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Luglio 2001, Luglio 2016. Quindici anni, esattamente. Quasi maggiorenne. In questi giorni scorre tanto inchiostro su uno degli anniversari più strani della nostra Repubblica, quello delle giornate di Genova del 2001. Ne gettiamo un po’ anche noi, per non essere da meno. Ma non è facile: non è facile trovare parole originali, analisi nuove, scrivere qualcosa di non retorico, evitare di ripetere pensieri altrui.
Una cosa mi sembra necessario evidenziare o ribadire: il movimento “no-global” (perché di movimento si trattò: il movimento, secondo me, è uno, oppure non è. Oggi molti parlano di movimenti, al plurale, ma credo sia un errore; non a caso non esiste una protesta globale semi-organizzata come quella di quindici anni fa. Ma ne ripareleremo), dicevo il movimento no-global aveva ragione. Sì, aveva proprio ragione, lapalissiana.
Le analisi erano corrette, le proposte ragionevoli e, se messe in pratica, probabilmente efficaci. Contro la finanziarizzazione dell’economia (vi ricordate Attac e la Tobin Tax?), contro le politiche delle multinazionali (i boicottaggi), contro il neoliberismo, per la partecipazione democratica reale (Porto Alegre e il bilancio partecipativo!), contro le politiche della Banca Mondiale e del Fondo monetario internazionale (come la mettiamo con la Grecia di oggi?), per la pace, per il consumo critico, per il software libero, contro la globalizzazione commerciale sregolata.
Come si fa a dire che il movimento non avesse ragione e non avesse le ragioni per protestare, organizzarsi, alzare la voce? E non si tratta del senno di poi. Come mi è stato efficacemente detto, “il senno di poi è quello di chi legge i fatti di oggi alla luce delle loro premesse, mentre il movimento anticipava questo futuro, sebbene ne volesse proprio un altro”. Quindi non di senno di poi si tratta, ma di un te l’avevo detto. In ogni caso, qualcuno potrebbe pensare che è facile dare ragione, oggi, al movimento: c’è la crisi e l’austerità, le guerre e il terrorismo in franchising, Trump che forse arriva, Erdogan che ramazza la Turchia, neri ammazzati per strada da fascisti (nelle Marche!), i treni che si scontrano, la disoccupazione, la precarietà e le aziende che chiudono, i politici che rubano, il referendum e la legge elettorale che non va, il caldo, gli smartphone che si scaricano subito, il vicino che rompe, il traffico, le zanzare, “le cavallette”, come direbbe John Belushi…
Voglio dire, sembra facile affermare che i no-global avessero ragione visto come va il mondo oggi, vista l’insofferenza dilagante, l’insoddisfazione imperante, la frustrazione, la fragilità di tante teste, il rancore generalizzato, l’incattivimento. Viste quali sono le emozioni, le passioni, le sensazioni dominanti, direi quasi mainstream. Vista la paura che ci domina e ci permea, questo grande timore senza una forma ben specifica che ci attanaglia e tira fuori il peggio di noi.
Basta farsi una fila in un qualunque ufficio pubblico che funzioni neanche male, ma così-così, prendere la macchina anche non nelle ore di punta o un autobus pieno anche solo per metà. I cosiddetti “discorsi della gente”. Beh, io credo che i “discorsi della gente” di oggi possano essere del tutto collegati al 2001 e ai no-global che avevano ragione. Che proponevano una vita diversa, un sistema diverso, oltre la paura.
E allora torniamo al 2001. Torniamo a dire che un altro mondo è possibile. A leggere No logo di Naomi Klein, che è un libro splendido. A crederci, a pensare a un mondo migliore, così, banalmente detto, a non avere paura. A tirare fuori le nostre energie, le nostre intelligenze, i nostri saper-fare, le nostre passioni più belle, quelle che ci fanno camminare con il mento un po’ più in su e lo sguardo più deciso. Quelle che ci fanno sentire individui con dignità, quasi con fierezza.
I no global avevano ragione. E sì, un altro mondo è possibile. Facciamo in modo che quindici anni non siano passati invano. Riprendiamo in mano il testimone di quel movimento, proprio quello, il suo spirito, la sua spinta a cambiare, il suo metodo, il suo entusiasmo, il suo coraggio, i suoi sguardi larghi e lunghi, le sue parole più belle, i suoi colori. Non lasciamo che i manganelli della Diaz e le perquisizioni anali della Bolzaneto ce lo scippino per sempre, quel testimone.