muore nel Mediterraneo poiché è stata abbandonato Mare Nostrum, e la "troika" prosegue il tentativo di strangolare, con la Grecia, l'Europa della speranza. Articoli di P. Nerantzis, A.M.Merlo, R.Chiari. Il manifesto, 10 febbraio 2015
Grecia. Tsipras spera in un «new deal» con l’Eurogruppo e conferma: «Rispetteremo le promesse elettorali». Rappresentante Ue della troika si incontra con il vicepremier nella capitale greca
Alle porte di un compromesso storico: è questa la situazione in cui sembrano essere Atene e i suoi partner europei. Questo new deal che sarà messo domani sul tavolo delle trattative nella riunione di emergenza dell’Eurogruppo, sarà discusso il giorno dopo al vertice Ue e -se tutto va bene - sarà varato il 16 febbraio alla riunione ordinaria dell’ Eurogruppo, garantendo la liquidità ad Atene con dei pressupposti precisi affinché - vale a dire entro il giugno prossimo - Alexis Tsipras presenta il piano di risanamento quadriennale dell’ economia greca senza scomodare ulteriormente i partner europei, ne i correntisti tedeschi che secondo le fanfaluche di Schaeuble, «sono sempre loro a pagare per i greci».
Che ci troviamo a pochi passi da questo deal e non di fronte ad una rottura, come sostiene gran parte della stampa internazionale per fare pressing su Atene, si capisce da una lettura attenta delle dichiarazioni di dirigenti europei, ma anche da fondi vicine al premier greco che esprimono ottimismo.
Il premier Tsipras, sabato scorso ha presentato le linee programmatiche del suo governo e ha escluso ogni prolungamento dell’attuale memorandum e del monitoraggio della troika, chiedendo un nuovo accordo per rinegoziare il debito di Atene nell’ambito di una «intesa comune con i partner per l’ interesse di tutti».
Atene ha bisogno di una moratoria del pagamento del debito, ovvero di un programma di transizione a breve scadenza (accordo –ponte) per recuperare i fondi per la crescita e non un salvataggio perenne tramite nuovi finanziamentii da parte della troika (Fmi, Ue, Bce).
Alla Bce, si è aggiunta la Spagna, tramite il suo premier. Rajoy ha chiarito ieri che «la Grecia o chiede un prolungamento dell’ attuale programma di risanamento (ovvero una nuova austerity, ndr.) oppure niente». Alleata ai governi della eurozona che non vogliono sentirne parlare delle richieste di Atene l’agenzia Standard and Poor’s che ha declassato il rating della Grecia da B a B-. Alla Francia e all’ Italia, invece, che pur allineandosi alla fine con la cancelliera tedesca sulla linea della fermezza, non vedono di cattivo occhio le richieste greche — perché affrontano problemi simili (debito, ecc.)- si è aggiunta ieri l’ Austria. Il cancelliere austriaco, Werner Faymann, con un ruolo da intermediario tra Berlino e Atene, dopo il suo incontro con Alexis Tsipras a Vienna, ha detto che «bisogna trovare una soluzione di compromesso tra il vecchio programma di risanamento dell’ economia greca e al programma del nuovo governo» greco.
La necessità di trovare un new deal tra Atene e Berlino, è sostenuta in un rapporto dalla Commerzbank, la seconda banca tedesca per grandezza e la stessa Gran Bretagna, principale partner commerciale dei paesi della zona euro. David Cameron che teme l’effetto contagio sui mercati finanziari da una possibile uscita della Grecia dalla zona euro, ha convocato ieri una riunione per riesaminare i piani di emergenza del suo governo nel caso di un Grexit.
Contraria a ogni forma di austerity irragionevole e rischiosa è la Casa Bianca che non incide sui fatti interni dell’ Ue, ma preme per una soluzione visto che una rottura potrebbe avere ripercussioni globali. Per Atene Londra e Washington sono di fatto in questo momento alleati buoni.
Che tutte le parti, esclusione fatta per Berlino, si rendano conto che serve una soluzione di compromesso, si capisce dal viaggio lampo ad Atene del capo dell’Euroworking group e del rappresentante dell’Ue alla troika che si sono incontrati con il vice-premier e il ministro delle finanze greco per discutere le proposte che Atene sta preparando per presentarle domani alla riunione dell’ Eurogruppo. Le premesse sono incoraggianti, nonostante «l’isolamento di Atene».
