La democrazia in Italia è già sotto stress: non corre il rischio di esserlo. Questa è la notizia. Non buona. Oltre che da una crisi economica finora indomabile, la democrazia è messa a dura prova da una delegittimazione dei partiti e dell´intera sfera politica. Se il detonatore è stata la vergognosa caduta della Lega nel familismo amorale in salsa padana, ciò che è esploso era già di per sé una polveriera: ovvero, la controversa materia del finanziamento pubblico dei partiti. Di questo in verità si tratta, sotto le mentite spoglie del rimborso delle spese elettorali – un travestimento reso necessario dall´esigenza di bypassare la volontà espressa dal popolo sovrano in un referendum – , che ha portato nelle casse dei partiti, in diciotto anni, 2,3 miliardi di euro. Una somma molto superiore alle effettive spese elettorali, grazie alla quale si sono mantenuti apparati, giornali, raggruppamenti politici fittizi o estinti, oltre che famiglie eccellenti e tesorieri creativi.
Dunque i punti sono due: da un lato, la quantità eccessiva di rimborsi; dall´altro, l´opacità dell´erogazione e della gestione di ingentissime somme di denaro pubblico, affidate – in pratica discrezionalmente – a soggetti (i partiti) dall´incerto status giuridico (entità private non regolate da una legge che ne disciplini la democrazia e la trasparenza della vita interna). Il potenziale inquinante di questa massa di denaro incontrollata è altissimo; Margherita e Lega lo dimostrano.
E l´effetto delegittimante di queste prassi dovrebbe essere percepito da tutti, soprattutto dai politici. Nessuno escluso. Perché se è vero che non tutti i partiti hanno distratto il pubblico denaro per le private finalità di qualche dirigente; se è vero che la trasparenza dei bilanci è diversa (su base volontaria) da partito a partito; se è vero che alcuni partiti cercano fonti di finanziamento anche e soprattutto nelle contribuzioni volontarie di militanti e di simpatizzanti; è anche vero che tutti i partiti hanno percepito quel pubblico denaro in quantità smodata, e che tutti i partiti definiscono "antipolitica" quello che, originariamente, è invece legittimo sdegno dei cittadini davanti all´evidenza che i sacrifici, in questo Paese, si fanno a senso unico. Il sistema politico largheggia verso se stesso, o almeno è più leggero nei tagli, mentre è severo (in certi casi fino alla spietatezza) con i cittadini.
A ciò si aggiunga che piove sul bagnato, che il discredito si aggiunge al discredito. Questo sistema politico, infatti, è non solo costoso e inquinato ma anche inefficiente: ha dato tanto buona prova di sé da dover affidare l´Italia a un gruppo di tecnici perché tentino (con tutti i limiti della loro azione) di non farla precipitare nel burrone sul cui orlo l´ha condotta la cattiva politica dei partiti. Il sistema politico non è un innocente capro espiatorio del malumore e della rabbia dei cittadini. Ha responsabilità gigantesche: se non giudiziarie, politiche.
L´antipolitica, quindi, nasce – ed è pericolosissima – come reazione alla mancata risposta politica (e non ragionieristica, venata di sufficienza, o di spirito didascalico e paternalistico) dei partiti alle domande, tutte politiche e tutte legittime, degli italiani: "Perché vi attribuite tanto denaro?", "perché non vi sottoponete a controlli seri e severi?", "come giustificate la spesa che la collettività sostiene per voi?". La risposta a queste domande non può essere solo che i partiti sono indispensabili alla democrazia e che quindi vanno in qualche modo finanziati per evitare che la politica cada nelle mani dei ricchi (il che, oltre tutto, è avvenuto, nonostante gli abbondanti trasferimenti di pubblico denaro alle forze politiche). Perché certamente è giusto che la democrazia sia un costo; ma deve essere anche un buon investimento - oculato, controllato, ed equilibrato per quanto riguarda il rapporto costi/benefici -. La democrazia deve "rendere", in termini di qualità della vita associata, di efficienza e di trasparenza decisionale, e al tempo stesso di apertura della politica sulla vita reale dei cittadini.
Non le prediche ma la politica è la vera risposta all´antipolitica. Il primo passo è il riconoscimento che l´antipolitica dei cittadini nasce dalla pessima politica dei partiti. E il secondo è un operoso ravvedimento: una riforma rapida, severa e inequivocabile dei rimborsi, che ne limiti molto l´entità e li sottoponga a controlli inesorabili. Il terzo, sarebbe ricominciare a pensare in grande; a conoscere e progettare la società italiana. Non è chiedere troppo. È esigere il giusto.