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Goffredo Fofi
Ma i coccodrilli non piangono
14 Agosto 2011
Articoli del 2011
Verità amare, ricordi e idee utili per chi volesse costruire un’Italia diversa dopo la crisi. L’Unità, 14 agosto 2011

Un Paese addormentato Che risveglio può esserci oggi dopo trent’anni di fascismo blando e di cui tutti si è stati, più o meno, partecipi e consenzienti? La grande ipocrisia Tutti portiamo qualche responsabilità: per lo stile di vita che abbiamo accettato, approvato e solo a parole rifiutato

I moderni alligatori dell’economia, della politica, della scuola, dei media sanno bene che il cibo per loro non mancherà mai. Nemmeno ora che la crisi imporrebbe a tutti un prezzo da pagare Il vento della crisi dovrebbe farci ricordare alcune semplici cose: che una qualche responsabilità la portiamo tutti, per l’adesione allo stile di vita (l’idolatria del Mercato e le sue conseguenze) che abbiamo accettato, e approvato anche quando a parole ce ne dichiaravamo nemici; che la crisi è il prodotto di un “pensiero unico”, di un’ideologia dell’economia e dello sviluppo assolutamente bipartisan. Ci sono gradi di responsabilità diversi, certo, e se per alcuni il vento della crisi dovrebbe significare, né più né meno, un allontanamento dalle responsabilità pubbliche, per altri dovrebbe quantomeno significare un’autocritica che certamente non ci sarà.

Sull’ultimo numero della rivista «Lo straniero» abbiamo ripescato un vecchio articolo di Carlo Levi del 20 ottobre 1945, a sei mesi dalla Liberazione, intitolato Quattro tesi sull’epurazione, di eccezionale saggezza e lungimiranza, ben comprensibile avendo Levi scritto in quegli anni il più bel romanzo politico italiano dopo I promessi sposi, L’orologio, che, almeno a sinistra, tutti dovrebbero aver letto. Allora l’epurazione intese salvare, dice Levi, l’economia, risparmiando le «attività destinate a rimanere nell’orbita del diritto privato» e considerandola tra quelle, mentre era proprio su quelle che bisognava puntare, insieme ai campi dell’amministrazione, dell’esercito e della cultura «che sono, ancora oggi, particolarmente pericolosi», allontanando «dagli impieghi e dagli incarichi tutti coloro che approfittando del fascismo, li hanno ottenuti senza avere la necessaria capacità, e che perciò costituiscono un peso morto per lo Stato e per la vita del paese» (e insisteva sulla scuola, sull’Università, sulla cultura).

«L’epurazione non può essere un fatto moralistico: non è una vendetta, né una punizione. Averla intrapresa con questo spirito è stata la causa del suo fallimento. (...) Singolarmente molti fascisti possono essere più stimabili di molti che non lo sono stati; ed è cosa grave, e impossibile, il giudizio su un uomo», eppure l’epurazione è una misura necessaria, se condotta con saggezza e guardando alle responsabilità vere e maggiori nel disastro in cui chi ha gestito il potere ha precipitato il Paese. «Allontanati i fascisti e gli incompetenti dall’alta burocrazia statale, dall’esercito, dalle università e dai centri del potere economico, industriale, commerciale e agrario; colpiti con i tribunali i rei di delitti; tolti, almeno per le elezioni alla Costituente, i diritti di voto e di eleggibilità a tutti coloro che hanno avuto cariche fasciste, il processo epurativo non dovrebbe estendersi oltre, e dovrebbe rapidamente cessare».

Sarebbe necessaria anche oggi, questo tipo di epurazione? Forse sì, ma naturalmente a tutto assisteremo meno che a questo. Il risveglio del Paese e lo spirito della democrazia e della ricostruzione vennero, nel ’45, dopo vent’anni di dittatura di cui sette di guerra mondiale e due di guerra civile, dopo anni di lacrime e sangue, ma che risveglio può esserci oggi, dopo trent’anni di fascismo blando che ha avuto la sua legittimazione dal benessere e dalla manipolazione mediatici e di cui tutti si è stati, più o meno, partecipi e consenzienti? E dove sarebbero le “forze di ricambio”, dove pescarle? Le stesse facce di sempre continueranno a “rappresentarci” nel mondo, rappresentando al peggio tutte le nostre ipocrisie sul grande palcoscenico della politica, insieme a quelle dei loro figli, magari “ribelli” per qualche mese (per farsi le ossa e aver più valore nel mercato dei voti).

Non è vero che i coccodrilli piangono dopo aver divorato una o più vittime, tanto meno i coccodrilli dell’economia, della politica, dei media, della scuola. Alcuni si sono specializzati nel “far finta” anche in questo caso, con i loro romanzi buonisti e le loro messe in guardia dalla rivolta (nel linguaggio delle classi dirigenti il ripudio della violenza significa non ribellarsi mai a niente), altri non hanno mai trascurato l’arte della predica e della denuncia, così redditizie sul mercato giornalistico, televisivo, librario. Le lacrime dei coccodrilli sono una reazione fisiologica al troppo mangiare, e i coccodrilli moderni sanno benissimo che loro non mancheranno mai di cibo, e in abbondanza, che avranno sempre di che triturare riducendoci ai loro voleri e facendo pagare a noi che non siamo classe dirigente la crisi che hanno provocato e a cui pretendono di esser loro a porre rimedio senza nulla cambiare delle consuete ricette.

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