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(red.)
Macchine da sogno
8 Giugno 2005
Megalopoli
L'inquietante nuova storia d'amore fra miliardi di cinesi e l'auto privata. Con la consueta serietà e completezza, dall'Economist, 2 giugno 2005 (f.b.)

Titolo originale: Dream machines – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

“La Cina ha inziato ad entrare nell’epoca dell’auto come bene di consumo di massa. Si tratta di un grande e storico passo in avanti”. Così dichiarava l’agenzia di informazioni statale Xinhua lo scorso anno. Gli ambientalisti possono avvertire un brivido di paura, per questa sbocciante storia d’amore coi motori. Ma in Cina è in corso una rapida trasformazione economica e sociale, e l’automobile la sta guidando.

Nel 2002 la domanda di auto è cresciuta del 56%, molto più che nelle più rosee previsioni. L’anno successivo c’è stata un’accelerazione sino al 75%, prima di rallentare nel 2004 (quando il governo ha reso più rigide le norme per il credito agli acquirenti di automobili) a circa il 15%. Ma in un mercato globale a passo di lumaca, la domanda cinese resta ipnotizzante. Pochi credono che quest’anno scenda sotto il 10%. Sin quando l’economia continuerà a galoppare all’attuale passo, molti ritengono che le vendite di automobili si incrementeranno del 10-20% annualmente, per parecchi anni a venire.

Cifre mastodontiche rotolano allegramente giù dalle lingue dei produttori di auto. Con 5 milioni di vendite lo scorso anno, la Cina è già il terzo mercato mondiale, dopo l’America (17 milioni) e il Giappone (5,9 milioni). “La Cina è destinata a diventare il secondo mercato mondiale prima o poi nei prossimi due o tre anni” dice David Thomas, a capo della distribuzione Ford per la Cine. Fra il 2010 e il 2015, ritiene, ci sarà il grosso. “La Cina si sta sviluppando in modi molto simili (ai mercati dei paesi sviluppati), ma lo fa in modo molto più veloce” aggiunge Mr. Thomas. “ Parecchio molto più veloce,” ribadisce.

Allo stesso tempo, la Cina sta riversando miliardi nell’espansione della propria rete stradale. Alla fine del 2004, aveva 34.000 km di autostrade, più del doppio del 2000 (17 anni fa, non ne aveva nessuna). Solo gli Stati Uniti ne hanno di più. La rete stradale totale cinese per lunghezza è la terza del mondo: 1,8 milioni di chilometri, di cui il 44% costruiti negli ultimi 15 anni. E non ci si ferma qui. Per il 2020 la Cina prevede di raddoppiare ancora la lunghezza delle autostrade.

Questa combinazione di crescita rapida dell’auto privata, di frenetica costruzione autostradale, e di boom economico, evoca immagini dell’Amerca negli anni ’20, quando l’automobile trasformò le aspirazioni della middle class, e degli anni ‘50, quando il governo federale realizzò il sistema delle autostrade Interstate. Ma nel caso della Cina questo sviluppo è stato compresso in soli pochi anni. È la volontà del governo ad averlo reso possibile. La strategia della Cina, ispirato non ultimo da quella dell’America, è di far diventare l’industria automobilistica un pilastro dell’economia. Ha dato il benvenuto ai costruttori stranieri, purché formassero delle joint ventures con una quota non superiore al 50%. E con le banche sotto il proprio controllo, ha spinto investimenti nel settore e sostenuto prestiti ai privati cittadini per alimentare la domanda.

Queste grandiose speranze sono evidenti in mostra nel Distretto di Jading, a Shanghai, una spianata semirurale punteggiata da fabbriche a circa 30 km dal centro città. Due anni fa era una terra desolata infestata dalle zanzare.Oggi ospita una struttura futuristica in acciaio e cemento, il primo circuito di Formula Uno della Cina. Non importa se pochi cinesi avessero sentito nominare le gare di Formula Uno, o che qualcuno se ne interessasse, prima che avesse inizio la costruzione. La struttura all’ultimo grido da 320 milioni di dollari, completata lo scorso anno, vanta un anello da 5,4 km sagomato sulla forma del carattere cinese “ shang”. Che rappresenta non solo la prima sillaba del nome della città, ma più coerentemente significa “in alto”, o andare avanti.

