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Carla Ravaioli
“L’opinione contraria”. L’urbanistica per interpretare la realtà
14 Dicembre 2008
Recensioni e segnalazioni
Su Liberazione del 6 gennaio 2007 una recensione del libro di Lodo Meneghetti, L’opinione contraria e, indirettamente, di eddyburg

Gli antefatti hanno i nomi di Leonardo Borgese, Antonio Cederna, Carlo Giulio Argan. I compagni di strada si chiamano Adriano La Regina, Vezio de Lucia, Edoardo Salzano,Vittorio Emiliani, Francesco Erbani, Giuseppe Chiarante, Paolo Berdini… quanti insomma sono ancora capaci di indignarsi di fronte a un paese che alacremente va distruggendo il meglio di sé. Mi riferisco a L’opinione contraria, un prezioso libretto uscito da pochi giorni (Libreria Clup) a firma di Lodovico (Lodo) Meneghetti.

Urbanista di fama e a lungo apprezzatissimo docente al Politecnico di Milano, Meneghetti è anche autore di importanti saggi. Ma le sue più roventi indignazioni usa scaricarle, spesso a botta calda, nell’immediato dei fatti incriminati o nel cuore delle contese, su Eddyburg: un sito internet felicemente ideato e gestito da Salzano, di cui oggetto centrale sono appunto i problemi dell’urbanistica, e che però allarga sguardo e attenzione fino a porsi come un luogo di autentico e ricco dibattito politico. Proprio gli interventi da Lodo affidati negli ultimi due anni a Eddyburg sono ora assemblati e pubblicati. Ma il lavoro non ha nulla della solita generica raccolta di articoli che chiunque lavori di scrittura ormai si concede. Opinione contraria è un discorso unitario che si dipana, lucido coerente e adirato, lungo quello che l’autore chiama un “elenco di sconfitte”.

Tutti i luoghi offesi e stravolti da gigantesche colate di cemento (coste, valli, panorami collinosi), tutte le campagne plastificate per migliaia di chilometri quadrati di serre (vaste e crescenti porzioni delle nostre pianure), tutte le città colpite dalla rottura di secolari equilibri tra architettura e paesaggio (pochissime quelle che finora si sono salvate), tutti gli interventi (spesso privi di ogni necessità) lesivi dell’ambiente storico e naturale. E certamente tutte le “grandi opere”, oggetto di interminabili quanto poco edificanti polemiche, Tav, Mose, Ponte sullo Stretto, Autostrada maremmana, Auditorium di Ravello, ecc. L’intero panorama del saccheggio di quello che era, ed è sempre meno, il Bel Paese, scorre sotto l’occhio inesorabile di Meneghetti.

Ma il suo non è solo risentimento estetico di fronte alla bellezza offesa con brutalità e insipienza. Il suo giudizio è ben lontano dall’aristocratico lamento di chi si limita a disapprovare. Ad animare il suo sdegno è il dominio della rendita immobiliare, sono i falsi concorsi e le gare truccate, le radicali e rovinose ristrutturazioni di antichi centri storici passate come restauri, le licenze compiacenti e gli imbrogli spesso avallati quando non promossi dalle pubbliche amministrazioni; è la politica dei governi di destra, con sanatorie e condoni a pioggia, con la sfacciata difesa di interessi privati, con leggi mostruose come la Lupi e piani regolatori che sono ossequiosi omaggi ai palazzinari; ed è anche il lassismo di non poche giunte di sinistra, giustificato magari nel nome di un “abusivismo di necessità”. Non è insomma soltanto, e nemmeno soprattutto, l’incontinenza edificatoria a suscitare l’ira di Lodo, ma è tutto quanto sta dietro ad essa e la determina. Ed è così che il suo discorso si allarga, spostandosi verso una dimensione decisamente politica.

In questa chiave vengono affrontati problemi che non appartengono soltanto e strettamente all’urbanistica, e però nel suo ambito necessariamente ricadono. Come la crescita esponenziale degli automezzi, che porta il traffico cittadino a livelli di assoluta invivibilità, ciò che a sua volta insensatamente cerca soluzione nella moltiplicazione dei parcheggi, ìn tal modo facendo strada a un nuovo rilancio del mercato dell’auto, e così via. Oppure temi che all’urbanistica direttamente appartengono, ma che per la loro natura squisitamente sociale assumono una qualità particolare, da affidarsi necessariamente a ragionate scelte politiche. E’ il caso delle abitazioni popolari, questione ben nota a Meneghetti anche per via della sua esperienza di amministratore comunale nella natìa Novara, che ricorre in vari momenti del libro, sviscerata nella sua complessità e nel suo mutare in rapporto all’evolversi della società, nell’andamento demografico, nel trasformarsi del lavoro in seguito alla deindustrializzazione, e quindi delle classi lavoratrici e dell’intera struttura della popolazione.

In questa lettura della realtà i problemi dell’urbanistica inevitabilmente si jncontrano con quelli della crisi ecologica e si riconoscono nelle medesime ragioni di fondo: in sostanza riconducibili alla temperie culturale dominante, o addirittura alla stessa forma antropologica della società attuale, dominata della logica di mercato che tutto involgarisce e deforma, definita in ogni sua espressione da una razionalità economica clamorosamente confliggente con le leggi e i limiti dell’ambiente naturale, che pure dell’ecocomia è luogo e supporto. E a questo proposito va detto che Lodo è uno dei rari intellettuali, non ambientalisti di professione, ad aver capito a pieno i meccanismi per cui l’agire umano obbediente al modello invalso inevitabilmente mette a rischio continuo gli equilibri dell’ecosfera.

Non a caso lo “sviluppo sostenibile”, questo ossimoro eletto ad alibi delle peggiori aggressioni alla natura, viene da lui vituperato senza sosta; così come viene criticata, anzi dileggiata con la sua più sferzante verve polemica l’eterna invocazione delle sinistre allo sviluppo, che sintetizza nella irridente sigla “Saoc” (Sviluppo ad ogni costo): e al proposito non vengono risparmiate le ambiguità di non pochi ambientalisti militanti e giornalisti compiacenti. Mentre assai meglio che da molti “esperti” e addetti ai lavori, viene da lui analizzata la questione delle fonti di energia rinnovabile, vista come un possibile ulteriore mezzo di crescita senza freni, se non verrà integrata da un serio programma di rispamio, anzi da un impegnativo piano energetico.

A un dato momento Lodo si richiama a Gramsci, parlando di “pessimismo della ragione”. E nessuno potrà negare che gli appartenga. Non tale però da precludere quel tanto di “ottimismo della volontà” necessario alla perseveranza delle sue battaglie. Che infatti su Eddyburg, e non solo, continuano.

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