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Silvio Buzzanca
Ma il Cavaliere non è una parentesi
9 Maggio 2006
Scritti su cui riflettere
UN’analisi di Marco Follini, “complice ribelle” di Berlusconi, su il Mulino, raccontata su la Repubblica del 9 maggio 2006. Con una postilla e due domande

Berlusconi e il berlusconismo non sono una parentesi della storia italiana. Bisogna e bisognerà sempre fare i conti con quella parte di Italia che il Cavaliere incarna. Per il semplice motivo che «Berlusconi fa parte della nostra autobiografia collettiva». Analisi lucida e spietata firmata Marco Follini. Scritta prima del 9 aprile 2006 per il numero 2/2006 della rivista il Mulino e presentata ai lettori con il titolo «Teoria, prassi e ideologia del Berlusconismo». Un testo che appare con una breve premessa in cui l´ex segretario dell´Udc si definisce «un alleato e un critico» dell´ex premier. Un «complice e ribelle tra molte virgolette» che è «un uomo di parte. Doppiamente di parte, se così si può dire. Dunque, da prendere con le molle». Un analisi che si conclude con l´invito a fare i conti con il fatto che la parabola berlusconiana «è stata imponente e che lungo il suo percorso milioni di italiani si sono riconosciuti e identificati».

Quando Follini scrive, Berlusconi non ha ancora perso le elezioni. Ma questo dato non sminuisce i ragionamenti di Follini. Anzi il risultato elettorale li rafforza. Perché il neo senatore dell´Udc scrive che «per quanto sia stato e si sia posto fuori dai canoni politici, Berlusconi non è una parentesi all´indomani della quale il gioco dell´oca della politica italiana possa comodamente tornare alla sua casella di partenza». Quasi con preveggenza Follini scrive che non si può tornare indietro «non solo perché, come si usa dire, ancora oggi è in campo. Ma perché dietro di lui, nel suo talento e perfino nei suoi difetti, si staglia un pezzo di paese: una mentalità, una visione delle cose, un sistema di interessi grandi e piccoli che è destinato a pesare».

Ovviamente Follini è ben lontano dalla demonizzazione del berlusconismo che impregna una parte della sinistra. Ma il suo dato di partenza non è diverso da molti ragionamenti girotondini e radicali. Il Cavaliere, dice Follini, «ha forgiato una parte del paese», «ne ha disegnato un tratto della sua più recente identità. Lo ha fatto con le sue televisioni, diffondendo sera dopo sera, una essenziale e, forse minimale visione della vita». Comunque, Berlusconi non è uno straniero. E´ uno di noi, «è l´espressione di qualcosa che covava dentro di noi, a cui ha saputo dare voce». In parole povere, ha intercettato in maniera dialettica una parte d´Italia, «un´Italia che ha trovato la sua cifra nel particolarismo, guicciardiana e postmoderna al tempo stesso». Ma, prosegue l´ex segretario centrista, Berlusconi non è solo tv. E´ qualcosa di più complesso. In questi anni è stato «geloso custode dei suoi interessi aziendali, un capo politico, un leader a suo modo costituente. Inedito nel suo conflitto di interessi. Inedito nella sua visione delle cose».

Follini fa poi una disamina di questi 12 anni di berlusconismo. Scrive che all´inizio il Cavaliere era un innovatore. Un innovatore rispetto al linguaggio e ai riti della Prima Repubblica caduta dopo il crollo del Muro e Mani pulite. Al posto di quel mondo politico, il Cavaliere propone «una guida plebiscitaria chiamata a trasformare la nostra vita pubblica sulla base di un rapporto diretto e immediato con la propria base elettorale (e televisiva)». Follini spiega che «deve essere lui al centro di tutto, lui prima di tutto». Il Cavaliere vuole costruire una «rilucente democrazia emozionale che dovrebbe prendere il posto di una democrazia ideologica». Ma il tentativo riformista non decolla, invece si spacca il mondo politico e il paese. Emerge allora il primo problema di Berlusconi. E´ solo al comando, «governa da lontano. E governa contro». Da qui le sue lamentele contro il resto del modo, il riemergere della «mitologia dei poteri forti». Vive una sorta di referendum costante intorno alla sua persona. E, prevede Follini, «in tempo di difficoltà economiche e delusioni civili, si fa prima a celebrare un referendum contro il leader piuttosto che a uno a favore».

Postilla

Restano due domande preoccupanti: 1. Chi e che cosa ha aiutato Berlusconi a dare a quell’Italia che rappresenta un peso così consistente quale mai lo aveva avuto? 2. Che cosa fare adesso, con quale strategia mioversi per recuperare il terreno perduto?

1. Alla prima domanda la risposta non è difficile, sebbene la riflessioni non sia stata profonda ed estesa come sarebbe necessario. I colpevoli più recenti sono indubbiamente quanti hanno condiviso, in parte più o meno ampia, le “teorie” del Cavaliere e ne hanno condiviso o tollerato la scalata: è un fronte ampio, che accoglie grandissima parte del “centro” e parte consistente della “sinistra”, a partire dal presidente della sua formazione maggiore. Ma le radici sono ben più profonde: nelle simpatie “modernizzatici” verso il craxismo, e nelle miopie delle analisi compiute negli anni ancora meno recenti.

2. Più complessa è la risposta alla seconda domanda. Induce a riflessioni difficili il fatto, se si vuole simbolico, che per evitare l’attribuziona del Quirinale (e del potere sulla magistratura e sul governo) a D’Alema con la sponsorship evidente di Berlusconi, si debba ricorrere all’alleanza dei moderati dei due opposti schieramenti attorno alla figura del “migliorista” Napolitano.

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