Il manifesto.info, 6 luglio 2015
Dopo giorni di tensione, minacce e allarmi, la festa esplode spontanea già all’arrivo dei primi inequivoci risultati, a meno di due ore dalla chiusura dei seggi. Le strade si intasano di migliaia di persone dirette ancora una volta, come venerdì scorso, verso Syntagma, la piazza del Parlamento. Non c’è nulla di organizzato perché Alexis Tsipras alla vigilia aveva raccomandato calma e sobrietà, la stessa con la quale da ieri mattina cittadini greci di ogni età si sono messi in fila ai seggi per votare, ognuno senza chiedere all’altro come la pensasse. Quella che per una settimana li aveva disciplinatamente fatti mettere in fila ai bancomat per ritirare i 60 euro giornalieri consentiti dopo lo stop deciso dal governo o a qualche supermercato per la paura, infondata, che come in guerra prendessero a scarseggiare i viveri.
Fin dalle prime ore del mattino, prima gli anziani e poi man mano tutti gli altri, i seggi erano stati un tranquillo via vai di persone, restituendo un’idea di grande maturità e dando una lezione di democrazia all’Europa, laddove quest’ultima è nata, come ama ricordare spesso Alexis Tsipras. Divisi ma insieme, chi era convinto che dopo aver detto tanti sì all’Europa in cambio di un massacro sociale era giunta l’ora di un bel no, e chi invece aveva paura di perdere anche quel po’ che gli è rimasto, chi non ha più alcunché da mettere in gioco e chi invece sulla crisi ha galleggiato come un surfista su un mare in tempesta.
Ma la voglia di scendere in piazza è stata incontenibile: troppo netto il successo, troppa la voglia di mostrare all’Europa che per i greci questa battaglia è appena cominciata e vogliono vincerla. È per questo che le bandiere greche questa volta hanno la meglio sui simboli di partito e sui drappi rossi, persino sugli stracci con su scritto «Oxi», «no», dei quali ora non c’è più bisogno. Ora è necessario che i negoziatori greci a Bruxelles sentano di non essere soli, e per questo si sprecano i cartelli in inglese dai messaggi espliciti. Il più chiaro di tutti recita: «This struggle is not about Europe, it’s about freedom» («Questa lotta non riguarda l’Europa, ma la libertà»). C’è anche un gruppo di tedeschi, sono del movimento Blockupy che lotta contro l’austerità e sono i benvenuti.
Un cauto ottimismo serpeggiava già dal primo pomeriggio anche nel quartier generale di Syriza in piazza Koumoundourou. La sensazione che la vittoria fosse a portata di mano è aumentata quando hanno cominciato a circolare i primi sondaggi non ufficiali, a urne ancora aperte: il no al 51 per cento, poi al 54. Finché, alle 19 in punto, ai primi “opinion polls” che davano il no in vantaggio la gioia era esplosa e la tensione si era sciolta negli abbracci e nei sorrisi condivisi con gli alleati europei (rappresentanti della Linke tedesca, della spagnola Podemos, ciprioti dell’Akel, irlandesi dello Sinn Fein, la nutrita delegazione italiana, rappresentativa di tutta la galassia della sinistra) accorsi già da venerdì a sostenere la rivoluzione europea partita da una periferia del continente e il suo condottiero Alexis Tsipras, che ha vinto la scommessa più grande trascinandosi dietro più della metà abbondante del popolo greco.
Non sono servite a molto le ingerenze europee e la confusione mediatica, davvero impressionante, messa in piedi ad arte da un fronte del sì con pochi argomenti a propria disposizione se non quello, abituale, della paura. Un argomento che però i greci hanno rigettato, come si intuiva nelle strade e si è capito la sera della grande manifestazione di venerdì a sostegno del no. Lo sapevano tutti, anche quelli del sì che in un documento a uso interno già giovedì scrivevano che il no era al 70 per cento nei centri urbani e che perfino il 10 per cento degli elettori di Nea Democratia avrebbe votato a favore del piano dei creditori. Ma hanno continuato a fingere e a propagandare sondaggi inattendibili e costruiti alla bisogna per sola propaganda elettorale. Ci sono cascati in molti, ma solo chi non voleva vedere per partito preso non ha capito quello che stava fermentando ancora una volta nella pancia della società ellenica.
Nella notte di piazza Syntagma circola una battuta: «I colpi di stato non avvengono più by tanks, but by banks», con chiaro riferimento ai carri armati della dittatura dei colonnelli che in tanti ancora ricordano qui in Grecia e al rischio che siano ora le banche, asfissiando la popolazione, a promuovere il regime change. Ma buttare giù Alexis Tsipras e il suo governo è ora molto più difficile per tutti, anzi i più deboli sono i falchi dell’austerità, a cominciare da Angela Merkel e Jean Claude Juncker (anche se, tra i leader europei, nessuno esce bene da questa storia, compreso il nostro Matteo Renzi), ed è stato questo il colpo da maestro del premier greco. Ma a come andare avanti si penserà da oggi, subito perché la situazione non consente di tergiversare, con calma e determinazione com’è stato fino a oggi. Ora è il tempo di festeggiare, la notte di Syntagma è ancora lunga.