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Gianluigi Pellegrino
Lo spettro del controllo politico sulla giustizia
27 Maggio 2012
Articoli del 2012
Il progetto di riforma del CSM - fotocopia di un testo PdL – è palesemente incostituzionale e rappresenta una ferita mortale alla democrazia. La Repubblica, 27 maggio 2012 (m.p.g.)

Speriamo che, alla fine, resti solo un grave scivolone nelle stanze di Palazzo Chigi. Fatto sta che con questo progetto di legge i tecnici sembrano dar voce alla più retriva pulsione della partitocrazia: il controllo politico sulla giustizia. Così non si colpiscono i giudici, ma la collettività e l’ordinamento costituzionale nel suo complesso; il nostro diritto, garantito dalla Costituzione, di avere un servizio giustizia autonomo e imparziale. Non a caso il progetto riproduce alla lettera i testi proposti dal Pdl nella fase più acuta della guerra alla giustizia.

La paritetica rappresentanza parlamentare che viene riproposta nella sezione disciplinare del Csm è idonea da sola, ad esempio, a disporre l’ingiusta assoluzione del magistrato "amico" che ha volontariamente ritardato gli atti per far scattare la prescrizione in favore del politico imputato. Il che prova come la separazione tra i poteri sia un diritto della società, non tanto dei giudici. Per non dire delle punizioni che appariranno sempre ritorsive o vendicative, a prescindere anche dalla qualità personale dei componenti l’organo disciplinare.

Insieme ai principi fondamentali, vengono sfregiati specifici precetti costituzionali. La Consulta sin dal 1971 ha evidenziato che la sezione disciplinare sui magistrati deve rispecchiare proporzionalmente le componenti previste per il plenum del CSM: due terzi di togati e un terzo di eletti dal Parlamento. Pertanto la composizione paritetica progettata ora da Palazzo Chigi è pacificamente incostituzionale, oltre che giuridicamente sciatta e inguardabile. Ancora più forte la mortificazione riservata alle altre magistrature. Per gli organi disciplinari della giustizia amministrativa e contabile, il progetto di legge va infatti oltre la composizione paritaria e giunge a stabilire una prevalenza assoluta dei membri di nomina politica.

L’intensità del veleno si rivela poi nella coda. Nell’ultimo dei quattro articoli, con riguardo ai giudici tributari, si prescrive una componente politica "almeno" paritaria. L’avverbio è confessorio: va bene anche un organo disciplinare composto soltanto da politici. Un tribunale di inquisizione. Il progetto è talmente abnorme che viene da chiedersi se Monti e Severino ne siano a conoscenza. Comunque si affrettino, i professori, a cestinare questo scempio e a spedire dietro la lavagna chi lo ha concepito. Per il futuro si guardino bene da certi tecnici, che a volte sono ventriloqui della peggiore politica.

Né si dica che si vorrebbero arginare le pressioni sulla responsabilità civile di cui all’emendamento Pini, approvato dalla Camera, in mentita applicazione di pronunce comunitarie che non chiedono certo una maggiore e diretta esposizione personale del giudice, ma soltanto e per profili limitati, quella dello Stato. In ogni caso si tratterebbe di un rimedio peggiore del male. Peraltro, con queste premesse, resterebbe pure la norma voluta dal leghista, consegnandoci un giudice che più che guardare al processo dovrebbe guardarsi dai processi, e dalle minacce delle parti e della politica. L’inatteso frutto al tramonto, dell’unica missione cui il cavaliere si sia davvero dedicato.

In realtà, se di riforme serie volesse parlarsi (ma non se ne vedono le condizioni) l’opzione dovrebbe essere ben altra. Lavorare ad un completamento del disegno costituzionale con una Corte disciplinare unitaria per tutte le magistrature, espressione dei diversi organi di autogoverno ma autonoma sul versante funzionale. Si chiarirebbe una volta per tutte che nessun giudice è un burocrate; e se deve senz’altro rispondere ad un rigoroso principio di professionalità e responsabilità, lo deve fare su un piano necessariamente diverso rispetto ad un dirigente ministeriale. Se c’è un’istanza che sale dalla società, è quella di coniugare verso l’alto i valori di responsabilità e indipendenza di tutti i giudici, prerogative irrinunciabili di un nostro diritto di cittadinanza libera e costituzionale. Ma è proprio qui che veniamo minacciati da questo progetto di legge ora partorito dalle scrivanie di Palazzo Chigi, con improvvida e sorprendente leggerezza.

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