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Andrea Valdambrini
L’Onu: “Ora basta uccidere”. Ma questo è l’anno record
28 Dicembre 2016
Politica
«Votata la moratoria sulla pena di morte nonostante i numeri in crescita delle esecuzioni capitali dalla Cina all’Arabia Saudita».

Il Fatto Quotidiano, 27 dicembre 2016 (p.d.)

Memphis, Tennessee, 2 ottobre 1983. Verso le 9 del mattino alcuni uomini armati fanno irruzione in un supermercato. Durante la rapina, partono dei colpi di arma da fuoco e il proprietario, Joe Belenchia, rimane ucciso sul colpo. Testimoni raccontano di aver visto i criminali fuggire a bordo di un’auto rosso scura. Grazie a questo dettaglio, la polizia rintraccia il colpevole. Si chiama Ndume Olatushani, ha 24 anni, è afroamericano. Dice che quella mattina era a casa da sua madre in un’altra città, St. Louis, a 5 ore di macchina dal luogo della rapina. Eppure la polizia afferma di aver trovato le sue impronte digitali sul vetro posteriore. Il processo si conclude quasi due anni dopo: Ndume viene condannato alla pena di morte. Come si scoprirà negli anni, condannato da innocente. “Sono rimasto in prigione per 28 anni, nel braccio della morte per due decenni”, dice Ndume, il cui calvario giudiziario è terminato, dopo numerosi appelli e due nuovi processi, solo nel 2012. I giudici hanno riconosciuto che le prove e le testimonianze contro di lui erano state falsificate.

“Al di là della crudeltà e ingiustizia, la sola attesa del patibolo nel braccio della morte è già di per sé una pena terribile. E in attesa si può rimanere per tempi lunghissimi”, osserva Eleonora Mongelli, che prima di entrare della Lega italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu), ha lavorato per Ensemble contre la Peine de Morte (Ecpm). Con Nessuno Tocchi Caino e altre ong, tra cui Sant’Egidio e Amnesty. Ecpm fa parte della World Coalition against the Death Penalty, rete di associazioni che si battono per contrastare l’applicazione delle pena capitale o tenta di prevenirla.

Anche grazie agli sforzi di queste ong l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato alla vigilia di Natale una risoluzione che chiedela moratoria del patibolo in tutto il mondo. E che è stata approvata a grande maggioranza: 117 in favore, 40 contrari e 31 astenuti. Un voto non vincolante, purtroppo, che si scontra con la triste realtà. Secondo dati di Ecpm, nel solo 2015 ci sono state 1634 esecuzioni e quasi 2.000 condanne a morte in 61 Paesi: record rispetto agli ultimi 25 anni, spesso giustificato da governi autoritari con motivazioni antiterroristiche.

L’ultimo rapporto di Nessuno tocchi Caino – storicamente legato al Partito Radicale Transnazionale – stima come in Cina sono state eseguite almeno 1200 condanne, 657 in Iran, 174 in Pakistan e 102 in Arabia Saudita. Eppure, la tendenza generale è quella verso l’abolizione della pena di morte: sono oltre 100 Paesi che hanno deciso di eliminare, di diritto o di fatto, il patibolo. Poche settimane fa Antonio Stango, del direttivo di Nessuno tocchi Caino, ha guidato una delicata missione in Kenya Zambia Malawi e Swaziland. Tappe importanti per la battaglia abolizionista: da anni questi Paesi africani osservano una moratoria, anche se per ragioni di consenso nell’opinione pubblica si erano astenuti dal voto contro la pena di morte in sede Onu, mentre ora hanno votato a favore della moratoria.

“Come ha insegnato Cesare Beccaria, la certezza del diritto e non la pena capitale è un efficace deterrente contro il crimine”, osserva Stango. “Solo l’abolizione riduce il tasso complessivo di violenza e facilita il passaggio dalla vendetta alla giustizia. Un elemento fondamentale per definire una civiltà giuridica moderna”.

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