggirato, e ogni scappatoia chiusa. Nel frattempo, che cosa accadrà? E se tra dieci anni dovessimo ritrovarci qui a piangere impotenti su qualche “lascito plausibile”? Forza, pensiamoci ora.

Postilla

Paolo Baldeschi e Alberto Magnaghi avevano proposto l’estensione alla costa di una norma di salvaguardia già prevista dal PIT per le aree collinari e montane ( è qui), ma Conti l’ha violentemente respinta. Del resto, se si teorizza che il “mercato” deve entrare nei processi di piano, non come fenomeno da governare, ma come protagonista, alla pari della mano pubblica (lo afferma spesso Massimo Morisi, ispiratore del PIT ed estensore delle sue più limpide pagine), e se si vede il territorio solo come contenitore di potenzialità di sviluppo (economico, naturalmente), allora è chiaro che la tutela è solo come una fastiidiosa richiesta di chi non capisce nulla.

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