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Gabriel Bertinetto
L’Occidente è già multietnico, Berlusconi guarda al passato
11 Maggio 2009
Intervista al politologo Benjamin Barber che partecipa al convegno di Reset sulla città come spazio multiculturale. Da l’Unità, 11 maggio 2009 (m.p.g.)

Le città per natura favoriscono l’integrazione multietnica. Ad ostacolarla intervengono scelte politiche che sfruttano le paure irrazionali della gente, soprattutto in tempi di crisi. Così dice all’Unità il politologo Benjamin Barber, relatore oggi al convegno organizzato da «Reset» a Milano in piazza Belgioioso 1: «La città, uno spazio comune, molte culture».

Professor Barber, suscita clamore in Italia il no del premier Berlusconi alla multietnicità. Ma una società monoetnica è un’opzione praticabile nel mondo moderno?

«Assolutamente no. Berlusconi non respinge un potenziale sviluppo del futuro, ma una realtà già in atto. L’Italia è parte di un mondo multietnico e culturalmente interdipendente. Tanto che nel mio Paese, gli Stati Uniti, per la prima volta abbiamo un capo di Stato genuina espressione di questa molteplicità. Il vostro presidente del Consiglio dice no al presente, e sì al passato. Vuole irrealisticamente retrocedere a qualcosa che non esiste più».

Considerazioni morali a parte, rifiutare la multietnicità conviene?

«È un danno, perché la logica dell’immigrazione è economica. Coloro che legalmente o clandestinamente lasciano la Libia per l’Italia, il Marocco per la Spagna, il Messico per gli Usa, il Guatemala per il Messico, lo fanno spinti da motivazioni prettamente economiche. Chi da fuori viene in Italia, non lo fa per trasformarla in una società multietnica, ma per trovare un’occupazione. L’economia globale richiede una forza lavoro mobile. Quando Berlusconi parla contro l’immigrazione, rifiuta la logica della globalizzazione. Come proprietario di un’azienda mediatica di dimensioni internazionali, dovrebbe essere il primo a saperlo».

Gli argomenti sovente usati dagli xenofobi sono: ci rubano il lavoro e rendono le nostre città insicure. Che fondamento hanno?

«Le statistiche non confortano l’ipotesi che gli immigrati siano tendenzialmente più dediti ad attività criminali che non i locali. La delinquenza è universalmente ripartita. Non è vero poi che portino via il posto ai già residenti. Vengono a svolgere i lavori offerti dal mercato. Gli argomenti degli xenofobi sono falsi ma servono a personaggi come Berlusconi da voi, o Cheney da noi, per cavalcare le paure dei concittadini e trarne vantaggi politici».

Ci sono modelli di sviluppo architettonico e urbano che possono meglio aiutare l’integrazione etnica?

«In realtà le città per loro natura sono organismi multiculturali. Negli ultimi 40 anni in alcune metropoli la popolazione è cresciuta di 30 o 40 volte. E questo non per germinazione interna ma grazie ad afflussi massicci dall’esterno. Sono individui mossi dal bisogno di un lavoro, dal desiderio di cambiare vita, dalla necessità di sottrarsi ad ambienti ostili. La città è per se stessa fondata sull’anonimato e sulla contiguità di comunità diverse. È vicinanza, comunicazione. Non esiste il problema di disegnare gli spazi urbani in maniera da favorire una multiculturalità che è già ad essi intrinseca».

Può esserci però scontro anzichè integrazione. Come evitare l’uno e favorire l’altra?

«In un agglomerato urbano si manifestano due tendenze. La stessa persona all’interno del suo quartiere vive le condizioni dell’identità culturale originaria, ma nel rapporto con le istituzioni, attraverso la sua attività lavorativa, facendo uso dei mezzi di trasporto, sperimenta un costante processo di integrazione. La compresenza di comunità etniche diverse nella medesima città alimenta questa doppia esposizione culturale di ogni singolo individuo. Un nigeriano, che faccia il taxista a Londra o Parigi, ed abiti in un quartiere popolato da suoi connazionali, si trova ad essere simultaneamente un africano all’estero ed un cittadino cosmopolita. Se una città non esprime le sue potenzialità naturali di integrazione e armonica interdipendenza è a causa di scelte politiche».

L’Italia è una terra di ex-emigranti. La religione cristiana predica la fratellanza. Eppure nèl’esperienza storica, né le radici culturali sembrano averci vaccinato a sufficienza contro il morbo del razzismo. Perché?

«Il miglior vaccino può essere inefficace se il virus è potente. La crisi economica in corso è uno di quei virus che spianano il terreno a chi propugna la politica della paura e ostacola il cammino ai fautori della politica della speranza. Ecco perché è facile oggi per Berlusconi martellare la gente con messaggi pericolosamente reazionari».

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