La gara inaugurale lo scorso ottobre ha attirato una folla di 150.000 persone, e molti hanno pagato almeno 1.800 yuan ($ 215): un mese di stipendio, per la media degli operai. Per il resto del tempo, è rimasto spettralmente vuoto. Fare soldi non è una priorità. È considerato il simbolo di una nuova “città dell’automobile” che Shanghai sta cercando di creare a Jiading, sede di una joint venture fra la Volkswagen e la Shanghai Automotive Industry Corp (SAIC), compagnia statale le cui auto a marchio Volkswagen godono della principale quota di mercato in Cina. Il piano, sostengono i funzionari, è di trasformare l’area in un centro ricerche e sviluppo sull’automobile, un luogo dove auto e componenti sono costruiti, e dove le attività di tempo libero ci girano attorno. Come successo per il circuito di gara, l’anno prossimo aprirà un museo dell’auto da 50 milioni di dollari.

Zhu Ningning, vicedirettore del gruppo di lavoro municipale per la città dell’auto, pensa che questa strategia del governo pagherà. “Abbiamo costruito quello che c’è ora in tre anni. A Detroit ce ne sono voluti cento” dice. La metà dei 2,4 miliardi di dollari investiti nella città dell’auto sinora vengono dal governo. Nei prossimi tre anni, Mr. Zhu dice che verranno spesi altri 3,6 miliardi, con il governo a contribuire per un terzo. “Questa auto city è unica al mondo” si entusiasma Zhu. “Detroit ha una concentrazione industriale, e musei, ma non ha la Formula Uno”. E per essere sicuri che questo non diventi il tipo di sprawl industriale tanto comune altrove in Cina, il gruppo di Zhu ha commissionato a Albert Speer, architetto tedesco figlio dell’omonimo favorito di Hitler, una collaborazione al progetto.

La nascita della domanda

Nelle grandi città della Cina, il fiume di biciclette – un tempo l’immagine più viva della Cina urbana – è stato sostituito da strade intasate di auto, la maggior parte delle quali, terribile, nelle mani di guidatori in erba. Proibendo o limitando fortemente l’uso delle motociclette in queste città, la Cina ha scavalcato in un salto una fase di sviluppo tipica dei vicini asiatici, dove la moto ha abitualmente fornito ai nuovi ricchi il primo assaggio di mobilità senza fatica. Shanghai, che ospita 9 milioni di normali biciclette, ha sollevato una ridda di critiche sui media lo scorso anno proibendole nelle principali strade del centro. Ma oggi vengono usate sempre di meno.

In qualche misura l’abbraccio all’auto della Cina era un risultato prevedibile della ricchezza urbana crescente. Ma ci sono parecchi altri fattori a determinare la domanda cinese, che almeno sino a un anno fa è lievitata oltre ogni aspettativa. Un’enorme spinta è venuto quando la Cina è entrata nella World Trade Organisation nel 2001, con un considerevole allentamento delle barriere alle importazioni di auto. I prezzi delle automobili prodotte internamente sono caduti in modo rapido, anticipando le riduzioni tariffarie, e hanno continuato a farlo per un 10% o più all’anno.

Il taglio dei prezzi, e l’introduzione da parte delle compagnie straniere di modelli più economici (costruiti dalle loro fabbriche in Cina), hanno aiutato pure a mettere la proprietà dell’auto improvvisamente alla portata di una middle class in rapida crescita. “Esiste qualche somiglianza fra l’approccio americano e quello cinese” dice Jean-Claude Germain, a capo della rappresentanza Peugeot Citroën per la Cina. “Quando qualcuno non ha i contanti per comprare una macchina, la sogna e farà qualunque cosa per essere un giorno nella posizione di comprare questo prodotto”. Germain valuta che ora circa 50-60 milioni di cinesi possano permettersi di comprarne una. Se avevano qualche dubbio, un credito agevolato dalle banche statali (come fino all’anno scorso) li ha aiutati a superarlo.

