No, adesso non si può proprio più ironizzare sulle stimmate antropologiche o sul vernacolo di Stefano Ricucci descritto via via, fin dall´incredibile estate del 2005, come un marchese del Grillo dai lombi plebei, l´Alberto Sordi di "Un giorno in pretura", Capitan Fracassa o Gastone Paperone, giusto il soprannome usato dalla di lui signora Anna Falchi, ricambiatane con Cenerentola. Non si può più, perché con l´arresto - pare ben motivato - dell´odontotecnico di Zagarolo che voleva scalare l´Italia intera, si completa l´affresco del nuovo capitalismo straccione e fangoso, che stava per conquistare con variegate complicità, ma senza capitali, tutto ciò che conta nel paese. Dalle banche al "Corriere della Sera".
E poi, forse, su su fino a Mediobanca, alle Generali e - perché no? - alla Fiat. Per occupare il posto di quel capitalismo esangue e familistico che ha abbandonato la partita, col sogno di ricostituire il "salotto buono", che sembra non abbia più nemmeno gli occhi per piangere. Un "neosalotto" formato dal sestetto Gnutti-Fiorani-Ricucci-Billè-Coppola-Consorte, con il cappello del pio ex governatore della Banca d´Italia, aspirante Cuccia del nuovo millennio, e chissà di chi altri.
La commedia all´italiana non basta più ora che i contorni delinquenziali dell´affresco vanno precisandosi con le dichiarazioni rese da Fiorani nei due mesi di prigione e con le nuove accuse contestate a Ricucci.
L´epopea dei furbetti del quartierino, che Marco Tronchetti Provera bollò come «un´associazione a delinquere», e dell´uomo che così li battezzò e si battezzò, è qualcosa di molto di più che l´avventura di newcomers un po´ arruffoni, di raider velleitari, di finanzieri dalle ricchezze di origine oscura. E´ il pullulare, il manifestarsi senza più pudori, di un´Italia dove quasi tutto è stato sempre consentito, ma che nell´ultimo lustro ha visto cadere nell´oblio quel poco di rispetto che teneva insieme la democrazia più aleatoria d´Europa in termini di regole. Un´Italia nella quale l´intreccio tra affari e politica è diventato un crocevia di reciproche debolezze. Dove i furbetti hanno messo insieme un tesoro grande decine di volte più di quello di Tangentopoli, fin qui il più grande scandalo del dopoguerra conosciuto.
Tutta la storia di Ricucci nell´Italia berlusconiana si può raccontare, in fondo, con le parole di Ricucci medesimo. «In America secondo lei c´è qualcuno che si è mai chiesto chi c´è dietro a Bill Gates? Perché in Italia tutti domandano chi c´è dietro Ricucci? - sbruffoneggiava l´agosto scorso con Dario Di Vico, che lo intervistava per il giornale che stava scalando. Berlusconi non ha forse creato dal nulla un impero da 20 miliardi di euro? Come lui, Ricucci si attribuisce «una marcia in più», perciò dietro Ricucci c´è soltanto Ricucci.
Immaginate le risate che avrebbero fatto in America.
Immaginate le indagini della Sec, della Dea, gli agenti segreti del fisco sguinzagliati, se un tizio di 43 anni, figlio di un conducente dei trasporti pubblici e reduce dal fallimento di uno studio di odontotecnico perché non poteva pagare pochi milioni di lire, si fosse presentato dicendo: «Sapete che c´è? Sono come Gastone Paperone»; e mettendo sul tavolo i numeri della sua fortuna: 910 milioni di euro in immobili, 1400 milioni di partecipazioni in Rcs, Antonveneta, in Bnl, in Bipielle. Totale 2 miliardi di euro, circa 4 mila miliardi di ex lire. Come li ha fatti? Secondo il suo quadrettino naif, scambiando all´inizio un terreno di sua madre con tre appartamenti in quel Zagarolo, località del Lazio famosa, per l´appunto, per "Ultimo tango a Zagarolo", parodia dell´"Ultimo tango a Parigi" di Bernardo Bertolucci, interpretata da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
Ubbie di moralisti invidiosi, secondo lui, quelle di chi lancia sospetti e calunnie. E poi, in fondo, chi ha mai chiesto seriamente all´ex palazzinaro Berlusconi qual è stata l´origine delle sue fortune? L´hanno tenuto per due decenni ai margini dei salotti, l´ala nobile del capitalismo, che non sempre, per la verità, fu nobile, non l´ha mai accettato, l´ha tenuto fuori dalla porta dei salotti, gli ha scatenato contro «Il Corriere». E lui si è vendicato conquistando il salotto della politica, scalando palazzo Chigi.
Ecco la pista Berlusconi, che ha sempre occhieggiato, anzi qualcosa di più, dietro il caso Ricucci e furbetti. Anche qui attraverso le parole di Ricucci e dei ricucciani medesimi. Non solo le cene del premier con Gnutti, mentre Fazio decideva di consegnare l´Antonveneta a Fiorani, i fili numerosi con tutto il coté berlusconiano, dignitari, ministri e sottosegretari compresi. Ma le parole stesse di Ubaldo Livolsi, berlusconiano di antica affiliazione e banchiere d´affari del Gastone di Zagarolo, il quale ha candidamente confessato: «Ricucci l´abbiamo sdoganato (noi berlusconiani-ndr) perché non fosse cooptato dal centrosinistra e in particolare dal presidente di Banca Intesa Giovanni Bazoli», notoriamente supporter di Prodi.
Soltanto sdoganato? O sdoganato fino a farne un cavallo di Troia? Così lasciò intendere il coordinatore di Forza Italia Sandro Bondi, quando in pieno caso Unipol, dopo l´annuncio dell´invito a comparire recapitato al Cavaliere per i fondi neri Mediaset, dichiarò accorato al Giornale, rivolgendosi ai Ds: fermiamo i Poteri forti. Ci sono grandi quotidiani che promuovono e bocciano persone e programmi: agiscono come partiti. Come dire una proposta ante litteram di Grosse Koalition a D´Alema.
Anche Anna Falchi scese in campo per difendere il marito «genio della matematica e della Borsa», dall´accusa di essere il cavallo di Troia di Berlusconi. Ma fece una piccola gaffe invitando a non guardare solo le sue tette, ma il suo «film d´arte». Film distribuito indovinate da chi? Da Marco Jacopo Alessandro Dell´Utri, figlio del più noto Marcello, fondatore di Forza Italia.
«Il signor Stefano Ricucci, poco più che quarantenne, avrà finito di pagare quando compirà cento anni», disse una volta cinicamente il finanziere Francesco Micheli. Chissà se si riferiva ai debiti o, visti gli sviluppi del caso, ai conti con la giustizia.
«Quanno uno deve seguì `na strada maestra p´annà a Napoli - aveva scolpito Gastone il matematico in un´intercettazione telefonica - tocca pijà l´autostrada del Sole, non è che tocca annà sulla Casilina, no?» Parole sante. Ma ieri ha imboccato via della Lungara, Regina Coeli