Come ci insegnano, esiste un livello locale, uno nazionale, magari uno federale. Poi ci sono anche quello subliminale, quello inconscio. Insomma siamo sempre “a livello di”. O anche parecchio sotto.
Ci insegnano anche che esiste un partito dell’automobile, anche questo organizzato secondo i suoi bei livelli. C’è quello federale, etereo mondo di strategie finanziarie e scatole organizzative. Quello nazionale un po’ più tangibile, come bruscamente capiscono per esempio le famiglie degli operai lasciati a casa da un giorno all’altro, o le comunità che si vedono passare un viadotto fra la cucina e il tinello. Poi quello locale, come a Milano, dove la giunta dopo aver fatto quattro giri del mondo a spese del contribuente, sbandierando il suo Ecopass come soluzione al Global Warming (la giunta di Milano parla solo in inglese, così gli elettori non capiscono e votano sulla cieca fiducia), appena tornata in sede ha liquidato l’assessore che l’aveva introdotto.
Ma è a livello di inconscio e subliminale, che il partito dell’automobile si esprime al meglio. Ovvero in quelle cose che paiono ovvie ma non lo sono per niente. A giustificare l’inutile puzza di benzina, il casino insopportabile, il parco devastato e inutilizzabile per colpa della Formula Uno (che dura un’ora l’anno, ma si prende tutto l’anno) almeno si è costretti ad arruolare certi ministri di solida cultura fascista, che in mancanza di meglio si lanciano in qualche patetica ma molto televisiva citazione di Marinetti, tipo “Veemente dio d’una razza d’acciaio,Automobile ebbrrra di spazio,che scalpiti e frrremi d’angoscia rodendo il morso con striduli denti…
L’inconscio però è uno spazio ancora più aperto, dove le cazzate galoppano libere e selvagge. La cosa si può toccare con mano se fate un giro appena dietro l’ipermercato Auchan. Mica uno qualsiasi dietro casa vostra, però: l’inconscio automobilistico deve manifestarsi, come si dice, sul territorio.
foto f. bottini |
L’ipermercato, o retail park come magari lo chiamerebbe qualche giunta del giorno d’oggi, dopo aver studiato un manuale ICSC, è quello che sta a San Rocco al Porto, padania centrale che più centrale non si può: perché soffermati sull’arida sponda si guarda il Grande Fiume in persona, e sull’altro lato quella terra di ex comunisti che è la regione Emilia, nella versione addomesticata di Piacenza. Proprio lì, a qualche centinaio di metri dal parcheggione dell’ipermercato, un po’ di mesi fa è crollato il ponte sul Po: mica uno qualunque, quello della Via Emilia. Un ponte che, nonostante l’autostrada, nonostante l’organizzazione urbanistica di Piacenza al limite della demenza sull’altra sponda (la via Emilia lì per alcune centinaia di metri si trasformai un imbuto congestionato senza scampo, almeno fino al bivio della Padana Inferiore), ha fatto giustamente scrivere dopo il crollo di “Italia tagliata in due”, o quasi.
E mentre - con tempi su cui qui non è il caso di soffermarsi – si sviluppano le varie fasi della ricostruzione, qualcuno ha giustamente pensato di metterci almeno una toppa, a quell’Italia tagliata in due. Ottimo.
Finalmente, dopo qualche mese, mentre nelle basse del fiume calano le brume dell’autunno si inaugura l’attraversamento provvisorio. Alcune bretelle e variantine stradali che collegano in un tracciato unico tratti preesistenti, dal tratto lombardo della via Emilia alla circonvallazione di Piacenza poco a monte del fiume, e attraverso il fiume vero e proprio un ponte di barche in grado di portare in sicurezza veicoli fino a 3,5 tonnellate. Marginalmente, la prefettura informa anche che “ La passerella però, resterà interdetta a pedoni e ciclisti. Per loro bisognerà aspettare il nuovo ponte sul Po”. Prego? Forse c’è un errore di stampa. O forse, quasi sicuramente, ci stanno prendendo per il culo, hanno commissariato anche il Po, adesso.
