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Londra. Sta arrivando il Grande Fratello
13 Ottobre 2009
Una corrispondenza di Enrico Franceschini sulla sicurezza in città in GB e un commento di Stefano Rodotà. La Repubblica, 13 ottobre 2009

Telecamere a ogni angolo

di Enrico Franceschini

George Orwell l´aveva immaginato come incubo di una società totalitaria del futuro, nel suo romanzo «1984»: uno scenario di fantapolitica in cui il supremo dittatore è un occhio che scruta i comportamenti pubblici e privati dei cittadini, dovunque essi siano, al lavoro, per strada, in casa propria.

Ma nella Gran Bretagna d´oggi, "madre" della moderna democrazia, l´incubo è diventato realtà, con una sottile variante: Big Brother, il Grande Fratello, come si chiamava l´onnipresente occhio inquisitore orwelliano, non è un solitario e invisibile tiranno, bensì siamo noi. Tutti noi. Vittime e carnefici, per così dire, del più formidabile sistema di controllo delle attività umane mai concepito. Ed è un sistema di controllo che si fa per gioco, come un passatempo innocente: giocare a fare le spie dilettanti, davanti a una telecamera a circuito chiuso, attraverso il web. L´occhio orwelliano c´è anche qui: il gioco si chiama «Internet Eyes», infatti. Che abbiate voglia di giocarlo o no, potrebbe essere il futuro che ci aspetta.

Già da qualche anno si sapeva che il Regno Unito vanta un record controverso: è il paese con il maggior numero al mondo di Closed Circuit Televisions (Cctv), telecamere a circuito chiuso. Ce ne sono, secondo la stima più recente, 4 milioni e 200 mila e continuano ad aumentare: attualmente sono una per ogni 14 abitanti. A Londra si dice che ogni cittadino venga inquadrato almeno 37 volte al giorno dalle Cctv mentre intraprende le sue attività quotidiane.

Basta fare una prova per rendersi conto che non è una statistica esagerata. Al mattino esco sul pianerottolo di casa, e la prima minuscola telecamera mi filma. Prendo l´ascensore, e la seconda Cctv mi punta. Davanti al portone, finisco nel mirino della terza.

Nel breve tratto da casa fino alla più vicina fermata del metrò ne conto altre tre che seguono i miei spostamenti, e siamo a quota sei. La settima mi attende all´ingresso dell´Underground. L´ottava alla biglietteria. La nona sulla pensilina dove aspetto il treno. La decima in treno. La numero undici mi inquadra sulle scale mobili che mi riportano in superficie. La dodici dentro all´edicola dove compro i giornali. La tredici nel caffè dove faccio colazione. Le numero quattordici e quindici nell´edificio dove sono venuto a seguire una conferenza stampa. La sedici al bancomat dove più tardi ritiro dei soldi. La diciassette nella libreria dove vado a curiosare, la diciotto nella cartoleria dove acquisto una risma di carta, la diciannove nella pizzeria dove incontro un amico. La venti sulle strisce pedonali che attraverso a un semaforo. E così via, fino al ritorno a casa. Aggiungeteci le telecamere a circuito chiuso nei supermercati, in cinema e teatri, sugli autobus, nei negozi di ogni genere, nei ristoranti e nei pub, allo stadio, agli incroci, nei giardini pubblici e nei parchi: altro che 37 volte al giorno, ogni londinese viene filmato e spiato molte volte di più. Solo al gabinetto non ci sono Cctv? Macchè, se è un gabinetto pubblico ci sono anche lì.

Il boom delle telecamere a circuito chiuso, in Gran Bretagna, viene spiegato come un´iniziativa per meglio garantire la sicurezza. Alcune le mette lo stato; altre le mettono i privati; tutte servono a monitorare il comportamento della gente. Chi commette un reato, grande o piccolo, dal furto al disturbo della quiete pubblica, dall´omicidio agli schiamazzi notturni, può essere identificato attraverso le Cctv. L´idea è che queste abbiano un effetto in primo luogo deterrente: se sai che può essere filmato, non rubi, non uccidi, non schiamazzi, non stupri.

