Solo due parole introduttive. Il testo che segue a ben vedere parte da critiche abbastanza ragionevoli ad alcune rigidezze del movimento ambientalista, diciamo ad alcune impostazioni “manualistiche”. Si sa come man mano le idee complesse si diffondono, ci sia anche una tendenza alla banalizzazione, che è facilissimo e fin doveroso attaccare. E qui finisce la parte buona, e del tutto secondaria, del testo che segue. Perché tutto il resto ruota attorno a luoghi comuni, semplificazioni, faziosità varie e sbandierate, cavalcando il disagio da sindrome di sicurezza.
La soluzione, anche se non viene indicata, sembra una sola: una casa, un giardino di un acro, un’automobile. E magari visto che ci sono in giro i terroristi anche un bel fucile nell’armadio. Mica come quei mollaccioni di Manhattan che stanno lì nei loro grattacieli a fare da bersaglio, o gli ambientalisti che suggeriscono di non consumare proprio tutto il territorio nazionale a giardini di un acro. La tesi è chiara: fanno il gioco dei terroristi.
Sono sciocchezze, naturalmente, ma tentano di assestare colpi al movimento che in un modo o nell’altro aveva cominciato a mettere in discussione la monocultura della villetta, dello shopping mall , della segregazione funzionale e socioeconomica, del provincialismo coatto. Ora questo mondo oltraggiato cerca la sua vendetta, e credo non vada nemmeno dimenticato in chiusura che il rapporto diretto tra sprawl e sicurezza militare non è un’invenzione recente: anche il programma delle New Towns britanniche si deve, dopo quarant’anni di tentativi falliti dei seguaci di Howard, proprio alla “urbanistica antiaerea” determinata dalla minaccia nucleare. (fb)
Titolo originale: Is Sprawl a Defense Against Terrorism? – Traduzione di Fabrizio Bottini
A partire dallo choc dell’11 settembre, qualunque gruppo di interesse a livello nazionale sta dicendo la sua sugli attacchi terroristici. Gli oppositori dell’automobile, come Gar Smith o l’Earth Island Journal danno la colpa dell’attacco al consumo americano di petrolio, e auspicano che si rinunci del tutto a usarlo.
”Il sogno americano di una permanente utopia drive-in è morto l’11 settembre”, si entusiasma lo sfasciautomobili James Howard Kunstler. “Queste nuove circostanze devono obbligarci a vivere in modo più locale, a dipendere dall’auto meno di quanto facciamo ora, [e] a iniziare immediatamente a ricostruire una rete ferroviaria fra le città”. Con “vivere in modo più locale” Kunstler intende che dovremmo vivere in comunità e aree urbane più dense, compatte.
Chi odia l’automobile fa in fretta a dare la colpa alla dipendenza dell’America dal Medio Oriente per il petrolio, per quanto riguarda il terrorismo. Non importa se la maggior parte del petrolio che usiamo viene dall’emisfero occidentale. Non importa se i terroristi sembrano perlopiù motivati da questioni religiose, come la presenza di “infedeli” nella penisola arabica. Non importa se gli USA hanno fatto grossi sforzi per preservare la pace e la stabilità il luoghi senza petrolio come la Yugoslavia o l’Africa. Svezzare gli americani dall’automobile, in qualche modo farà andare via i terroristi.
Seguendo questa linea di pensiero, altri affermano che dovremmo costruire più metropolitane urbane e ferrovie inter-città. Gli USA “non possono dipendere da un solo mezzo di trasporto”, dice il sindaco di Meridian, John Robert Smith, che per caso è anche nello staff dirigente della compagnia ferroviaria Amtrak. Il Surface Transportation Policy Project dice che dovremmo spendere miliardi per il trasporto ferroviario, così da avere “un sistema di trasporti shock-resistent”.
Alcuni sindaci delle grandi città sperano anche che la recente tragedia possa dare ai residenti urbani un “senso comunitario” che li trattenga nelle città. Il sindaco di Pittsburgh, Thomas Murphy, pensa che installando metal detectors negli edifici pubblici e assumendo più poliziotti si creerà un’atmosfera urbana “sana e vivace”, così che i cittadini non scapperanno verso i sobborghi.
Gli ambientalisti impegnati per la smart growth sentono l’imperativo morale a sostenere centri città densi. “La principale preoccupazione ambientalista è che il centro città tenga”, dice Eric Goldstein, avvocato del Natural Resources Defense Council, a favore di un “forte nucleo centrale”. La suburbanizzazione, sostiene Goldstein, porterà ad aumentare la congestione, l’inquinamento atmosferico, spostamenti pendolari più lunghi, e perdita di spazi aperti. I lettori de L’Automobile che Scompare e altri Miti Urbani sanno che tutti queste affermazioni sono sbagliate.
Contrario a questi tentativi di strumentalizzazione, lo storico Stephen Ambrose indica che la vera lezione dell’attacco terroristico è “Non ammucchiatevi”. Mantenere “un forte nucleo centrale” serve solo ad offrire ai terroristi un bersaglio migliore.
