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Rosie Laufer
Loro e noi: i giovani che non possiamo permetterci di perdere
13 Agosto 2011
Articoli del 2011
Dal Guardian, 13 agosto 2011, una riflessione piuttosto realistica e in presa diretta col vero e proprio movimento, per quanto insolito, alla base delle rivolte urbane (f.b.)

Titolo originale:Them and us: the young Londoners who we can't afford to alienateScelto e tradotto da Fabrizio Bottini



Si volatilizzano i servizi essenziali per mantenere i giovani senza fissa dimora con cui lavoro nell’ambito della società civile. Per chi fra noi opera in quella terra di frontiera, era chiaro da tempo che qualcosa, in qualche modo, sarebbe arrivato a sconvolgerci.

E lunedì si è capito che era cominciato. Nel pomeriggio, mi entravano in ufficio ragazzi gridando “Sta cominciando a Lewisham. Accendi il notiziario, accendi”. Nel giro di mezz’ora, si è capito che avevano ragione. Durante la giornata, continuavano a chiedere cosa dicevano i notiziari, se sapevo qualcosa io, cosa si vedeva sugli schermi TV. É la prima volta, dopo un anno di tentativi per interessarli al mondo che li circonda, che qualcuno di loro manifesta un po’ di interesse per quello che dicono i media. Uno mi ha chiesto “Cosa dicono di noi?”

Mi ha colpito quel “noi”, l’identificazione immediata coi ragazzi di Lewisham. Nessuno di loro aveva mai messo piede nei quartieri in rivolta, ma non c’era alcun dubbio sul fatto che si ritenessero parte di quella vicenda. Martedì mattina una ragazza mi ha detto che quelli dei Cherry Boys, famigerata banda del sud-est londinese, lunedì pomeriggio spingevano le persone in entrata e uscita dal negozio JD Sports di Charlton: “ Muovetevi. Muovetevi. Prendete la roba e lasciate posto al prossimo”.

Sono anche riuscita a cavare da un altro ragazzo qualche notizia a proposito della sua spedizione a Woolwich con gli “amici”. Lo conosco da quasi due anni e so bene quanto abbia subito dalle bande di Woolwich. L’ultima volta che era stato in quella zona, più di un anno fa, l’avevano preso a coltellate, quasi ammazzato. Ma la rivalità, che gli era quasi costata la vita, adesso non contava più: “Sai, capo – mi ha detto – Ieri sera Londra era libera”.

Ma è evidente che mentre le cose continuano ad accadere nessuno ascolta le storie di chi partecipa alla rivolta. Se ascoltassimo, riusciremmo a capire che esistono spiegazioni molto migliori di quella della “pura e semplice criminalità” proposta da David Cameron.

Negli ultimi giorni la gente ha paura a uscire di casa, ma i giovani si sentono per la prima volta liberi di muoversi nei quartieri, dopo dieci anni. Gli abitanti sono infuriati perché si sono colpite al cuore le comunità, ma quei giovani parlano di “noi”. I negozianti hanno combattuto per difendere ciò che possiedono, contro chi cercava di appropriarsi di quanto non può avere. Si sono invertite le parti; la città e la società ribaltate. Sorprende, che vogliano ciò che vogliamo anche noi, ovvero la possibilità di muoversi liberamente, di esprimere comunità, identità, e naturalmente possesso materiale? Ed è questo il modo in cui ce lo dicono quei giovani insoddisfatti, di solito privi di voce.

Abbiamo chiuso i loro centri di aggregazione, eliminato i fondi per la formazione. Eroso le loro aspettative nella società. Possiamo solo ascoltare, perché ci stanno dicendo qualcosa, magari in modo non del tutto efficace, senza giustificazioni, distruttivo. Capire non vuol certo dire perdonare. Ma liquidare le rivolte come azioni sconsideratamente criminali significa negare le gravi carenze del sistema, ed emarginarli ulteriormente da una società che non sentono più loro.

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