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Nadia Urbinati
l’Italia, il 2 giugno e il senso della nazione
31 Maggio 2015
Difendere la Costituzione
Dopodomani non è la festa della nazione, ma quella della Repubblica. Oggi, nei tempi bui nei quali gli egoismi nazionalistici, il degrado della democrazia e il tradimento dei principi della Costituzione sembrano prevalere, non dimentichiamo il significato delle elezioni che condussero a quel risultato. E torniamo a votare.
Dopodomani non è la festa della nazione, ma quella della Repubblica. Oggi, nei tempi bui nei quali gli egoismi nazionalistici, il degrado della democrazia e il tradimento dei principi della Costituzione sembrano prevalere, non dimentichiamo il significato delle elezioni che condussero a quel risultato. E torniamo a votare.

La Repubblica, 31 maggio 2015

IL CONSOLATO generale d’Italia di New York offre alla comunità italiana e italo-americana un ricco programma di attività per le celebrazioni del 2 giugno. Cinema, storia, letteratura, arte: un panorama della cultura dell’Italia repubblicana che inorgoglisce e rende giustizia a quel che il nostro Paese ha realizzato in questi settant’anni di libertà politica. Le celebrazioni della Festa della Repubblica sono pubblicizzate come “Italian National Day”. Una scelta che lascia perplessi in questo tempo di rinascita del fenomeno nazionalista, soprattutto in Europa, dove alle forme populiste si affiancano in questi giorni le resistenze degli stati membri alla politica comunitaria delle quote di accoglienza dei rifugiati nel nome della priorità della nazione. Ma più ancora desta perplessità che si interpreti il 2 giugno come una festa genericamente nazionale, perché questo rischia di alterare il significato della Festa della Repubblica.

In quella prima domenica di giugno del 1946, gli italiani e le italiane decisero con un solenne plebiscito di voler essere una Repubblica democratica. Il loro fu un atto di fondazione che diede vita a un nuovo ordine politico. I cittadini e le cittadine furono per la prima volta nella storia della nazione italiana chiamati a decidere sull’ordinamento politico e la loro identità pubblica, a farsi volontà sovrana. La nazione italiana ha avuto tre ordinamenti dal tempo della sua unificazione nel 1861: quello monarchico costituzionale, quello fascista, e quello repubblicano. Il 2 giugno non si festeggiano tutti e tre questi ordinamenti, e in questo senso non è il giorno della nazione; se ne festeggia uno solo, l’ultimo. Se si fa perno sull’aggettivo “nazionale” si rischia di perdere il senso storico e politico di ciò che si festeggia: la nazione repubblicana e solo quella.

Soprattutto, si mette in secondo piano il significato politico del plebiscito del 2 giugno 1946 e si normalizza quell’evento eccezionale traducendolo con un termine onnicomprensivo e diversamente interpretabile. La nazione comprende infatti tutta la storia politica, sociale, culturale e civile del Paese, non soltanto quella parte che ha preso avvio nel 1946. Certo, come ci insegnano gli storici, lo Stato italiano nelle sue strutture burocratiche e anche nel suo personale amministrativo ha registrato una sostanziale continuità dal fascismo alla Repubblica. Non così la sovranità politica, che con quel plebiscito cambiò radicalmente, passando da una casa monarchica a milioni di cittadini che compongono il popolo, come recita la nostra Costituzione, esito diretto di quel plebiscito.

Un esempio può aiutare a comprendere meglio perché la Festa della Repubblica non é semplicemente una festa della Nazione: prima del 1946, le italiane erano sia parte della nazione che suddite dello Stato italiano, ma non erano soggetti politici liberi. Come loro anche molti uomini; ma nel caso delle donne l’esclusione politica era totale, e l’appartenenza alla stessa nazione non valse a correggerla.

La nazione non è stata capace di rappresentare le donne italiane come cittadine. Fu il plebiscito del 2 giugno che cambiò il loro status, insieme a quello dei loro connazionali e dell’intera società. Si trattò di uno spartiacque politico fondamentale, documentato dalle cronache che raccontano l’emozione con la quale le cittadine e i cittadini si recarono alle urne, moltissimi di loro per la prima volta in assoluto, tutti vestiti a festa come per le ricorrenze più importanti.
Quel sasso di carta che gettarono nell’urna abbatté la monarchia. Il plebiscito fu come una simbolica “decapitazione” del Re con il solo potere del voto e la decretazione della fine della vecchia nazione politica, quella nella quale solo alcuni erano liberi. Si trattò di una rivoluzione pacifica fatta da milioni di donne e di uomini che, uno dopo l’altro, espressero il loro voto, in silenzio, incolonnati, pazienti e con la dignità che viene dal sapersi sovrani e non sudditi. Nella fondazione della Repubblica convergevano anni di fatiche, di dissensi, di lotte cruente, di guerra civile. E il 2 giugno fu il punto di inizio di una nuova convivenza politica nella quale solo con il voto e in maniera pacifica si sarebbero decisi i governi e i leader. Per non smarrire questo senso di libertà politica, di potere del suffragio universale, festeggiamo il 2 giugno come giorno della Repubblica.

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