Come l´Autovelox in autostrada: la sola presenza dell´occhio elettronico spinge gli automobilisti a rallentare. Ma qualcuno che commette reati c´è lo stesso, o perché non ha visto le telecamere o perché se ne frega: per esempio i quattro kamikaze britannici che si fecero saltare nel metrò e su un autobus a Londra nel luglio 2005. Scotland Yard li identificò nel giro di 48 ore, e fu una identificazione importante perché permise di trovare i covi, i complici, scoprire i preparativi e la rete di supporto che stava dietro uno dei più gravi attentati compiuti in nome di Al Qaeda dopo l´11 settembre 2001. Fu sufficiente avere la pazienza di guardare migliaia, anzi milioni, di immagini captate e registrate dalle Cctv nella sterminata metropolitana londinese, per individuare i giovanotti con gli zaini in spalla (imbottiti di esplosivo).

Ecco il punto, però, il tallone d´Achille, se così possiamo chiamarlo, che avevano fino ad ora le telecamere a circuito chiuso: loro vedono tutto, ma chi guarda quello che loro vedono?

Gli esperti in materia calcolano che soltanto una Cctv su 1000 sia monitorata 24 ore sue 24 da un poliziotto o da un addetto alla sicurezza: sicuramente quelle davanti a un ministero, probabilmente quelle di una banca.

Ma la stragrande maggioranza filma, trattiene il filmato nella sua memoria e se lo tiene lì, per l´eventualità che qualcuno, qualcuno di umano, abbia poi il tempo e la voglia di riguardarselo. A volte, come nel caso dei terroristi del metrò, è utile guardare il filmato anche dopo ore o giorni che il fatto è avvenuto. Altre volte potrebbe essere troppo tardi, come nel caso di una giovane inglese rapita da un serial killer qualche anno fa: se ci fosse stato qualcuno a monitorare la Cctv dove si vedeva lui che la spingeva dentro un pullmino, avrebbe potuto dare immediatamente l´allarme e forse la ragazza si sarebbe salvata.

In questa carenza del sistema di controllo è intervenuto Tony Morgan, un esperto di computer inglese che ha pensato di poter prendere i due proverbiali piccioni con una fava (digitale): migliorare il sistema di controllo, accrescendo la sicurezza; e nel contempo guadagnarci, lui, dei soldi. Il mese scorso Morgan ha lanciato un nuovo "gioco di società" sul web. Nome: «Internet Eyes» (Occhi di Internet).

Si gioca all´incirca così. Ogni giocatore si registra, pagando una modesta quota. In cambio "riceve" un certo numero di telecamere a circuito chiuso, sulle quali può sintonizzarsi, online, comodamente, dal computer di casa, per un certo numero di ore. Se vede un crimine, oppure qualcosa di sospetto, può segnalarlo attraverso «Internet Eyes», che a sua volta lo riferisce alla polizia. Se al termine di questa trafila si certifica che effettivamente la segnalazione è servita a prevenire un reato o a perseguire chi lo ha commesso, il giocatore guadagna dei punti. Chi fa più punti, vince. E non vince un simbolico titolo o gettoni senza valore: il primo premio è di 1.000 sterline, un po´ più di mille euro. Casalinghe, pensionati, ma anche studenti o chiunque abbia un po´ di tempo libero, hanno a disposizione un passatempo, un po´ noioso bisogna dire, che tuttavia permette di mettere in tasca un piccolo o non tanto piccolo gruzzolo. Quasi un lavoro part-time, o full-time, a seconda del tempo e dell´attenzione che uno vi dedica.

«Abbiamo oltre 4 milioni di Cctv in questo paese, e soltanto meno di mezzo milione sono monitorate», dice Morgan. «Con la mia idea in teoria è possibile che un giorno siano monitorate tutte, no stop». Alle associazioni per i diritti civili, l´iniziativa non piace: non solo è un´invasione della privacy, dicono, ma più che a evitare crimini potrebbe finire per alimentare milioni di piccole vendette private. Quello che denuncia il vicino di casa perché ha depositato la spazzatura nel cassonetto sbagliato della raccolta differenziata, o perché ha tenuto l´auto due minuti in divieto di sosta. Sarà fatto così il nostro futuro multimediale? Una società in cui tutti spiano tutti, appostati davanti a una telecamera a circuito chiuso? Un mondo in cui il Grande Fratello siamo noi, tutti noi: e allora contro chi protestare o ribellarsi? Questo nemmeno George Orwell aveva potuto immaginarselo.

