Il golpe di Capodanno si consuma dentro al consiglio dei ministri e prende la forma di un decreto legge che, di fatto, consegna al titolare delle Infrastrutture il potere di nominare o di rimuovere direttamente, senza nemmeno sentire gli enti locali, i presidenti delle autorità portuali. Un passo indietro clamoroso, che cancella gli ultimi vent’anni di battaglie sulle banchine italiane, combattute nel nome dell’autonomia, e riporta al centro il potere di nomina e di veto degli uomini e delle donne chiamati a guidare i porti. Un colpo a sensazione firmato dalla maggioranza che ci aveva già provato un paio di settimane fa, con un emendamento alla legge finanziaria. Allora il progetto era naufragato miseramente. Ma l’intenzione è rimasta e si è concretizzata ieri sera, nell’ultimo consiglio dei ministri dell’anno, al riparo da ogni possibile attacco. Ha atteso quasi la fine del suo mandato, il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, per sferrare l’attacco finale al cuore della portualità italiana. Non a caso, il provvedimento è diretto al controllo del potere di nomina dei presidenti di dodici porti considerati strategici per il Paese. Due di questi, Genova e La Spezia, sono in Liguria. Uno è appena più sotto, in Toscana, a Livorno. Con l’eccezione di Savona, quindi, l’intero sistema dell’Alto Tirreno è consegnato nelle mani del ministro. È lui a decidere il nome del presidente e a comunicarlo. Il provvedimento, spiega un portavoce del consiglio, è finalizzato a fermare questa stagione senza fine di ricorsi al Tar contro ai commissari nominati dal ministro. Di sicuro, con un provvedimento del genere, si cancellerà anche la possibilità di ricorrere al tribunale amministrativo, ma soltanto perché il ministro si arroga il diritto esclusivo di nomina. Inevitabili saranno le proteste del mondo del mare, già mortificato nei giorni scorsi dai tagli della Finanziaria e addirittura ridicolizzato da un altro esponente del governo, il ministro dell’economia Tremonti, che nel salotto di Porta a Porta ha dichiarato che la portualità italiana non va sostenuta perché alimenta il flusso crescente di merce in arrivo dall’Asia e dalla Cina in particolare. Se non ci fossero le registrazioni non ci sarebbe quasi da crederci. Invece è la verità. La verità di un governo che, a più riprese, non ha mai dimostrato di amare il suo mare e di considerarlo strategico.