Intanto stasera si conclude con il voto di fiducia al nuovo governo il dibattito parlamentare sulle dichiarazioni programmatiche di Alexis Tsipras, il quale tra l’altro ha annunciato un insieme di misure per far fronte alla crisi umanitaria: salario minimo a 751 euro, assunzione dei 3.500 dipendenti pubblici licenziati dalla troika, restituzione della tredicessima ai pensionati. Ha deciso la sospensione dei pignoramenti sulla prima casa, alloggio, cibo e elettricità gratis per 300.000 famiglie vittime dell’ austerity, assistenza medica gratuita per i disoccupati, abrogazione delle tasse supplementari alle case, vendita di uno dei tre aerei del premier e di 700 auto blu, di- mezzamentodel personale a Mega- ro Maximou, sede del governo, an- nullamento dei privilegi dei parla- mentari, riorganizzazione da zero della radiotelevisione pubblica, in- chiesta parlamentare su come si è arrivati al memorandum, conces- sione della cittadinanza ai figli di migranti nati in Grecia, disarmo dei poliziotti durante le manifesta- zioni, misure severe per combatte- re l’ evasione fiscale e la corruzio- ne, rivendicazione dei debiti di guerra da Berlino.
SETTIMANA CRUCIALE PER LA GRECIA
di Anna Maria Merlo
L'Eurogruppo vuole "un piano" preciso dalla Grecia e rappresentanti della trojka sono ad Atene. Londra soffia sul fuoco del Grexit ("solo questione di tempo" per Greenspan, ex Fed). Francia e Italia cercano di calmare il gioco. Padoan risponde a Varoufakis: il "contagio italiano è escluso". Per Gabriel (Spd, vice-cancelliere), ci sono probabilità "pari a zero" che la Germania prenda in considerazione la richiesta di riparazioni di guerra
Settimana cruciale per la Grecia e il suo debito insostenibile. L’Eurogruppo preme e pretende che Varoufakis ”consegni” alla riunione straordinaria di domani a Bruxelles il “piano” per uscire dalla crisi. C’è chi getta olio sul fuoco e chi cerca di calmare il gioco. In Gran Bretagna, David Cameron ha convocato un vertice con il cancelliere dello scacchiere, George Osborne, e dei rappresentanti della Bank of England, per prevenire il “contagio” nell’eventualità di un Grexit. Per l’ex capo della Federal Reserve, Alan Greenspan, difatti, l’uscita della Grecia dall’euro “è solo questione di tempo” (lo ha detto in un’intervista alla Bbc).
Il governo greco fa un discorso senza concessioni, ma non ha rotto i contatti con Bruxelles. Per preparare l’Eurogruppo dell’11, che precede di un giorno il vertice Ue che sarà il debutto di Tsipras a Bruxelles, Atene accoglie dei rappresentanti dell’odiata trojka: da domenica sono in Grecia Declan Costello, rappresentante della Ue nella trojka, con Thomas Wieser, presidente dell’Euro Working Group, che prepara la riunione dell’Eurogruppo. La Bce, che mercoledi’ ha chiuso un rubinetto di finanziamento alla Grecia, rifiutando dall’11 febbraio prossimo in garanzia le obbligazioni di stato greche (valutate “spazzatura” dalle agenzie di rating, per S&P ormai la Grecia è scesa a B-), resta divisa sulla mossa di mercoledi’ scorso. A causa del meccanismo di rotazione nel voto al consiglio dei governatori, alcuni paesi non erano presenti al voto che ha deciso il colpo di mano di mercoledi’: tra essi la Francia (e anche Grecia e Cipro). E la presidente del consiglio di vigilanza dellz Bce, la francese Danièle Nouy, ha affermato che “oggi le banche greche sono molto più solide”.
Dalla Germania è arrivato un nuovo secco “nein” alla richiesta delle riparazioni di guerra da parte di Tsipras. Per Sigmar Gabriel, Spd e vice-cancelliere, la “probabilità è eguale a zero”. La questione “è stata risolta 25 anni fa, giuridicamente con il trattato 2+4” del ’90 (le due Germanie più gli Alleati), che hanno accettato la rinuncia alle riparazioni (e la Grecia l’aveva approvato). “Non serve a nulla proseguire su questa strada” ha concluso Gabriel, al seminario Spd di Nauen. Per il portavoce del ministero delle Finanze di Berlino, non c’è “nulla di nuovo” su questo fronte.
