Luigi Petroselli è stato certamente il miglior sindaco di Roma nel dopoguerra. Ha anticipato il sindaco eletto direttamente, che risponde alla città e non a interessi privati, alle segreterie o alle dinamiche dei partiti. Aveva un’idea di Roma e seppe trasmetterla a tutti. Morì giovane ed è entrato nella leggenda.
Spesso è ricordato accanto all’altro grande sindaco di Roma,Ernesto Nathan. Nato inglese, ebreo, mazziniano, massone, estraneo alla lobby dei proprietari fondiari e del Vaticano, Nathan governò dal novembre 1907 al dicembre 1913. Trasformò Roma da capitale della Chiesa a capitale dello Stato. Pose al centro della sua azione l’istruzione, la cultura, l’educazione. Varò il piano regolatore e grandi progetti, costruì nuovi quartieri. A parte la comune appartenenza alla Sinistra, altri accostamenti sono difficili. Petroselli non aveva nulla dell’intellettuale cosmopolita, era un funzionario del Pci, per di più viterbese, e «sembrava un edile». Le cose che ha portato a termine sono pochissime rispetto al lungo elenco delle realizzazioni di Nathan. È vero che Petroselli è stato sindaco solo due anni, esattamente 741 giorni, dal 27 settembre1979 al 7ottobre 1981, giorno della sua improvvisa scomparsa. Ma dal 1970 era l’autorevolissimo segretario della federazione del Pci di Roma, che in larga misura determinava, anche dall’opposizione, le decisioni del Campidoglio. Ancora di più fu evidente il suo potere negli anni dal 1976 al 1979 quando fu sindaco Giulio Carlo Argan dopo la clamorosa vittoria elettorale del comunisti. E dopo la morte di Petroselli ha continuato a essere un riferimento, anche quando, nel 1993, il Centrosinistra è tornato al Campidoglio per quindici anni.
Qual è la ragione del mito di Petroselli, che resta vivo ancora oggi a trent’anni dalla sua scomparsa?
Noi siamo convinti che la memoria persistente di Petroselli dipenda dalla sua idea di Roma. Credeva in quell’idea, si capiva che ci credeva, e seppe trasmetterla con forza e in profondità a milioni di cittadini romani, e non solo romani. La sua idea, la sua idea-obiettivo, era l’unificazione di Roma. L’unificazione culturale dei borgatari che si avvicinano ai borghesi, e l’unificazione territoriale delle borgate che si accostano al centro. Un’unificazione, questo è un punto da chiarire bene, che era l’esatto contrario dell’omologazione consumistica denunciata da Pier Paolo Pasolini. Non l’annullamento delle differenze, non la rinuncia alle radici e alla storia, ma un obiettivo primario di uguaglianza, l’égalité del 1789.
Petroselli portò avanti con risolutezza le azioni intraprese dalla Sinistra per Roma - demolizione dei borghetti, risanamento delle borgate, Estate Romana, salvaguardia della residenza popolare in centro storico - ma spese il meglio della sua energia per il Progetto Fori: un progetto «sublime», lo ha definito Leonardo Benevolo, notissimo storico dell’architettura.
L’eliminazione della via dei Fori, mettendo la Storia al posto delle automobili, avrebbe obbligato a un diverso rapporto fra centro e periferia, a una più razionale distribuzione delle funzioni direzionali e dell’accessibilità. Una Roma moderna grazie all’archeologia.
In scala diversa, lo stesso obiettivo dell’unificazione Petroselli intendeva perseguirlo con l’intervento di Tor Bella Monaca. Che doveva essere un lodevole segmento di città pubblica - sinonimo di città moderna - nella periferia orientale. Ma più ancora che in questo, l’importanza dell’operazione stava nel rapporto che il sindaco aveva stabilito con la categoria dei costruttori (a Roma vasta e influente). Voleva trasformarli in autentici imprenditori, schiodandoli dall’atavica subordinazione alla rendita fondiaria, e perciò fu decisiva l’intesa con Carlo Odorisio, esponente illuminato della categoria e regista di Tor Bella Monaca.
Non si nuoce alla figura di Petroselli se si ricorda che commissione anche errori, per esempio nella composizione della giunta, e nel non aver affrontato - come avrebbe dovuto, e con la risolutezza propria del suo modo di governare - quell’impresa che pure sarebbe stata decisiva per l’unificazione della città: mettere fine all’abusivismo (anche se il peggio comincerà con le leggi di condono, dal 1985 in poi). Non capì - e in questo non c’è differenza con i sindaci prima e dopo di lui - la dimensione drammatica dell’edilizia illegale, immane palla al piede della città e dell’area metropolitana, impressionante fattore di arretratezza e di corruzione.
Il7 ottobre1981Luigi Petroselli fu stroncato da un infarto al termine di un intervento al comitato centrale del Pci. Con la morte di Petroselli muore la sua visione di Roma. A mano a mano anche se mai rinnegati, il Progetto Fori e Tor Bella Monaca sono stati svalutati, immiseriti, abbandonati. Il carattere esemplare di Tor Bella Monaca è stato travolto dalla sciatteria al momento delle assegnazioni e dall’ordinaria negligenza della gestione. Fino all’infame proposta di Alemanno di demolire il quartiere, restituendo il primato alla speculazione fondiaria.
Intanto opportunismi, piccole e grandi viltà hanno fermato il Progetto Fori. Il colpo di grazia è stato inferto nel 2001 quando un decreto del governo ha attribuito valore monumentale alla strada fascista. Che da allora è intangibile. E così, l’immagine ufficiale della Roma moderna resta quella voluta da Benito Mussolini. Mentre la cultura democratica tace.
Il testo che pubblichiamo è tratto daLaRoma di Petroselli di Ella Baffoni e Vezio De Lucia (Castelvecchi, 192 pagg, 14 euro). Il libro è ricostruisce il lavoro del “sindaco più amato” anche attraverso ricordi diretti. Come quello di Franco Ferrarotti: «Petroselli, all’epoca segretario del Pci romano,mi disse: “Hai analizzato la vita e la miseria delle borgate. Hai studiato tutto. E adesso? Adesso basta con le parole. Vai in Campidoglio e fai qualcosa di pratico per gli altri”».