Il Fatto Quotidiano
, 16 settembre 2015
Mohammed conta i passi che lo separano dall’Austria. È partito all’alba dalla stazione di Hegyeshalom, in Ungheria. Il confine dista quattro chilometri, una passeggiata, per chi come lui ha le gambe buone. «Mi hanno rilasciato ieri, dopo 12 giorni in un carcere vicino Budapest» racconta mentre continua a guardarsi le spalle. «Com’è la polizia alla frontiera? E in Austria? Ci faranno passare senza problemi?». Arrestato nella stazione di Budapest, Mohammed porta sul collo i lividi di cinque dita della polizia ungherese. Parla un ottimo inglese, ma dice di non aver capito le accuse contro di lui. «Mi hanno chiesto di pagare mille euro –spiega senza nascondere la rabbia – per lasciarmi andare. Mi hanno fatto una multa, trattato come un criminale. Vengo da Homs e sto solo andando verso un posto sicuro». Appena arrivato al campo di Nickelsdorfs chiede in prestito un cellulare e chiama gli amici ancora in cella: «Il confine è tranquillo, appena uscite correte qui».
Intanto al campo si è sparsa la notizia che Budapest ha iniziato ad arrestare i profughi. Alla mezzanotte di martedì è entrato in vigore il reato di clandestinità. Tutti gli stranieri in Ungheria senza permesso di soggiorno, rischiano fino a tre anni di carcere. Al confine con la Serbia le forze dell’ordine hanno arrestato quasi 180 persone, 16 nella sola notte di martedì. E se sulla frontiera nord la polizia scorta le colonne di migliaia di profughi in marcia, per farli arrivare più velocemente in territorio austriaco, a sud il confine con la Serbia viene blindato. Filo spianato e migliaia di uomini delle forze dell’ordine a presidiarlo. Questo fa desistere tante famiglie, ma i giovani sono pronti a saltare le reti, alte due metri.
La chiusura dell’Ungheria sta portando a un veloce cambio delle rotte dei profughi. Entrati in Serbia dalla Macedonia, i rifugiati deviano per la Croazia e poi per la Slovenia, arrivando così al confine austriaco. Vienna sta già studiando delle contromisure e in una lettera inviata dal ministero dell’interno alla Commissione Europea suggerisce che i punti nodali dei controlli sulle frontiere dovranno essere sui confini con Ungheria, Italia, Slovenia e Slovacchia. Secondo i dati di Budapest, confermati anche dall’Unione Europea, nel 2015 sono entrati in Ungheria circa 200mila profughi, 500mila in tutta l’Eurozona. Nel 2014 il totale degli arrivi non ha superato le 240mila persone.
Con la chiusura di ieri notte i rifugiati che vorranno transitare in Ungheria dovranno fare richiesta di asilo. «Un procedimento – ha comunicato un rappresentante del governo – che può durare minuti oppure ore, ogni caso è diverso». «La Serbia è un paese sicuro» ha detto il primo ministro Viktor Orban indicando così l’intenzione di rimandare a Belgrado i profughi. La Serbia ha già risposto che non accetterà alcun rinvio. Berlino tenta di coinvolgere i paesi di arrivo dei rifugiati . «È urgente che la Grecia, e anche l’Italia, facciano subito gli hotspot», ha detto Angela Merkel in una conferenza stampa congiunta con il cancelliere austriaco Werner Faymann, «altrimenti – ha sottolineato – non sarà possibile distribuire i migranti in modo equo». Per adesso la cancelliera ha ottenuto la ricollocazione di 40mila profughi, nemmeno il 10 per cento di quelli arrivati nei primi nove mesi di quest’anno.