foto f. bottini |
Premetto, che detesto quelli che detestano le automobili. Sono un automobilista, e addirittura insegno a fare l’automobilista. Non perché di mestiere faccia l’istruttore di scuola guida, ma tengo dei corsi che hanno a che fare con lo studio del territorio, e mi sia permessa una citazione antifascista dei futuristi, quando dicevano in uno dei loro vari manifesti che “una grande velocità d’automobile o d’aeroplano consente di abbracciare e di confrontare rapidamente diversi punti lontani della terra, cioè di fare meccanicamente il lavoro dell’analogia”. Ovvero per comprendere direttamente dimensioni e proporzioni di alcuni sistemi territoriali, magari anche per viverli, questi sistemi, è utile potersi muovere al loro interno con una certa rapidità e relativa libertà: l’automobile è il mezzo più diffuso che consente di farlo, magari senza farsi piovere in testa, e potendosi portare appresso qualche socio per scambiare opinioni, o la cassetta degli attrezzi se serve. Tutto qui. Se c’è un altro metodo, tanto meglio.
Ciò premesso, cosa vuol dire passerella interdetta a pedoni e ciclisti? Vuol dire che hanno, deliberatamente e per motivi miserabili, escluso gli esseri umani in quanto tali dalla possibilità di attraversare il fiume. Sono certo, certissimo, che a questa obiezione ci saranno centinaia, addirittura milioni, di ingegneri, burocrati, benintenzionati tutori dell’ordine e della sicurezza, che scuotono il capo sorridendo davanti a tanta ingenuità. Sono gli stessi che hanno escogitato tutto il marchingegno: non ci sono i requisiti di sicurezza, il bilancio complessivo lo esclude, esistono delle priorità … Cazzate, se mi si consente. Una montagna di benintenzionate cazzate. La passerella porta veicoli da tre tonnellate e passa, ergo è piuttosto improbabile che rischi di cedere sotto il peso massimo di qualche pedone o ciclista. La questione è un’altra: non frega niente a nessuno, di spendere le sudate tasse, sudate con le nostre mani e i nostri piedi, per lasciarci attraversare il Po: sono solo le merci, mica noialtri, che devono circolare. Un po’ come nella globalizzazione: per fare click e scambiare le azioni da Casalpusterlengo a Singapore, si scatenano pure un paio di guerre, ma se un contadino asiatico vuole sperimentare il riso integrale dalle parti di Stroppiana, troverà sempre il pugno di ferro in guanto di cartavetrata del Calderoli di turno.
foto f. bottini (automobilista) |
Mica pensavano a noi, gli iscritti al partito dell’automobile transnazionale e subliminale che hanno progettato e costruito il ponte di barche. Ma al retail park e a tutti gli altri parks suoi simili che gli stanno sparpagliati attorno, nella regione geografico-economica definita dalla velocità media su gomma. Noialtri nella faccenda compariamo solo come manodopera (di solito gratuita) per girare il volante e cambiare marcia, e naturalmente come vettori di carta di credito o portafoglio, da svuotare alla cassa dell’ipermercato o dell’altro scatolone arredo bagno sportivo eccetera. Quando mi sono deliberatamente immerso nel ruolo assegnatomi dalla società, di coglione meccanizzato in fila sul ponte nel sabato pomeriggio dello shopping coatto, ho notato sull’arida sponda piacentina un paio di campioni della categoria dannati della terra terzo millennio. Non parevano soffrirne in modo particolare, di questa condizione, anzi parevano abbastanza divertiti, quei due immigrati, a piedi, che guardavano il traffico sulla passerella però interdetta a pedoni e ciclisti.
Forse ridacchiavano di noi, imbecilli inscatolati a spese proprie, e incanalati verso altre spese coatte, chiedendosi quando ce ne saremmo accorti.