Un altro motore chiave di domanda è la drammatica trasformazione nella struttura economica e sociale delle città cinesi. Dieci anni fa, la maggior parte dei residenti urbani erano impiegati da fabbriche di proprietà statale o in altri enti legati al governo. Vivevano in case assegnate dai datori di lavoro, virtualmente senza pagare l’affitto, e vicine al posto di lavoro. Una bicicletta, o il trasporto pubblico, erano di solito adeguati per muoversi. Le banche, inoltre, non prestavano ai singoli.

A partire dalla fine degli anni ’90, però, le abitazioni sono state ampiamente privatizzate. Molte fabbriche di proprietà statale hanno chiuso o si sono trasferite nelle zone suburbane per ridurre l’inquinamento delle città e far spazio a nuova edilizia. Il boom economico è stato pungolato da una frenesia costruttiva, la quale a sua volta era alimentata da continui prestiti delle banche e dalla disponibilità del governo a consentire che i costruttori radessero al suolo o vecchi quartieri centrali. Comunità consolidate sono state sparpagliate, spesso verso il suburbio, in luoghi mal serviti dal trasporto pubblico e lontani dai posti di lavoro.

La maggioranza dei residenti in campagna - dove vive il 60% della popolazione con un reddito medio di meno di un dollaro al giorno al cambio ufficiale – non andrà mai oltre il sogno di possedere un’auto. Ma l’impatto psicologico su molti residenti urbani dell’improvvisa disponibilità dell’auto è stato considerevole. Fino agli anni ’90 i viaggi in Cina erano regolamentati. Veniva richiesta una lettera da un datore di lavoro statale per comprare un biglietto d’aereo, un comodo posto a sedere in treno, o una stanza in un albergo decente. La vita del cittadino era sorvegliata da vicino, a casa e al lavoro. Le decisioni del governo di incoraggiare l’impresa privata hanno significato allentare la presa. A questo punto entra in scena l’automobile, simbolo di libertà e status sociale. Non c’è da sorprendersi che i cittadino non vedessero l’ora di comprarne una.

“Nuovo guidatore, fate attenzione”

Prendere la patente non è difficile. Anche se un allievo deve far pratica per 70 ore in due mesi, è difficile essere bocciati all’esame. Gli esaminatori malpagati sono facili da corrompere, e gli istruttori fungono da intermediari e si ritagliano la propria quota. Molte auto nelle strade della città esibiscono il cartello “Nuovo guidatore, fate attenzione”. È un appello inutile. Il tasso di mortalità sulle strade della Cina è il più alto del mondo: 680 morti e 45.000 feriti al giorno, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, contro i 115 morti al giorno nella di gran lunga più motorizzata America.

La proprietà è ancora poca cosa in termini percentuali: 7 o 8 ogni mille persone, contro una media mondiale di 120 e le più di 600 in America. Il numero delle auto private in Cina – circa 10 milioni – è solo ancora la metà di quelle americane all’inizio della Grande Depressione. Ma a Pechino, città di 12 milioni di persone (contando solo i residenti registrati) ci sono 2 milioni di auto, l’80% delle quali di proprietà privata. Di queste, un quarto di milione sono state acquistate negli scorsi due anni. Nonostante l’allargamento delle strade principali (buttando giù altri edifici residenziali), la realizzazione della metropolitana leggera suburbana, l’inaugurazione della nuova strada anulare negli ultimi anni, le infrastrutture della città non riescono a tenere il passo.

