Il 16 ottobre 2010, in occasione dell’incontro di studio a Venezia “Luigi Scano (1946-2007). Politica, ambiente, territorio”, importanti riflessioni hanno riportato alla memoria la competenza e la sensibilità di un urbanista sul campo, che ha dato molto a Lamezia circa tredici anni fa, rivestendo un ruolo significativo nella stesura delle norme tecniche di attuazione del Piano regolatore generale approvato nel 1998.
Scano, uno dei massimi esperti della disciplina urbanista che, come era accaduto nel 1986 in questa città all’architetto Bruno Zevi, è stato maltrattato dalla componente sociale lametina più agguerrita e collusa con l’affarismo edilizio. Non fu mai un tecnico asservito alla politica, e quindi pronto a sottoscrivere qualunque scelta politica e ogni tipo di operazione. “Il suo – ha scritto Vezio De Lucia – fu un atteggiamento non consueto nel mondo professionale, che spesso lo indusse a interrompere la collaborazione con amministrazioni di cui non condivideva gli obiettivi”. Scano non si è risparmiato, invece, quando ha dovuto collaborare con il sindaco di Eboli impegnato contro la speculazione malavitosa e per aver demolito dal 1998 al 2000 ben 450 costruzioni abusive. Un intellettuale con queste coordinate a Lamezia non poteva che subire contestazioni: e così è stato, anche negli anni dell’antimafia parolaia. Le “sue” norme tecniche di attuazione del Piano regolatore sono state bistrattate come lo è stato lui, più laureato sul campo dei tanti laureati sulla carta.
La sua impostazione intellettuale e tecnica si richiamava a principi fondamentali dello “stato di diritto” e al carattere assolutamente eccezionale dell’istituto della “deroga”. Di fatto, l’attuazione del Piano regolatore di Lamezia ha seguito un percorso completamente diverso, andando contromano rispetto alla stessa direzione del principio sostenuto anche dalla Corte dei conti in materia di opere pubbliche: “è di tutta evidenza che la localizzazione di opere pubbliche, al di fuori delle previsioni degli strumenti urbanistici e alcune volte anche contro le scelte fondamentali poste a base della pianificazione, produce la crisi della strumentazione urbanistica e mette in dubbio la stessa ratio insita nella pianificazione relativa agli usi e alle trasformazioni del territorio”.
Il principio che alimentava l’azione di Scano era chiaro: “i soggetti pubblici competenti al governo del territorio (concretamente: i detentori del potere decisionale) non possono assumere determinazioni caso per caso, ma sono tenuti a collocare ogni determinazione in strumenti regolativi complessivi (per l’appunto, gli atti della pianificazione territoriale e urbanistica), da formarsi secondo procedure regolari, trasparenti (cioè conoscibili, controllabili e giudicabili dai cittadini, nonché dalla magistratura) e partecipate (potenzialmente dalla generalità dei cittadini). E la giurisprudenza ha chiarito che gli atti della pianificazione territoriale e urbanistica sono sindacabili dalla magistratura, oltre che per vizi procedimentali, anche nel merito, ma ciò esclusivamente – preminente restando per il resto la discrezionalità (da non confondersi con l’arbitrio) tecnica, politica e amministrativa dei pianificatori –, sotto il profilo della manifesta illogicità e contraddittorietà, ovvero per irragionevole disparità di trattamento”.
Perciò di Luigi Scano rimane un ricordo indelebile. Anche per quel profondo senso di giustizia che animava il suo operato e che lo vedeva – con le dita ingiallite dalle gauloise, ma con la coscienza chiara – pronto a credere che laddove il governo del territorio fallisce tocca alla magistratura fare chiarezza su quei sistemi di potere che offendono la legge e gli ultimi, che sono fuori dai circuiti clientelari: soprattutto per l’importanza sociale ed educativa che ha il rispetto delle regole.