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Alberto Asor Rosa
L'«onore d'Italia»
1 Maggio 2011
Articoli del 2011
Se si volesse tentar di uscire dal marasma nel breve periodo, sarebbe necessario…Il manifesto, 1° maggio 2011

Allora è possibile, - anzi vero, - che un messaggio forte e chiaro che «scenda dall'alto» è destinato a produrre effetti decisivi in questa scassatissima Repubblica parlamentare che è diventata l'Italia. Naturalmente, mi rendo perfettamente conto che, una volta stabilito il principio, può anche accadere che il messaggio vada in direzione contraria a quella per cui è stato invocato. Ma tant'è: una volta stabilito il principio, può darsi che la prossima occasione sia quella buona.

Nel frattempo bisognerebbe evitare che un Governo, arrivato alle soglie dello sfacelo, si salvi in questa situazione proprio a causa dell'appoggio, sia pure paradossale e indiretto, delle opposizioni. Forse un modo c'è: prescindendo dal merito, che probabilmente, ahimè, ormai non è più nemmeno in discussione, resta che il comportamento del governo italiano, e del suo presidente del consiglio, è stato in occasione della crisi libica assolutamente vergognoso. Come al solito, l'«onore dell'Italia», - secondo quanto scriveva il valdese Piero Jahier nel corso della prima guerra mondiale, - sta in basso, tra gli alpini-soldati allora, ma anche fra la gente comune oggi, sempre più stanca dei giochini che i potenti fanno sulla sua pelle. Ricorre il centenario della prima guerra di Libia (strano che non lo si sia abbastanza notato): quella fu la fonte di molte sciagure: speriamo che non lo sia anche questa.

Forse ha ragione Massimo D'Alema quando dice (la Repubblica, 28 aprile) che decisive potrebbero risultare le prossime elezioni amministrative (perché non anche i referendum, che invece vanno difesi a spada tratta? Mah). Va bene, scegliamo questa strada, che è la più classica, ma non per questo necessariamente sbagliata, e mettiamocela tutta. E poi?

Per vincere, o almeno per dare alla maggioranza una sacrosanta lezione, bisognerebbe che tutte le opposizioni convergessero verso la medesima direzione. E' l'ipotesi Pd-Bersani. Ma non è così. Casini fa un suo gioco, che corrisponde alla lettera agli orientamenti della chiesa in questo momento: cercare di far fuori l'ormai impresentabile B. per aprire una nuova dialettica all'interno del Pdl, cui l'Udc sarebbe ben lieta di partecipare (e probabilmente, di conseguenza, anche settori del Pd).

E i finiani? I finiani costituiscono un caso davvero singolare nel già singolarissimo quadro politico italiano. Come è noto, son partiti da una piccola ma non irrilevante «rivoluzione culturale», sulle colonne del Secolo e di altre pubblicazioni e riviste. Si trattava di rifondare culturalmente la destra italiana, fuori e contro l'egemonismo berlusconiano, e i suoi sostenitori lo hanno fatto a lungo in termini non trascurabili. Poi la storia e la politica li hanno spinti in direzioni obbligate e alquanto diverse: l'alleanza con Casini e Rutelli è davvero un'altra cosa rispetto alle loro premesse e ai loro obiettivi. Ora sono dilaniati anche da una crisi interna da parte di quelli di loro che li vorrebbero sospingere verso un ritorno all'indietro: in pratica, verso il riconoscimento di una sconfitta strategica e la conseguente inevitabile dissoluzione. Anche per loro le prossime scadenze, - Libia, referendum ed elezioni amministrative , - rappresenteranno una prova decisiva. Se si tirano indietro questa volta, sono spacciati.

E il Pd? Il Pd dovrebbe sforzarsi di uscire dalla equivocità perenne dei suoi atteggiamenti e delle sue scelte, cui forse lo condannano la sua affrettata composizione e la sua composita struttura (non parlo delle vecchie componenti: personalità come Bindi o Franceschini, per intenderci molto sommariamente, stanno molto più «a sinistra» di altre provenienti dal vecchio Pci). L'asse strategico, - «l'onore d'Italia», il vero «onore d'Italia» in questo momento, - dovrebbe consistere da parte sua nel presentarsi come il punto di riferimento decisivo di un vasto schieramento di forze, dentro e fuori i partiti, anche fuori, anche molto fuori dei partiti, intenzionati a mettere fuori gioco, e per sempre, e senza mezzi termini, e senza opportunistici accomodamenti durante il percorso, il fenomeno Berlusconi e il berlusconismo, in tutte le sue varianti politiche, economiche, sociali e culturali (magari partendo dalla cultura, come altre volte è accaduto, per risalire all'indietro la catena degli impegni e degli eventi).

Ci vorrebbe, come dire, un'assunzione molto più piena delle responsabilità che glie ne derivano (che glie ne dovrebbero derivare) sul piano del progetto, delle finalità, delle alleanze e delle scelte, oggi più impegnative che mai, di sviluppo. Dov'è l'altra Italia, c'è un'altra Italia in tanti discorsi vuoti di ogni prospettiva? Il centro-sinistra, in che senso è oggi anche sinistra? E la sinistra, in questa visione, da dove parte e dove arriva? La fase costituente, tanto spesso puerilmente invocata, non potrà riguardare solo le istituzioni ma anche e soprattutto, come sempre quando le fasi costituenti sono state serie, le forze politiche destinate ad esserne le principali protagoniste. Se non si riparte da qui, il risultato elettorale non basterà; le forze politiche dominanti forse si scambieranno fra loro ma resteranno sostanzialmente le stesse. Di tutto ciò, con la maggior benevolenza possibile, non si vede traccia nei nostri iperpolitici politici, neanche nei più accorti (o semplicemente astuti, che è già qualcosa).

La crisi politico-istituzionale, - anzi, più esattamente, politico-costituzionale, che è assai più forte, - in cui versa l'Italia, sebbene sovente mascherata o accantonata nei più vari modi (la guerra di Libia serve anche a questo, anzi, forse soprattutto a questo), continua inesorabilmente ad avanzare, è sempre più grave e può sfociare in una catastrofe politica, economica e sociale (culturale lo è già). Mantenere distinti i piani del discorso, anche quando talvolta o in una qualche misura si presentano intrecciati o persino in contraddizione fra loro, è continuare ostinatamente e senza sosta a mirare all'obiettivo grosso, è la condizione politica necessaria per sperare che ne esca in maniera almeno decente.

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