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Francesco Merlo
Ma l'utopia di Gibellina è un disastro spettrale
14 Agosto 2011
Articoli del 2011
Una dura critica a un errore di politica territoriale e urbanistica, forse ingenerosa negli accenti ma fondata nella sostanza. la Repubblica, 14 agosto 2011

Prima di raccontare il disastro (artistico?) di Gibellina, prima di chiedere alla Regione Siciliana di restituire la Venere di Morgantina al Getty Museum di Los Angeles, vorrei invitare chi crede in Dio a pregare per Saiful Islam, il giovane del Bangladesh che ha ucciso a coltellate Ludovico Corrao, il suo generoso principe, che certamente gli voleva bene.

E vorrei invitare chi crede nell´uomo a riflettere su questo nuovo «pulviscolo sociale» direbbe Marx, questo sottoproletariato composto in Italia dai badanti sessuali del Terzo Mondo, ragazzi belli e forti senza diritti, neppure quello alla pietà.

A Gibellina tutti sanno che Saiful era l´ombra del senatore, il suo bastone da passeggio. Al geniale Corrao piaceva camminare con quel ragazzo che stava lì da quando aveva 12 anni. Mi raccontano che il sontuoso senatore aveva insegnato a Saiful che bisogna tenere le mani sempre libere – e sembra di vederli avanzare sulle pietre di Gibellina – per far meglio ondeggiare le spalle mentre si cammina «come le mangrovie sul Delta del Gange, dove non è mai fatica dondolarsi e intanto stare con le radici dentro l´acqua e abbracciare con lo sguardo l´orizzonte». Anche Garibaldi aveva la sua ombra nera, un ex schiavo di Montevideo, Andreas Adujar, che, negli ultimi istanti di vita, il generale fece colonnello. C´è sempre un guerriero che copre le spalle a un generale.

Adesso che Corrao è stato seppellito e Saiful ha cercato il suicidio sbattendo la testa sul cancello del carcere di Marsala, a Gibellina anche le famose opere d´arte sono più spettrali e persino la «follia urbanistico-architettonica condita da salsa artistica», come la definì Federico Zeri, ha perduto anche la velleità, la pretesa di incantare. Perché c´è sicuramente un rapporto tra le erbacce che hanno sfondato il cretto di Burri, tra la ruggine che se lo sta mangiando e quelle coltellate sul vecchio corpo stanco della questione meridionale che Saiful, prima di colpire, ha ancora una volta lavato. È il sud del sud il Bangladesh in Italia, ma solo in Sicilia il Bangladesh è il misero che fa sentire ricco il povero.

Sono stato a Gibellina tante volte. La prima, subito dopo il Grande Evento, nel gennaio del 1968. Ero giovanissimo e volevo vedere e dare una mano. Ci sono tornato negli anni dell´immaginazione al potere e dei professori di architettura. A Gibellina ho imparato che anche le rovine possono andare in rovina, e che la rinascita del Belice è un miracolo sempre rimandato. E oggi che Corrao è morto e la sua utopia è stata giustamente celebrata dalla cultura, dalla politica e dalla chiesa, tutti dovrebbero andare a vedere come è ridotta la città che ha tormentato gli intellettuali siciliani, com´è più invasiva la spazzatura e come sono più tristi, tra i Consagra e i Purini, le baracche provvisorie che sono diventate ambiente e natura. Le opere commissionate da Corrao sono state mostrificate dal tempo e dall´avanzare del contesto ma non hanno il fascino dei mostri di Bagheria. Il sottosviluppo, l´arretratezza e la marginalità non sono stati riscattati ma al contrario esaltati da Samonà e da Venezia, da Pomodoro, Mendini, Salvatore, Franchina, Colla, Spagnuolo, Melotti, Cascella. La prima volta che vidi ‘il giardino dei profumi´ - un miliardo e mezzo di lire - era ricco di rosmarino, salvia, menta, piante mediterranee... In due anni divenne tutto secco, pietre friabili, terra arida e puzza. E le costruzioni sono gabbie razionaliste spesso transennate e meridionalizzate, tra scheletri di elettrodomestici, buste di plastica volanti, crolli, opere mai completate e opere corrose, sfinite.