La risposta è l’applauso dei 450 delegati metalmeccanici Cgil arrivati da tutta la Toscana, nel veloce giro d’Italia che Landini sta facendo in questi giorni con gli attivi regionali. Per fare il punto della situazione nelle fabbriche. Su che sta accadendo con il jobs act: “Non abbiamo mai vissuto un processo del genere, che cambia la natura stessa delle relazioni sindacali”. Sui contratti da rinnovare quando le controparti, dai bancari ai chimici, o li disdicono o pongono condizioni capestro come la restituzione di parte del salario. Poi sull’importanza di aumentare le iscrizioni al primo sindacato metalmeccanico, per pesare sempre più ai tavoli di trattativa. Infine per ribadire che lo sciopero generale di dicembre della Cgil è stato solo il primo passo di una mobilitazione che deve andare avanti. E spiegare che sì, si può fare.
Il ragionamento del segretario Fiom procede passo passo. Molte argomentazioni sono conosciute a chi mastica un po’ di politiche economiche e finanziarie. Ma di fronte ai suoi iscritti Landini ha — e sente — il dovere di spiegare e rispiegare il perché del passaggio politico. Senza mai dimenticare il suo punto di vista, quello del sindacalista. “In tutta Europa – ricorda – è in atto una operazione che punta a ridurre il ruolo dei sindacati a semplici organizzazioni aziendali e corporative. Il campo di gioco è quello, per la semplice ragione che ci sono 25 milioni di disoccupati nel continente, sui quali si sta giocando per abbassare diritti e tutele a tutti gli altri. Dunque non è un problema solo italiano. Anche perché il governo italiano, come si dice dalle mie parti, comanda solo fino a mezzogiorno”.
Si gioca in Europa, ripete Landini, perché dei 100 milioni di interessi pagati ogni anno dall’Italia, una buona parte (“tramite la Bce”) finisce nelle casse della Bundesbank tedesca, che ha in pancia i titoli del debito italiano. “Se invece non paghi gli interessi, soprattutto in questi anni di deflazione, e restituisci il debito non in cinque anni ma in trenta, non credete che la situazione cambi parecchio?”.
I delegati toscani, operai e impiegati della fabbriche di una regione dove la Fiom ha conquistato l’82% nei rinnovi delle Rsu, ascoltano con attenzione. Annuiscono. Applaudono, quando il loro segretario ricorda la lettera della Bce del 5 agosto 2011: “C’era scritto che i servizi pubblici dovevano essere privatizzati. Che salari e orari di lavoro dovevano essere ‘ritagliati’, azienda per azienda. Si doveva alzare l’età pensionabile e abbassare gli assegni, ridurre il costo della pubblica amministrazione, dare ‘più libertà’ al mercato del lavoro, e ‘riformare’ le istituzioni. Ebbene, sia Monti che Letta e ora Renzi hanno applicato tutto questo. Punto per punto”.
Non solo Fiom. Il comitato nazionale dell’Arci, per acclamazione, ha dato l’adesione alla manifestazione di sabato. Anche dentro la segreteria Cgil si discute, più o meno informalmente, su che fare. E le minoranze del Pd hanno chiesto a Renzi, Orfini e ai capigruppo Zanda e Speranza di riunire le assemblee parlamentari e la direzione: “Per discutere della linea che il Pd terrà in occasione dei prossimi appuntamenti europei relativi al caso Grecia”. Chiamando al compromesso, fra posizioni che fra loro restano opposte, alla vigilia dell’Eurogruppo e dei vertice dei capi di governo Ue.
Intanto i metalmeccanici Cgil vanno avanti. Come treni. Al direttivo della confederazione del 18 febbraio arriverà la proposta di un pacchetto di ore di sciopero. Contro il jobs act e per modificare radicalmente la legge Fornero. Si pensa ai ricorsi europei, alle impugnazioni dei licenziamenti, all’ipotesi di un referendum abrogativo. “La nostra costituzione – ha ricordato Maurizio Landini nella Casa del popolo di San Bartolo a Cintoia – ci dà il principio di organizzarsi collettivamente, per discutere nelle aziende ma anche per contribuire al miglioramento delle condizioni sociali. Ebbene, non abbiamo mai avuto un governo come questo. Che non ha accettato un tavolo di discussione, mentre approvava politiche contro i diritti dei lavoratori”