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Paolo Lanapoppi
L’Unesco diventi guardiana della città di Venezia
24 Maggio 2017
Terra acqua e società
«Venezia non è dei veneziani, è del mondo» Lo ricordi l'Unesco, che dovrà decidere se lasciare i veneziani della città insulare e della Terraferma arbitri unici del destino della città. È questione di grande rilievo, ma l'arbitro invocato ha il potere di rappresentare il mondo?L

«Venezia non è dei veneziani, è del mondo» Lo ricordi l'Unesco, che dovrà decidere se lasciare i veneziani della città insulare e della Terraferma arbitri unici del destino della città. È questione di grande rilievo, ma l'arbitro invocato ha il potere di rappresentare il mondo?La Nuova Venezia, 23 Maggio 2017

Si sta avvicinando la data (sarà tra il 2 e il 12 luglio) in cui un’Assemblea generale dell’Unesco dovrà decidere se i propositi del governo italiano e delle amministrazioni locali riguardo al futuro di Venezia sono tali da garantire un’accettabile tutela dei valori storici, culturali e ambientali di Venezia e laguna. Nel frattempo si avvicina la data di un referendum (il quinto) sulla separazione amministrativa dei comuni di Venezia e di Mestre. Le due scadenze ripropongono un problema serio che tocca la gestione dei beni privati o pubblici che possono avere un interesse comune: fino a che punto gli abitanti di un luogo hanno il diritto di farne l’uso che vogliono? Fino a che punto il resto della nazione (o dell’intero pianeta) hanno il diritto di interferire con la volontà e gli interessi di chi in un luogo abita e lavora?

Una giornalista del Guardian inglese mi ha posto pochi giorni fa una domanda che mi viene spesso rivolta: ritengo io che sia giusto separare le amministrazioni di Venezia e Mestre? Naturalmente il problema vero è se sia corretto che gli abitanti della terraferma possano, con la loro maggioranza, interferire sulla gestione della Venezia insulare. Non dovrebbero essere i veneziani che ci vivono a decidere sul numero degli alberghi in città? Ma i veneziani usufruiscono ormai quasi tutti dei proventi del turismo, anche di quello di massa. Se fosse per loro, tutte le case potrebbero diventare di affitto turistico, perché rendono molto, e i loro negozi potrebbero vendere ricordini e maschere da carnevale.
Al Guardian ho detto: Venezia non è dei veneziani, è del mondo. Se io possiedo un quadro di Tiziano, questo non mi autorizza a cambiare le sfumature di un colore o a rimuovere un pezzo della tela: io sono solo il custode di un bene comune. Per la stessa ragione non ho il diritto di mettere un tetto al Fontego dei Tedeschi, che è un edificio del Cinquecento costruito a copia di un caravanserraglio orientale. Ma i veneziani, come si comporterebbero? Sarebbero capaci di andare contro i loro interessi pecuniari immediati in favore di un interesse culturale mondiale? Ne dubito molto. Senza citare gli spropositi del sindaco Brugnaro, basta dare un’occhiata alle delibere del sindaco precedente, Giorgio Orsoni, residente sul Canal Grande: vendite continue di palazzi per uso alberghiero, tolleranza di moto ondoso, proliferare di B&B reali e finti.
Per la tutela dei valori culturali, storici e ambientali sarebbe azzardato rivolgersi ai residenti. I residenti sceglieranno sempre, salvo una minoranza altruistica, le risposte che portano più quattrini nelle loro profondissime tasche. I pretesti e le scuse non mancano, anche fintamente democratici: “Tutto il mondo ha diritto a venire a Venezia, e poi non si saprebbe dove mettere i tornelli, e poi se la casa è mia io l’affitto a chi voglio, e le navi da crociera creano posti di lavoro”.
Allora? Esiste una via per impedire che ignoranza e cupidigia trasformino un patrimonio di bellezza infinita e irripetibile in un ammasso di bancarelle e cartelloni pubblicitari? La risposta: non si può togliere agli abitanti il diritto di legiferare sul territorio, ma si può creare un organismo mondiale che valuti il loro comportamento, che suggerisca soluzioni ai problemi moderni e incoraggi scelte corrette, che metta in primo piano i valori della storia, della bellezza. Un organismo simile, in verità, esiste già ed è l’Unesco, con la sua lista dei beni Patrimonio dell’Umanità. Occorre potenziarlo e farne un vero guardiano dei patrimoni mondiali. Nessuna delibera dovrebbe diventare attiva se non dopo l’approvazione di quell’organismo (pensiamo per esempio all’Arsenale...). Si tratterebbe certamente di una diminuzione di autonomia per gli enti locali. Ma forse l’autonomia bisogna sapersela meritare, e il resto del mondo non può assistere passivamente alla distruzione di una delle testimonianze più alte della sua storia. *

Paolo Lanapoppi è Vicepresidente Italia Nostra, sezione di Venezia
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