”Non è più necessario stipare così tante persone e uffici in piccoli spazi come Lower Manhattan”, scrive Ambrose. “Si possono sparpagliare nelle regioni e stati circostanti, dove possono lavorare altrettanto efficientemente e in molto maggior sicurezza”. Anche il sostenitore della smart growth James Howard Kunstler ha concluso che “l’era dei grattacieli è giunta alla fine”. Come altri sostenitori della smart growth sottolineano, la loro visione del futuro è a media altezza e media densità: Brooklyn, non Lower Manhattan. “I grattacieli non sono parte necessaria della smart growth” afferma la leader ambientalista del Maryland, Harriet Tregoning. Ma anche l’alta densità della media altezza può essere troppo densa per il benessere di molte persone. “Abbiamo visto cosa significa la densità di popolazione in un’epoca di terrorismo, e non è una bella cosa”, dice il columnist del Detroit News, Thomas Bray. “E tanto basta, per l’idea secondo cui quello che questa nazione ha bisogno è la fine dello sprawl”.
”La logica del decentramento non è mai stata tanto chiara” sostiene il columnist del San Jose Mirror, Dan Gillmor. “La sicurezza un tempo stava nei grandi numeri. Nel mondo di domani, ci sarà più sicurezza nello sparpagliarsi”.
La lezione dovrebbe essere chiara a chiunque abbia guardato quelle orribili immagini nelle ultime settimane. Il World Trade Center si adattava in modo compatto in soli 8 ettari, e i terroristi l’hanno distrutto insieme a parecchi edifici vicini con due aeroplani. Il Pentagono, che ha circa due terzi di spazio per uffici del WTC, si estende su una superficie di circa 300 ettari. Con un aeroplano i terroristi hanno demolito solo il 6% di quello spazio.
(Per inciso, adeguandosi all’inflazione, il World Trade Center ha costi di costruzione per unità di superficie uffici tre volte maggiori del Pentagono. Questo per quanto riguarda i “costi dello sprawl”).
Indipendentemente da quello che pensate a proposito di sprawl, molte imprese e individui prenderanno a cuore la lezione del “non ammucchiatevi”nei prossimi mesi e anni. “I calcoli dei dirigenti su dove alloggiare i propri impiegati stanno inserendo fra le variabili la necessità di non edificare qualcosa che un bombarolo suicida non sia tentato di buttare giù”, scrive Holman Jenkins Jr. sul Wall Street Journal. Molte ditte i cui uffici erano nel WTC, aggiunge Jenkins, stanno “correndo a firmare contratti d’affitto per immobili di qualunque tipo, fuori dalla città, in modi che non fanno pensare a programmi di ritorno”.
Naturalmente, questa è stata una grossa preoccupazione per il sindaco di New York Giuliani, fin dall’inizio. Senza dubbio il sindaco di Chicago Daley è preoccupato in modo simile riguardo al futuro della Sears Tower, e quello di San Francisco, Brown, per la Transamerica Tower o il Golden Gate Bridge.
Giuliani naturalmente vuole ricostruire i grattacieli del complesso di uffici, per mantenere le imprese entro la sua giurisdizione. I senatori di New York Clinton e Schumer hanno promesso fondi federali per farlo. Ma queste costruzioni saranno costose e difficilmente attireranno le imprese, che hanno imparato la lezione degli attacchi multipli al vecchio complesso di uffici.
Il sociologo californiano J. F. Scott sottolinea come l’idea che i distretti finanziari abbiano bisogno di torreggianti grattacieli, per attirare gli affaristi abbastanza vicino l’uno all’altro a svolgere le proprie attività, è messa in discussione dal distretto finanziario di Menlo Park, nella Silicon Valley. Questo distretto, osserva Scott, “consiste di edifici poco elevati (nessuno oltre i tre piani) con abbondanti parcheggi”.
L’economista Paul Krugman teme che l’attacco dell’11 settembre “danneggerà permanentemente la posizione di New York di capitale economica d’America”. Ma anche se afferma che “si tratta di una questione seria, che merita una risposta seria”, si tratta in realtà di una preoccupazione limitata ai proprietari immobiliari di Manhattan, e all’amministrazione cittadina di New York. Il resto d’America non è interessato a sapere se la nostra capitale economica sia New York, Menlo Park, o qualche posto nel cyberspazio (che è probabilmente il luogo più sicuro).
Contrariamente a quelli che pensano al World Trade Center come simbolo della libera impresa, a dire il vero è stata la Port Authority di New York a costruirlo, per rendere più grandiosa la città e arginare la marea delle imprese che si disperdevano nel suburbio o verso altre localizzazioni. L’idea del centro fu originalmente promossa dal banchiere David Rockefeller e sostenuta da suo fratello, Nelson Rockefeller, quando era governatore dello stato di New York.
Le torri del Trade Center furono un fallimento finanziario per ilprimo decennio, e richiesero sussidi dagli utenti degli aeroporti, ponti e altre strutture della Port Authority. Durante il recente boom economico, la Port Authoriy riuscì a convincere un costruttore, Larry Silverstein, ad affittare il tutto per 99 anni.
