Tra ipotesi di rimpasto e di elezioni anticipate, le strade in salita di Alexis Tsipras.
Una nuova consultazione elettorale a novembre - in concomitanza con quella spagnola - potrebbe dimostrarsi una via d’uscita realistica ed efficace, per rispondere, uniti, a chi continua a difendere e ad imporre solo l’Europa dei mercati». Il manifesto, 15 luglio 2015
Nessun tipo di accordo, suggerito o meglio imposto, può riuscire a far prevalere, in Grecia, un ritorno a soluzioni di tipo tecnico, o peggio ancora, a maggioranze bocciate dagli elettori. È altrettanto chiaro che in questo momento una parta consistente di Syriza non ritiene che le condizioni imposte dai creditori debbano essere considerate compatibili con quanto promesso in campagna elettorale agli elettori, con il programma presentato a Salonicco dieci mesi fa. L’esecutivo guidato da Alexis Tsipras dovrà quindi prendere a breve importanti decisioni: un rimpasto è ritenuto più che probabile ed il portavoce di Syriza in parlamento, Nikos Filis, ha già chiesto le dimissioni dei deputati che hanno espresso la loro contrarietà, nella votazione di venerdì scorso, sul pacchetto di proposte con cui la Grecia si è presentata a Bruxelles.
Il governo di sinistra greco si trovava già sotto pressione. Aveva constatato l’assoluta irremovibilità di Berlino e dei suoi «paesi satelliti» e ha principalmente mirato ad evitare la trappola del Grexit tesa da tempo e resa evidentissima da Schauble domenica a Bruxelles. Nessuno può prevedere con certezza che strada deciderà di seguire il quarantunenne leader geco.
Chi conosce Alexis Tsipras, tuttavia, può presupporre che non si lascerà logorare, come desidererebbero, invece, i suoi avversari politici, esterni ed interni. «Prometto che lotteremo contro i poteri costituiti e gli oligarchi, che ci sarà un equa distribuzione dei sacrifici», ha dichiarato subito dopo la riunione fiume del Consiglio Europeo. Le strade realisticamente percorribili, almeno al momento, sono due: la prima, è provare a ricompattare la maggioranza, chiedendo ai parlamentari che, pur ragionevolmente hanno espresso il loro dissenso, di rispettare il codice etico del partito e quindi di dimettersi. In questo caso il governo dovrebbe valutare le reali possibilità — per quanto limitate — di mettere in atto, in tempi relativamente brevi, alcune misure a sostegno dell’economia. Capire quanti degli ottanta e passa miliardi promessi dall’Europa potranno arrivare realmente ai cittadini greci, per controbilanciare la recessione che andranno a creare gli aumenti dell’Iva, del contributo sanitario sulle pensioni e una serie di privatizzazioni che potrebbe creare ulteriore disoccupazione. Se Tsipras, tuttavia, nei prossimi giorni dovesse constatare che la prosecuzione di una efficace e coerente azione di governo è pressoché impossibile, la via obbligata sarebbe quella del ricorso ad elezioni anticipate.
Il ministro del lavoro Panos Skourletis ha già fatto riferimenti alla possibilità che si vada alle urne entro l’anno. E a quel punto, malgrado le pressioni, la situazione di forte mancanza di liquidità in cui è stata spinta la Grecia e la logica del «pensiero unico» come risposta alla crisi, Syriza si riconfermerebbe primo partito del paese. Tutti sanno, infatti, che il centrodestra è privo di un leader (Samaràs, tra l’altro si è appena dimesso) che il Pasok è al suo minimo storico — intorno al 3,5% — e che il nuovo partito centrista To Potami (il Fiume), oltre a non superare il 6% nelle intenzioni di voto, è ritenuto molto vicino ai gruppi imprenditoriali greci che hanno ostacolato in ogni modo l’ascesa di Syriza. Alexis Tsipras è riuscito a comprendere la profonda richiesta di cambiamento che proveniva dalla società greca, ed ha cercato, in ogni modo, di ridare dignità alla politica. Germania, Olanda, Finlandia, repubbliche Baltiche hanno imposto misure e sacrifici mai richiesti a nessun altro paese. Malgrado ciò la Coalizione della Sinistra Radicale ellenica rimane l’unica forza politica in grado di fornire una risposta convincente a chi chiede che la Grecia non diventi il paese del lavorio senza diritti e della produzione sottopagata a vantaggio del Nord Europa. La patria, cioè, del neoliberismo selvaggio. Una nuova consultazione elettorale a novembre — in concomitanza con quella spagnola — potrebbe dimostrarsi una via d’uscita realistica ed efficace, per rispondere, uniti, a chi continua a difendere e ad imporre solo l’Europa dei mercati.