Il comune di Visco, 800 abitanti a poca distanza da Palmanova, cerca investitori per la valorizzazione di un’area di 130.000 metri quadrati. Per quanto sia una dimensione enorme per un comune che, con i suoi 3 chilometri quadrati, è uno dei più piccoli d’Italia, se si trattasse “solo” dell’ennesima ipotesi di cementificazione, la notizia potrebbe restare inosservata.
Ma sull’area in questione sorgeva un campo di concentramento nel quale, fra il 1942 ed il 1943, vennero rinchiusi 3000 civili jugoslavi, rastrellati a colpi di lanciafiamme durante la campagna per “bonificare la provincia italiana di Lubiana” e ”neutralizzare gli elementi pericolosi per l’ordine pubblico”.
Per trasformare il campo in un mobilificio, un “centro logistico per la sedia e del mobile”, o comunque un complesso per attività produttive e commerciali, il comune ha già approvato cambi nelle destinazioni d’uso previste dal piano regolatore ed ha demolito le torrette ed il corpo di guardia, perchè la loro presenza “allontana gli investitori”.
Il Corriere della Sera del 17 settembre riporta le dichiarazioni del vicesindaco, nelle quali, alle motivazioni finanziarie - “mantenere quella roba sono un sacco di soldi che pesano sui contribuenti” - si mescola il disinteresse, se non il disprezzo, per “quello che poi non era un lager, ma solo un campo di concentramento”.
L’intenzione di distruggere il campo ha suscitato reazioni contrastanti. Accanto a manifestazioni di sdegno per quello che viene interpretato come il tentativo di cancellare, assieme alle tracce materiali, il ricordo di una vergogna nazionale, non sono mancate le espressioni di sostegno ai progetti dell’amministrazione e le esplicite rivendicazioni di fierezza neofascista.
Ed è per questo che la vicenda dovrebbe indurci a una riflessione sui cosiddetti luoghi della memoria,partendo dall’ormai classica distinzione fra lieux et milieux de mémoire, introdotta da Pierre Nora nel 1984 e attorno alla quale si è poi sviluppato un ricco dibattito.
Riassunta molto schematicamente, l’idea di Nora è che i luoghi della memoria non esistono di per sé, ma devono essere prodotti intenzionalmente per sostituire la scomparsa degli ambienti (modi di vita, condizioni materiali, organizzazione sociale) che si vogliono ricordare. La loro funzione è quella di “luoghi di compensazione alla perdita della memoria”, dove il tempo viene artificialmente fermato al momento che si intende sottrarre all’oblio. In altre parole, per poter ricordare, è innanzitutto necessario che ci sia la volontà di ricordare. Altrettanto importante, però, è che nella consapevolezza la memoria, in quanto esperienza collettiva e soggettiva, può essere deformata, manipolata, appropriata, si mantenga viva la dialettica tra memoria e storia.
In quest’ottica, il caso di Visco assume un significato che va oltre la dimensione locale. Di luoghi della memoria si parla in occasione di cerimonie e commemorazioni ufficiali, non esenti da retorica se non da rozze forme di spettacolarizzazione dell’orrore, ma non si assiste a una deliberata creazione di luoghi che consentano il confronto tra memoria/e e storia .
La mobilitazione delle associazioni italoslovene, e di quanti chiedono venga bloccato il progetto del comune di Visco, va in questa direzione e merita il più ampio e convinto sostegno da parte di tutti noi.
Su alcune delle cose che andrebbero ricordate si veda, su eddyburg, questa nota dell'ANPI e, più in generale, la cartella Italiani rava gente.