Fu politico e artista: eppure hanno fatto di lui il simbolo della doppiezza
«I l fine giustifica i mezzi». Non sono le idee a muovere la storia, o la muovono solo a certe condizioni: «I profeti armati vinsero, quelli disarmati rovinarono», le idee vincono se hanno o si procurano le armi per vincere. Nella politica si conta se si vince; e si vince usando le arti della volpe (astuzia, simulazione, dissimulazione) e le arti del leone (la forza, l'aperta violenza). I nemici vanno spenti (se si può) o vezzeggiati (se non si può o fin quando non si può eliminarli). Da tutto ciò una massima famosa: «Con l'arte e con l'inganno / si vive mezzo l'anno. / Con l'inganno e con l'arte / si vive l'altra parte».
Questa è solo una piccola antologia dei luoghi comuni correnti su Machiavelli e le sue dottrine. Nessuno gli nega acutezza e profondità di pensiero, ma gli si imputa una sostanziale indifferenza alle ragioni della morale rispetto alla politica, e non parliamo di spirito religioso, poiché ne sono noti il mordace anticlericalismo e la visione della religione come instrumentum regni, strumento della politica anche per le chiese di tutte le religioni.
Perfino nel linguaggio corrente, per dire di un espediente astuto, di un raggiro sottile, si dice che è «un machiavello». E «machiavellismo, machiavellico, machiavelleria» sono termini diffusissimi, e non positivi.
È utile, perciò, ribadire che l'immagine «machiavellica» di Machiavelli riflette poco una personalità e una riflessione fra le più geniali del pensiero europeo. Lo conferma la rilettura delle sue Opere, ora esemplarmente ripubblicate (in tre volumi, edizioni Einaudi-Gallimard, con un ricco e illuminante corredo di introduzioni, note e indici) da Corrado Vivanti.
Naturalmente, se la fama di Machiavelli è quella che è, non può essere tutto e solo effetto di incomprensione o di volontaria adulterazione e diffamazione.
Se ne può, anzi, scorgere la radice nel senso profondo della sua maggiore conquista intellettuale.
Una conquista ardua e aspra, che rivendica alla politica un'autonomia sostanziale e incoercibile rispetto agli altri settori della vita umana e sociale, e in specie rispetto alla morale e alla religione: autonomia di valori e di criteri, di strumenti e di procedure. Era facile, su questa base, vedere in Machiavelli solo esaltazione della ragion di Stato e insensibilità ai valori morali e religiosi. Un vero scialo accusatorio tanto per spiriti etici e religiosi quanto per farisei, gran sacerdoti, zelanti, fanatici e fondamentalisti di tutte le morali e di tutte le religioni.
Non senza qualche ragione, però. Machiavelli dà, infatti, la dovuta evidenza all'autonomia della politica, ma non anche a ciò che lega la politica ad altre esigenze umane e sociali, e che non ne fa un orto chiuso in se stesso, né solo un esercizio da volpi e da leoni. Tuttavia, quella «scoperta della politica» resta una grande liberazione della mente e dello spirito e fa capire più a fondo l'agire umano in società, di cui la politica è una componente-principe. Se lo si dimentica, i risultati non sono buoni. Si ha, tra l'altro, quella ricorrente confusione tra religione e politica, con l'invasione di campo della prima nella seconda, dei cui danni si hanno ieri e oggi tante riprove. A patto, è ovvio, di non farsi poi una religione della politica, con un'invasione di campo di segno opposto, ma di uguale, se non peggiore, danno.
Del resto che di Machiavelli non si potesse fare a meno lo dimostrò la stessa condanna del suo pensiero nell'Europa delle lotte di religione. Dovendo ormai accettarli, si fingeva di prendere da altri (ad esempio, da Tacito) i principi e i modelli di una concezione moderna della politica. Su Machiavelli, invece, riprovazione fierissima. Perfino Federico II di Prussia, un campione della più fredda ragion di Stato, si sentì in dovere di scrivere un Antimachiavel.
E pensare che nel serrato discorso machiavelliano si sono potute ben cogliere note di ingenuità, utopia, perfino provincialismo, oltre che riserve morali, più o meno trasparenti nello smaliziato edificio logico del «puro politico» che vi si costruisce.
Ma Machiavelli ha anche voluto dire Italia, la grande Italia dell'Umanesimo e del Rinascimento. Ne aveva profondamente assorbito la cultura, di cui fu egli stesso un'alta espressione. Dal concludersi della storia dei Comuni e delle Signorie e dal triste destino degli Stati italiani nel momento della verità, ossia nelle guerre europee di allora, la sua nativa intelligenza storica e politica trasse spinte e suggestioni di pensiero decisive, così come, del resto, da tutta l'esperienza europea del tempo. Quell'Italia rinascimentale segnò, peraltro, anche l'origine o il consolidamento dei luoghi comuni più negativi sugli italiani e il loro Paese. Era, quindi, quasi fatale identificare l'Italia come patria di Machiavelli e gli italiani come suoi modelli e allievi.
Una pessima sorte per lui, implacabile analista dei vizi italiani, che aveva auspicato un forte riscatto «nazionale», indicando «le possibilità — nota Vivanti — di un rinnovamento e la forza della riflessione politica ai fini di una profonda rigenerazione morale». E ciò in pagine avvincenti, tali da far credere che rimirarsi un po' di più nello specchio di Machiavelli farebbe agli italiani un gran bene.
Pagine memorabili anche per le virtù di scrittore che fanno di lui uno dei vertici della prosa italiana: con poco di tradizione classicheggiante, una prosa asciutta, nervosa, dal periodare breve ed essenziale, moderna anche nelle immagini e metafore, nell'analisi psicologica problematica e inquietante con cui legge l'uomo e le sue parti nelle tragedie e commedie del mondo (e per la vita quotidiana, oltre che per la grande storia: la sua Mandragola èla cosa migliore del teatro italiano prima di Goldoni).
Insomma, un letterato-artista, che non cede di molto al ben più famoso politico.
I libri: le opere complete di Niccolò Machiavelli, edite in Italia da Einaudi e in Francia da Gallimard a cura di Corrado Vivanti, sono così suddivise: «Opere I: I primi scritti politici» (pp. CXLIV-1243, e 61,97), «Opere II: Lettere, legazioni, commissarie» (pp. XXX-2006, e 67,14), «Opere III» (pp. XLVI-1280, e 85)
L’immagine: Niccolò Machiavelli in un dipinto di Santi di Tito (Archivio iconografico Corbis)