Silverstein dice che vuole ricostruire il centro, ma in forma di edifici da 50-60 piani anziché due strutture da 110 piani.Costruzioni più basse sarebbero un bersaglio più difficile, ma potrebbero non scoraggiare le imprese dal migrare verso are a densità minore.
La vera ragione per cui il terrorismo è tanto difficile da combattere, è che i terroristi rifiutano assolutamente di ammucchiarsi. Per quanto gli americani possano voler sconfiggere i terroristi, l’idea che dovremmo tutti dare sussidi per sostenere la posizione di New York “capitale economica d’America”, di fatto ammucchiandoci, è assurda.
In modo simile, non ha senso ammucchiare gente sulle linee ferroviarie. Le reti ad alta velocità possono costare decine o centinaia di miliardi di dollari in costruzione e gestione, senza speranza di coprire i costi con le tariffe. Come dimostrato dal sabotaggio dell’Amtrak Sunset Limited nel 1995 e dalla Southern Pacific City di san Francisco nel 1939, sarebbe facile per i terroristi prendere una linea ferroviaria e uccidere moltissime persone.
Se i terroristi distruggono un’autostrada, possiamo deviare il traffico verso numerose direttrici parallele. Nella maggior parte dei casi, la distruzione di una linea ferroviaria lascia molte poche facili alternative oltre alle strade: la cui costruzione, per inciso, è quasi interamente coperta dalle tasse sui carburanti e altre tariffe d’uso. I treni sono romantici, ma porre l’enfasi sulla mobilità ferroviaria diminuisce, anziché accrescere, la sicurezza d’America.
Senza tentare di approfittare ulteriormente della situazione, è possibile prevedere alcune probabili tendenze. In primo luogo, imprese e individui aumenteranno leggermente il movimento verso aree a minore densità. Naturalmente la tendenza alla suburbanizzazione è vecchia più di un secolo. Nonostante un piccolo incremento negli anni Novanta, la popolazione di Manhattan è scesa di più di un terzo dal 1910.
La recente ordinanza del sindaco Giuliani che proibisce le auto con un solo occupante a Manhattan in certe ore non sarà d’aiuto, visto che nel lungo periodo quelli che vogliono guidare quei veicoli semplicemente andranno altrove. Se Giuliani volesse davvero aiutare Manhattan, incoraggerebbe i costruttori a includere enormi garages parcheggi negli edifici che sostituiranno quelli demoliti l’11 settembre.
Secondo, le persone potrebbero volare un po’ meno se migliori misure di sicurezza aumentassero il costo o, in particolare, il tempo necessario a volare. Ma questo non significa che prenderebbero di più il treno. Invece, la gente guiderà sempre di più fra una città e l’altra. Il servizio aereo perderà quote di mercato soprattutto verso l’auto, per viaggi fino a 400 chilometri. Per spostamenti più lunghi, anche i treni ad alta velocità non sono competitivi rispetto al servizio aereo.
Terzo, il terrore renderà più difficile per gli oppositori dello sprawl sostenere che la gente deve ammucchiarsi in città compatte. Se il provinciale New York Times ha dato grande spazio alle pretese del Natural Resouces Defense Council, l’editoriale di Ambrose sul Wall Street Journal avrà un maggiore impatto a lungo termine, perché Ambrose è uno scrittore conosciuto, non identificabile come pro o anti sprawl.
Quarto, la Amtrak probabilmente userà l’aumentata domanda per i propri servizi a convincere il Congresso a sostenerla ancora parecchi anni. Ma a meno che ci siano altri dirottamenti, la ferrovia non guadagnerà altre significative quote di mercato sull’aereo o sull’auto. La Amtrak trasporta ad ogni modo una percentuale insignificante di passeggeri intercity per unità di distanza: meno di un quarto per cento nel 1998. Anche in Europa, un secolo di enormi sussidi ai treni ed enormi disincentivi all’uso dell’auto non hanno evitato alle quote di mercato ferroviarie di cadere sotto il 15 per cento, e di essere ancora in declino. I treni passeggeri sono graziosi, ma al di fuori del Corridoio Nord-ovest non sono certo una soluzione per i guai del trasporto americano.
Quinto, l’orgoglio locale, il desiderio di mantenere la supremazia economica, e i miliardi di aiuti federali, porteranno New York a trascurare le questioni economiche e della sicurezza, e a costruire nuovi grattacieli per rimpiazzare il World Trade Center. Se saranno alti 110 piani è ancora una questione aperta, ma senza dubbio si staglieranno alti sullo skyline di Manhattan.
Infine, i sostenitori della smart growth continueranno a distorcere i fatti per far apparire ragionevoli le loro folli idee. Ma anche se New York City è sciocca a sufficienza per costruire un altro bersaglio simbolico per i terroristi, il resto della nazione non correrà a sostenere le cosiddette misure di crescita sostenibile, che sprecano i dollari dei contribuenti, riducono la vivibilità urbana, e espongono più persone al terrorismo.
Nota: al sito del Thoreau Instituteil testo originale, e altri articoli sullo stesso tono per chi ama il genere (fb)