Persino Hegel, teorizzatore dello stato etico, ha vigorosamente sostenuto che «l'uomo che muore di fame>> ha non solo il diritto, « ma il diritto assoluto di violare la proprietà di un altro»>>
per assicurarsi la sopravvivenza. Lo ricorda Domenico Losurdo in Hegel e la libertà dei moderni. Ecco un principio fondativo della modernità, quella categoria che designa un'epoca della spiritualità occidentale, oggi diventato un lemma sdrucito del linguaggio pubblicitario. Di fronte alla persona che giace nel più estremo bisogno, perfino la proprietà privata, il più solido architrave della società borghese, deve cedere il passo. Dopo la conquista dell'habeas corpus, uno dei diritti fondamentali della prima età moderna, volto a tutelare l'individuo dall'arbitrio del potere assoluto, ecco un principio eversore dell'ordine dominante: il diritto della persona umana a non soccombere a quella totale assenza di diritti generata dal bisogno estremo.
Oggi, com' è noto, il soccorso a quel bisogno, viene non solo praticato da gran parte degli stati europei, ma fa parte, grazie alla Carta dei diritti , della legislazione dell'Unione. Il reddito minimo, di cittadinanza, o comunque denominato, è una conquista della civiltà giuridica dello stato di diritto. E perciò stupisce non solo la sua assenza dall'ordinamento e dalla pratica statuale in Italia, ma anche la vaghezza, la ritrosia, la timidezza con cui il tema viene trattato dalle forze politiche e sindacali. Forse occorrerebbe collocare questo principio sullo sfondo storico che oggi lo mostra non solo necessario, ma lo proietta nel nuovo ordine possibile delle società avvenire. E' necessario rammentare che nelle odierne società industriali il reddito della grande maggioranza degli individui è dipendente dal loro lavoro salariato. Se questo viene meno, diventa precario, discontinuo, le condizioni della vita materiale precipitano e la dignità della persona, resa fragile ed esposta a forze incontrollabili, subisce uno scacco drammatico.
Eppure occorre inserire la richiesta del reddito di cittadinanza in una prospettiva più ampia di quanto oggi non sia visibile in un intervento che può apparire solo un soccorso congiunturale. Bisogna ricordarsi da dove ha origine la presente crisi. E' necessario cogliere un aspetto fondamentale dello sviluppo capitalistico degli ultimi 30 anni. E' qui che occorre scorgere la poderosa inversione strategica di cui è figlio il nostro tempo. Il capitalismo ha subito un evidente deragliamento, che lo ha posto fuori dal suo lungo percorso storico. Ciò che noi chiamavamo “sviluppo” - termine sopravvissuto nell'inerzia linguistica di chi non si è accorto di quanto è accaduto - era una crescita economica che si redistribuiva largamente grazie alla pressione operaia e sindacale, governata dal potere pubblico entro entro i confini nazionali. L'emarginazione del sindacato, la scomparsa del nemico con il crollo del comunismo, lo svuotamento dei partiti di massa, la libertà quasi eslege concessa al danaro, l'apertura di un mercato del lavoro illimitato su scala mondiale hanno dato al capitale poteri forse mai posseduti in tutta la sua storia.
E' dunque su questo perverso interesse che occorre intervenire, rendendo gli individui potenzialmente indipendenti, per la loro possibilità di vita, dal “ricatto” del lavoro. E' questo il punto archimedico su cui far leva. Occorre separare sempre più marcatamente il reddito per vivere dalla prestazione lavorativa. Ciò peraltro non costituisce semplicemente una “concessione” utile alla coesione sociale e al sostegno alla domanda interna. Nelle nostre società viene svolta una massa gigantesca di lavoro non pagato, che accresce incessantemente la valorizzazione del capitale. La fatica quotidiana delle donne che rendono la forza-lavoro dei mariti e dei figli, oltre che la propria, pronta per la prestazione in fabbrica o in ufficio, chi la paga? Chi paga il lavoro in casa, a qualsiasi ora, del giorno e della notte, mentre si sta collegati in rete o al telefono?Per milioni di individui la giornata lavorativa è ormai senza limiti. Mentre il capitalismo si appropria quotidianamente dei saperi, idee, creatività, del general intellect, per dirla con Marx, che la massa degli individui produce incessantemente con la propria operosità molecolare.