Rodotà: "Idea pericolosa sono ronde telematiche"

Intervista di Anais Ginori

«Quella inglese è un´idea "rondista" all´ennesima potenza, con effetti potenzialmente devastanti». Stefano Rodotà conosce bene il "Big Brother" britannico. Giurista, esperto di privacy e del controllo sociale, Garante per la protezione dei dati personali fino al 2005, è convinto che «la videosorveglianza debba essere disciplinata da un apparato pubblico molto forte».

Professore, stiamo andando verso una società totalitaria come quella immaginata da George Orwell?

«Il potere politico non può delegare alla tecnologia compiti di sicurezza che sono di sua esclusiva responsabilità. È in gioco il rapporto tra lo Stato e i cittadini, e l´autorità pubblica non deve mai essere sostituita con una macchina».

Lei dunque preferirebbe che non ci fossero tutti quegli "occhi elettronici" a controllarci?

«Non voglio dire che la videosorveglianza non sia mai necessaria ma il modello inglese, così come si sta delineando, rappresenta una minaccia per i diritti civili».

Ma è considerato utile nella prevenzione della criminalità.

«Ho i miei dubbi. Di recente, sono state condotte rilevazioni che hanno dimostrato che c´è uno scarto enorme tra gli investimenti nei sistemi di videosorveglianza e gli effettivi risultati. L´esperienza m´insegna che la diffusione di queste tecniche non corrisponde a un bisogno effettivo ma a una pressione economica».

Da chi proviene questa pressione?

«Quando ero Garante ho ricevuto personalmente ripetute sollecitazioni di industriali che producono queste tecnologie. Le racconto a questo proposito un aneddoto illuminante».

Prego.

«Una volta mi chiamò un alto funzionario della polizia italiana per chiedermi di frenare questa corsa alla videosorveglianza. Il suo timore, mi raccontò, era che l´installazione di telecamere ad ogni angolo di strada avrebbe reso impossibile l´attività della polizia, sia per la mole di immagini da visionare, sia per l´incremento vertiginoso di segnalazioni».

In molti casi, le telecamere a circuito chiuso vengono usate da privati cittadini, aziende o commercianti.

«È un mutamento sociale che riflette l´industria della paura. Nella testa della gente entra l´idea che la videosorveglianza è necessaria, una sorta di sicurezza fai-da-te che richiama appunto la cultura delle ronde».

Gli inglesi si rivolgono ora ai cittadini per osservare online le immagini delle telecamere e segnalare alle autorità eventuali reati. È un invito alla delazione?

«In questo caso, più che di delazione parlerei di ronde telematiche, condotte sulle strade immateriali del web. Ma il cittadino non deve diventare titolare di un potere improprio, entrando in possesso di immagini che forniscono dati sulla vita privata delle persone. È una deriva molto pericolosa».

Lei si è confrontato con casi di violazione della privacy legati a questi sistemi di sorveglianza?

«Stiamo parlando di un mezzo straordinariamente ingannevole. Mi è capitato di occuparmi del caso di una telecamera adibita al controllo del traffico che inquadrava però l´ingresso di uno studio specializzato nella cura dell´Aids. È ovvio che in quel caso c´era un rischio immediato di stigmatizzazione».

La legge italiana è sufficientemente garantista al riguardo?

«Direi di sì. Nel nostro paese la videosorveglianza deve essere comprovata da una reale necessità e per una durata limitata. Alle registrazioni possono accedere solo determinate persone e dopo un periodo di tempo le immagini devono essere cancellate».

La tecnologia aumenta ovunque il controllo sociale. Come reagire?

«È in atto una trasformazione molto forte nella società. Tutti si sentono controllori di tutti. Stiamo vivendo un passaggio delicato. C´è un primo effetto evidente. Questi sistemi di videosorveglianza mutano i comportamenti sociali: non ci si muove con la stessa spontaneità sapendo che c´è una telecamera. A livello più teorico, si pone il problema dell´uso di queste immagini e delle finalità dei sistemi di controllo. È su questo punto che bisogna continuare a vigilare».

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