Le preoccupazione per la congestione, il parcheggio, l’aumento dei prezzi del carburante e la possibilità di una nuova tassa sulla benzina iniziano a rallentare la domanda in città, dice Qie Xiaogang, analista di mercato del punto vendita auto principale della città. Anche la decisione governativa dell’anno scorso, di irrigidire i prestiti per l’acquisto di automobili, ha avuto grossi effetti. Nuovi alla cultura del credito, e con poca paura delle timide banche di proprietà statale, molti cinesi hanno fatto debiti oltre le proprie possibilità, utilizzando certificati falsi del proprio reddito. Ciò ha creato un “grosso buco finanziario” nel sistema bancario cinese, dice Mr. Qie. Ma anche con gli acquisti a credito scesi al 10% delle transazioni contro il 30% del 2003, le vendite conoscono un boom. Molti acquirenti si presentano con borse di contanti.

Ma, curiosamente, l’automobile rimane uno strumento per spostamenti su piccole distanze, di soli da e per l’ufficio. La rete autostradale sinora ha mancato di trasformare le abitudini di viaggio e tempo libero. Steve Bale di BatesAsia, impresa di pubblicità, dice che lo scorso anno meno del 20% dei proprietari di auto hanno usato i propri veicoli per spostarsi fuori città nei fine settimana. Imboccare la strada aperta e seguirla ovunque vada non è, a quanto pare, un’idea particolarmente ispirante per l’automobilista cinese. Jin Jianjun, quarantaseienne impiegato di Pechino che ha trascorso le vacanze di quest’anno lunare guidando per 6.000 chilometri attraverso la Cina con moglie e figlia, è una rara eccezione. Dice che è adesso, il momento migliore per possedere un’auto in Cina, perché le autostrade veloci inter-city sono ancora senza traffico.

Lo scarso fascino della strada aperta

Uno dei motivi per cui gli automobilisti su lunghe distanze scarseggiano, è che gli spostamenti in aereo sono diventati convenienti per molti abitanti delle città prima che iniziasse a crescere l’auto in proprietà. Per chi si sposta da solo, e spesso anche per due insieme, volare resta di solito l’opzione più economica: meno cara anche di un viaggio in treno negli scompartimenti “a sedili morbidi”. Il viaggio da Pechino a Shanghai, una distanza di circa 1.120 km, costa molto più via strada che in aereo. Percorrere la expressway Pechino-Shanghai vuol dire fermarsi a più di dieci barriere che richiedono un pedaggio, pagando un totale di 500 yuan ($ 60), senza contare il carburante. Un biglietto aereo scontato costa meno dei soli pedaggi.

La costruzione delle autostrade è stata usata dal governo come strumento per stimolare la crescita economica. La maggior parte sono finanziate dalle banche statali, e i gestori hanno poche probabilità di ripagare il debito in tempo. Su alcuni tratti il gettito dei pedaggi copre a malapena il costo degli stipendi del casellanti, figuriamoci gli interessi dei prestiti. I camionisti spesso preferiscono usare le vecchie strade che corrono parallele alla expressways, per risparmiare soldi.

Un anno fa, l’amministrazione municipale di Pechino decise di togliere i pedaggi alla nuova autostrada da 1,6 miliardi di dollari attorno alla città, solo pochi mesi dopo l’apertura. Le tariffe erano state pensate per coprire il prestito in 30 anni. Ma il numero di utenti dei primi tempi aveva fatto calcolare che ci sarebbero voluti più di due secoli. A Shanghai, recentemente hanno aperto alcuni autodefiniti “ motels”, ma è difficile distinguerli dai comuni alberghi. Sun Fei, direttore di una filiale da 230 stanze di Motel 168, una catena privata, dice di avere solo 60 posti a parcheggio. Ma anche questi, sono “sufficienti a soddisfare la domanda”.

