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Maria Pia Guermandi
ll ritorno della civitas
20 Maggio 2013
Beni culturali
Il patrimonio culturale come baluardo di democrazia ed uguaglianza: un bene comune sotto attacco. Recensione dell'ultimo volume di Tomaso Montanari "Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane " (minimum fax)

Il patrimonio culturale come baluardo di democrazia ed uguaglianza: un bene comune sotto attacco. Recensione dell'ultimo volume di Tomaso Montanari "Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane " (minimum fax)
Civitas è il termine latino da cui deriva il nostro ‘città’, ma in latino indica, nella sua prima accezione, la cittadinanza e i diritti ad essa connessi. Le città che sono al centro dell’indagine di Tomaso Montanari nel suo ultimo libro Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane (minimum fax, 2013), sono appunto civitates, ossia l’insieme, inscindibile, di edifici, monumenti, chiese e cittadini.

Attraverso la denuncia dell’uso distorto del patrimonio culturale di molte delle nostre città più importanti, da Roma a Milano, da Napoli a Venezia, da Siena a Firenze e L’Aquila, il volume (che si presenta domani a Roma) ricostruisce l’inesorabile processo di privatizzazione cui i nostri beni culturali sono sottoposti. Da patrimonio di tutti, costituito nei secoli per la publica utilitas o comunque divenuto tale da lungo tempo, questo bene comune sta subendo una trasformazione radicale per quanto riguarda la funzione – da sociale ad economica – che ne comporta appunto la vendita, e più spesso svendita, a privati, spesso mascherati sotto la veste di fondazioni.

Come ha ben visto Salvatore Settis, la privatizzazione delle città, è l’altra faccia della privatizzazione della tutela (i cui costi continuano peraltro ad essere pagati dallo Stato, cioè da tutti noi). Il patrimonio culturale è elemento fondamentale dello spazio pubblico, e lo spazio pubblico rappresenta il cardine del concetto di città: come ben sanno i lettori di eddyburg, senza spazio pubblico non c’è città e i cittadini sono di fatto rigettati in una condizione di abitanti o turisti la cui funzione prevalente diviene il consumo. A partire da questi principi, si snoda il ragionamento di Montanari, sottolineando con forza come il degrado e la sottrazione pubblica di monumenti e siti non sia solo un danno culturale, pur gravissimo ed irrisarcibile, ma costituisca un fattore, non secondario, dell’involuzione della vita democratica attualmente in atto in Italia, e non solo. L’assalto ai beni comuni scatenato a livello mondiale dalla fase neoliberista, in Italia particolarmente si esprime attraverso un attacco ai beni culturali, particolarmente violento sui centri storici e non casuale vista l’importanza e la vastità del nostro patrimonio.

Ci avviamo verso un impoverimento radicale della civitas, non solo dal punto di vista patrimoniale quindi, ma da quello dei diritti, perché se i cittadini avranno sempre minori possibilità di accedere ad opere d’arte, monumenti, architetture, in maniera non superficiale, ne sarà diminuita la loro possibilità di conoscenza e consapevolezza della storia attuale e presente e quindi ne verranno drasticamente circoscritte le possibilità di formazione e crescita sociale.

Ne Le pietre e il popolo si dimostra esemplarmente come dietro la stucchevole affermazione, che però tanto piace ai privati, del patrimonio culturale come “volano per lo sviluppo” oltre alla vecchia ma mai rinnegata equivalenza fra beni culturali e petrolio dei tempi di De Michelis, ci sia soprattutto il vuoto pneumatico di idee sulla funzione di quel patrimonio.

Non sapendo più a che serve, politici di ogni parte e intellettuali a loro organici ne cercano affannosamente un uso possibile: inevitabile che in un’epoca di trionfo dell’economia sulla politica, quello mercantile non possa che essere il fine privilegiato. Da qui l’accento sempre più esasperato sulle attività di valorizzazione, intesa principalmente come marketing orientato al turista. E quindi mostre prive di qualsiasi retroterra scientifico ed eventi che utilizzano i nostri monumenti e siti come quinte di lusso. La tutela al servizio del mercato, in estrema sintesi.

Leggendoli tutti assieme gli orrori che i nostri politici hanno architettato e gli alti funzionari Mibac hanno permesso (o addirittura favorito) si coglie anche l’accelerazione spaventosa che questo processo di privatizzazione ha subito negli ultimi anni.

Questo libro è importante perché rompe il velo di ipocrisia che circonda questo ambito: storia dell’arte, monumenti, mostre, sono confinati sui media fra i temi di “alleggerimento”, quelli con cui si conclude, “in bellezza” appunto, un tg, rivelando in questo modo quale ne sia la considerazione generale: il bello come momento di svago, di evasione rispetto alle cose che contano sul serio.

Ed è importante perché nell’additare, con lucidissima spietatezza, le responsabilità, Tomaso Montanari non si ferma alle solite risposte: certo i politici, gli alti dirigenti Mibac brillano per ignoranza e arroganza, ma la responsabilità va cercata anche in chi questa ignoranza non ha saputo o voluto dissiparla. E quindi l’accademia in genere e gli storici dell’arte in particolare che solo in pochi casi hanno compreso come fosse prioritaria quella funzione di diffusione della conoscenza che costituisce il primo e più efficace strumento di tutela. Come ci aveva insegnato Andrea Emiliani: “La coscienza del possesso sociale è la sola garanzia valida ad allontanare lo spettro della distruzione”.

Ma l’importanza di Le pietre e il popolo risiede principalmente nella sua capacità di riadditarci il senso smarrito: beni culturali e paesaggio non servono a suscitare emozioni estetiche, tanto passeggere quanto superficiali, ma sono attrezzi poderosamente efficaci per capire il presente e la realtà, interpretandone la complessità senza banalizzazioni. A disposizione di tutti: esserne privati significa quindi essere più poveri non solo dal punto di vista culturale, ma anche da quello politico, essere insomma cittadini più indifesi perché meno armati contro le insidie della semplificazione e dell’omologazione.

E’ una battaglia politica, quindi quella a difesa del nostro patrimonio: non è un caso, allora, che fra i più scatenati fautori della valorizzazione mercantile dei beni culturali ci siano quegli esponenti della nostra classe politica più abili nell’uso dei media e nell’acquisizione di un consenso inteso fine e non come mezzo. La politica come marketing di sé stessi, così come il patrimonio culturale.

L’esempio paradigmatico di questa doppia equivalenza politica = cultura = marketing è proprio la città del fiorentino Montanari, dove da anni, con la connivenza e le omissioni dei più alti dirigenti del Ministero dei beni culturali, il patrimonio culturale, considerato alla stregua di una vera gallina dalle uova d’oro, è asservito a finalità di puro marketing e di visibilità personale, finalità del resto teorizzate nell’imbarazzante Stil Novo, pamphlet dell’attuale sindaco.

Triste ironia della sorte che ciò avvenga proprio nella città del Rinascimento, l’epoca nella quale, proprio attraverso la cultura, gli uomini erano riusciti a costruire potenti mezzi di emancipazione e a rendere ancora più vero il detto di origine medioevale secondo il quale “ l’aria della città renda liberi”.

Le pietre e il popolo si presenta domani, 21 maggio, alle h. 17, a Roma, presso la sede della Soprintendenza Archeologica a Capo di Bove, via Appia Antica, 222.
Ne parleranno, assieme all’autore, Paolo Berdini, Vezio De Lucia e Maria Pia Guermandi.

L'articolo è inviato contemporaneamente a L'Unità on-line, blog "nessun dorma"

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