Corrao, con le sue Orestiadi e con i suoi mantelli neri, era il notabile di questa idea di bellezza salvifica. Una volta, quando tornai a Gibellina perché era crollata la chiesa del Quaroni, gli chiesi perché non aveva chiamato gli ingegneri idraulici invece degli artisti e dei professori di architettura e mi rispose con le tante belle cose che sapeva dire bene, gli spiriti maligni, gli scarafaggi neri, le nuvole … A Gibellina ci sono i collezionisti dei testi dei suoi comizi. Padrone di casa del terremoto come risorsa, come grande evento, Corrao era sempre divertito e mai appagato.

Era un ‘terremoto’ pure lui. Il bianco dei lini e del panama non lo avrebbe notato nessuno se non si fosse incastonato sul nero del malessere che non è solo geografico in quella terra: i fotografi, ancora oggi, in Sicilia lavorano quasi esclusivamente con il bianco e nero. E fu un terremoto prima del terremoto il passaggio di Corrao dalla Dc degli agrari e di Scelba al Pci dei capi contadini, verso l´intrallazzo del milazzismo (1958 e 1959) che giustamente per Sciascia fu un orrore di immoralità. Pensate: il peggio della Dc di allora, insieme con il Msi e il Pci. Veri fascisti mussoliniani e veri comunisti stalinisti agli ordini di una pattuglia di veri democristiani che letteralmente compravano i deputati regionali e assoldarono pure qualche mafioso.

Il terremoto cambiò la mente e l´abito di tutti, non di Corrao che era già un sottosopra. E il terremoto mise in subbuglio anche le libido nel Belice: si sa che dopo la catastrofe il sesso diventa un bene rifugio. Finalmente gli dissi, e litigammo, che l´arte mi pareva un pretesto, una scusa per l´Evento, per far suonare la banda, per attirare il forestiero, l´esteta della miseria, «cacche d´artista – provocai – per mosche fameliche, finanziamenti inghiottiti dalla burocrazia e dalla corruzione, l´arte come immunità e come impunità». L´importante è fare una bella festa, accogliere il conquistatore, una giornata di gloria e poi si torna al niente, «poca vita, sempre quella» canta Lucio Dalla: l´Evento, senza misura e senza temperanza, è la disgrazia del Sud, da secoli fuori mano.

Andate, per esempio, a ripescare su Youtube l´arrivo della Venere di Morgantina ad Aidone. Sembra il trionfo di Bocca di Rosa, o di Berlusconi a Lampedusa: i sindaci con le fasce tricolori, i gonfaloni, la banda, fiori e chiasso e facce sdentate, un´antropologia da nomenclatura sovietica, il sottosviluppo di piazza, la Sicilia di Baaria, la bocca aperta e lo schiamazzo delle feste patronali, il bisogno del miracolo e degli imbonitori, della Venere che torna dal Los Angeles come lo zio d´America. Parla anche di questo il fallimento dell´architettura di Gibellina: c´è il mito antico dell´uomo che viene da fuori, dell´uomo del cargo che può essere un capopartito, un cantante, un calciatore, ma anche una statua, uno scultore di cretti, purché venga appunto da fuori nel Sud che dentro di sé non trova pace.

Ovviamente anche la Venere è stata inghiottita dalla decadenza alla spicciolata. Sono stato a vederla il mese scorso. Ho posteggiato l´auto davanti all´ingresso principale del museo, ho contato in quel giorno tredici visitatori. Ad Aidone la Venere è chiamata "la dea", forse perché è più giunonica che erotica. Grande e imponente sembra in prigione in quella stanzetta bianca. A Los Angeles era onorata dal mondo, la più vista, la più cercata. Esportata in America dai tombaroli che l´avevano disseppellita è come se fosse stata di nuovo seppellita ad Aidone.

Nella cameretta accanto ci sono gli acroliti, chissà perché vestiti con un tristissimo scialle grigio dalla stilista Marella Ferrera. Il museo è ricco dei reperti che i tombaroli hanno scartato. Il barone Vincenzo Cammarata, un numismatico che gira con le monete antiche in tasca e che per il trafugamento della Venere fu arrestato, parlò in un´intervista di tre statue, poi chiese scusa, disse che si era sbagliato: boh.

Ogni tanto la polizia fa irruzione in case private che sembrano musei, a Enna, a Catania, a Palermo e chissà dove. La Venere fu portata in Svizzera e poi in America, dove forse dovrebbe tornare. Sicuramente aveva ragione Francesco Rutelli, allora ministro dei Beni culturali, che fortissimamente la voleva a Roma. E inutilmente il presidente Giorgio Napolitano offrì il Quirinale. La Venere merita di essere di nuovo disseppellita e magari ceduta in affitto. Purché sia restituita al mondo.

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