I media cinesi amano parlare di una emergente “cultura dell’automobile”. Ma nell’immaginario popolare non c’è ancora un equivalente della Route 66. La lettura delle carte stradali è un’abilità che pochi padroneggiano (quelle topografiche dettagliate sono ancora considerate segreto di stato). Si preferisce il viaggio di gruppo, in una nazione dove un’incredibile varietà di cucine, dialetti e culture può rendere il viaggiare indipendente un incubo. Il settore dell’auto a noleggio è all’infanzia, anche se gli ottimisti credono che le cose cambieranno. Nigel White, direttore generale della Avis in Cina, dice che il mercato del noleggio, che ha impiegato circa 40 anni a maturare in Europa, in Cina ne impiegherà 10 o 15. Ma i grandi piani di crescita dalla Avis (dalle attuali dieci agenzie di noleggio alle 70 entro il 2008) sono basati in gran parte sulla domanda d’affari con grandi quote di investimento straniero.

La proliferazione di giornali patinati dedicati all’auto sugli scaffali dei negozi suggerisce l’emergere di una cultura che adora l’automobile in modi simili a quelli dei mercati sviluppati. Ma i consumatori di auto cinesi hanno gusti e motivi propri per acquistare i propri veicoli. In particolare, le prestazioni contano meno di accessori e finiture interne. “Quella è la parte che vedono familiari e amici”, dice Daphne Zheng, portavoce a Shanghai per la General Motors. Schermi video sui sedili posteriori, finiture in legno, sedili in cuoio, sono grandi attrazioni.

Quando ha aperto un cinema drive-in di stile americano alla periferia nord-est di Pechino nel 1988, era allettante immaginare i giovani cinesi urbani usare le proprie macchine per gli appuntamenti con la ragazza. “I cinema drive-in stanno diventando di moda” annunciava Xinhua giusto l’anno scorso. Non esattamente. Quel cinema resta l’unico della capitale, anche se ne ha aperto un altro l’anno scorso in uno dei centri satellite. Con la sua capacità di 500 auto e i sei schermi, in media attira meno di 100 macchine al giorno. Wang Qishun, il direttore, dice che gran parte degli introiti vengono da altre attrazioni del complesso, come il ristorante da 200 posti, o il laghetto per pescare.

Anche se i cinesi non stanno diventando americani nelle loro abitudini automobilistiche, il nuovo amore per i motori ha implicazioni preoccupanti per l’ambiente. La maggior parte dell’inquinamento di Pechino è causato dalle automobili. La città spesso è avvolta da una nebbiolina sporca, nonostante le norme richiedano che le auto si adeguino agli standard di emissioni UE III entro il 2008, in tempo per le Olimpiadi.

Nebbia inquinata

Il governo, ben consapevole di tutto questo, sta spendendo miliardi per migliorare il trasporti pubblici delle grandi città. Entro il 2008 Pechino avrà 200 chilometri di ferrovia sotterranea, raddoppiando la lunghezza attuale. La metropolitana di Shanghai si deve ampliare da 80 chilometri a 200 entro il 2010, quando la città ospiterà l’Esposizione Mondiale; entro il 2020, il piano prevede 810 km di linea, il doppio del sistema sotterraneo di Londra.

La rapida crescita della dipendenza cinese dalle importazioni di petrolio – di cui un terzo, ora, per usi automobilistici – sta causando grandi ansie riguardo alla sicurezza energetica nazionale. Il consumo di petrolio sarà senza dubbio contenuto dalle tasse, da migliori tecnologie o dall’uso di carburanti alternativi. Ma la domanda di automobili continuerà a crescere. David Thomas della Ford stima che ci siano 450 milioni di persone nella Cina orientale con un potere d’acquisto di oltre 7.000 dollari l’anno; 6.000 dollari è la soglia abituale da cui inizia a crescere la proprietà privata dell’auto.

Le perdite crescenti dell’industria, con la feroce concorrenza che rosicchia i margini di profitto, non stanno scoraggiando i produttori. Come sottolinea Mr. Thomas, “I desideri della gente, la loro capacità di comprare, i fondamentali economici del paese, non sono cambiati di molto”. La Cina si è innamorata delle macchine; e nonostante gli sforzi del governo per raffreddare gli animi, la passione brucia (e inquina) più forte che mai.

Nota: qui il testo originale al sito dell’Economist (f.b.)

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