Corriere della sera, 19 dicembre 2016
Di fatto, rappresenta l’estrema risorsa alla quale il vertice vuole ricorrere per ricreare le premesse di vittorie ormai ingiallite: soprattutto se riuscisse la forzatura di togliere l’appoggio al governo guidato da Paolo Gentiloni, e andare a elezioni anticipate a giugno. Ma l’operazione si presenta difficile. Il sistema che prende il nome dall’attuale capo dello Stato, Sergio Mattarella, e che fu approvato dopo i referendum elettorali del 1993, appartiene a un’altra epoca politica. Fu usato nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Produsse coalizioni che, non certo per colpa del Mattarellum, rivelarono presto le crepe a causa della loro eterogeneità. E questo in un’Italia in cui il bipolarismo era la forma che il sistema politico aveva assunto dopo la fine della Guerra fredda e della Prima Repubblica; e in cui i partiti, per quanto in continua mutazione, esistevano.
In realtà non si può parlare di ritorno indietro, se non altro perché sette anni di crisi economica hanno segnato l’elettorato; perché la crisi dei partiti è generalizzata, e tocca lo stesso Movimento 5 Stelle e le sue pretese di essere «altro»; e perché il potere personale ha mostrato tutti i suoi limiti, non capendo i mutamenti profondi della società italiana. Invece di inseguire coalizioni inesistenti, sarà meglio fotografare in modo fedele l’Italia. E prendere atto, con realismo, che forse solo dopo un voto si conosceranno i contorni di un governo. Fare una legge qualunque per andare al voto subito sarebbe, quella sì, un’operazione da Prima Repubblica. Ma poi il Pd dovrà spiegare all’elettorato perché ha affondato un suo governo appena formatosi. Il proporzionale, corretto quanto si vuole, non è un destino. A oggi, appare il prodotto inevitabile degli errori commessi dagli epigoni di riforme calibrate sulle ambizioni effimere di una nomenklatura, non sugli interessi duraturi del Paese.