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Massimo Novelli
L'ultimo messaggio di Pavese
24 Agosto 2005
Altre persone
Tre intensi pensieri annotati alla vigilia della morte, pubblicati mezzo secolo dopo. Da la Repubblica del 24 agosto 2005

Per oltre mezzo secolo, da quella domenica di fine agosto del 1950 in cui Cesare Pavese si tolse la vita al terzo piano dell´Albergo Roma di Torino, il foglietto dalla grafia di colore violetto, annotato a matita sul retro di una comune scheda di prestito bibliotecario, non è mai stato divulgato. E in tutto questo tempo è stato custodito gelosamente da Maria, la sorella dello scrittore scomparsa qualche anno fa, e in seguito da Franco Vaccaneo, direttore fin dall´inizio del Centro studi pavesiano di Santo Stefano Belbo.

Maria glielo aveva regalato nel 1980, in segno di stima, di amicizia e d´incoraggiamento nei confronti di quel ragazzo, fresco di laurea, che stava cercando di mettere insieme carte e manoscritti, affinché Santo Stefano, «il più bello di tutti i paesi», onorasse dopo troppo oblio la memoria del suo concittadino più illustre.

Ora, a pochi giorni dall´anniversario della morte dell´autore de La luna e i falò, con il consenso degli eredi, le nipoti Cesarina e Maria Luisa, le figlie di Maria Pavese, lo studioso langarolo ha deciso di far conoscere un documento che può essere considerato, sia pure nella sua brevità, «un vero testamento umano, spirituale e letterario», risalente con ogni probabilità ai giorni precedenti il suicidio. Venne ritrovato la sera del 27 agosto di cinquantacinque anni fa nella camera dell´hotel torinese di piazza Carlo Felice, in cui Pavese si suicidò con i sonniferi. Fu rinvenuto sul comodino a fianco del letto, fra le pagine dei Dialoghi con Leucò su cui Pavese scrisse le sue ormai celeberrime parole d´addio: «Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi».

Il cartellino di prestito è della Biblioteca Nazionale di Torino, porta la data del 16 gennaio 1950 e il numero progressivo 2920. Sul retro Pavese vi appuntò tre frasi. Nella prima, tratta proprio dai Dialoghi con Leucò, esattamente da quello intitolato Le streghe, si legge: «L´uomo mortale, Leucò, non ha che questo d´immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia». La seconda è una citazione dal diario, cioè da Il mestiere di vivere, e venne scritta qualche giorno prima della sua fine drammatica: «Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti». La terza frase, che secondo Vaccaneo potrebbe essere stata pensata e messa sulla carta da Pavese nelle ore estreme della sua esistenza, è lapidaria: «Ho cercato me stesso».

Ma perché soltanto adesso riemerge il biglietto-testamento? Spiega Vaccaneo: «A pochi giorni dall´anniversario di Pavese ho ripensato a Maria, la sorella che aveva accudito Cesare fino all´ultimo come una mamma, e poi a quel foglietto che mi aveva donato tanto tempo fa, quando la nostra conoscenza si era fatta di grande confidenza. Il rapporto con Maria si era consolidato dopo che, nel giugno del 1980, avevamo organizzato a Bucarest, in Romania, una mostra di carte originali pavesiane, che riscosse un notevole successo. Quella fu anche la prima e l´unica volta in cui i manoscritti di Pavese, che successivamente furono consegnati all´Università di Torino, uscirono dall´Italia». Di quel passo d´addio, delle tre frasi emblematiche, continua, «non ne avevo mai parlato, pur sapendo quanto fosse importante, perché lo ritenevo strettamente privato, sigillo dell´amicizia che era nata fra un giovane come me e un´anziana signora, una donna assolutamente fuori dal comune, di grande generosità, come era Maria. È stato il suo ricordo, vivissimo, che mi ha indotto a staccare il foglietto dalla cornice in cui lo conservo da allora».

Appartenente con più che verosimile certezza al periodo conclusivo della tormentata vita dello scrittore nato a Santo Stefano nel 1908, il documento finora inedito, dice Vaccaneo, «potrebbe essere stato vergato il giorno stesso della morte, sebbene, a differenza delle parole estreme appuntate con una stilografica sulla prima pagina dei Dialoghi con Leucò, questo sia invece stato scritto con una matita. Ma, a ogni modo, le tre frasi riassumono in pieno il bilancio della sua vita. Sono una sorta di testamento. È un messaggio più che profetico per un uomo che sta per uccidersi. Il fatto, inoltre, che Pavese lo avesse messo nella copia dei Dialoghi, il libro che aveva portato con sé nella stanza dell´Albergo Roma, è molto significativo. E lo è in ogni caso. Può essere, insomma, che il cartellino della Biblioteca Nazionale sia stato infilato da Pavese nel libro qualche tempo prima di decidere di togliersi la vita, però non credo per sbaglio. Oppure la scelta di riunire quelle citazioni, non casuali, dai Dialoghi e dal Mestiere di vivere, oltre a quel "ho cercato me stesso", forse risale alle ore precedenti la morte: un´ipotesi, questa, che non può essere esclusa, nonostante l´uso di una semplice matita dalla punta viola anziché della penna stilografica. In ogni caso, il valore resta immutato».

Potranno essere gli esperti, aggiunge Vaccaneo, «ad esaminare con maggiore attenzione il biglietto di Pavese. Adesso è giusto che venga conosciuto da tutti coloro che hanno letto e amato i suoi romanzi, i suoi racconti, i suoi saggi e le sue poesie».

Il foglietto ritrovato, per il direttore del Centro studi, non ha soltanto un valore affettivo, ma ha anche rappresentato una specie di viatico della speranza, un´esortazione a «non mollare», nei giorni neri del novembre del 1994, durante la terribile alluvione che sconvolse il Piemonte e le Langhe. «L´allora sede del nostro centro - conclude Vaccaneo - venne investita dalla furia del Belbo, il torrente cantato da Pavese. E nel fango finirono libri, carte, quadri, fino alla copia dei Dialoghi con Leucò ritrovata nella camera dell´Albergo Roma. In quelle sere, tornando a casa, ripensando a quel biglietto regalatomi da Maria, e a quelle parole di un viola sbiadito dal tempo, recuperavo la forza per non arrendermi e per tentare di ricostruire quanto l´alluvione aveva danneggiato o portato via. Anche per questa ragione, oggi ho sentito il bisogno di spezzare il silenzio che ha circondato quel breve testamento di Cesare Pavese».

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