"Nel nostro momento di massimo splendore noi italiani siamo stati promotori di esperienze culturali straordinariamente innovative. Oggi siamo diventati i guardiani notturni del nostro eccezionale patrimonio, siamo davvero gli eredi più inadeguati di quella cultura che vogliamo tesaurizzare". E ancora: "Se vuoi congelare un luogo questo si trasforma in un parco a tema, i centri storici di Venezia e di Firenze sono esempi lampanti di un modo sbagliato di fare cultura e i visitatori si adeguano a questo mutato sentire e utilizzano i bellissimi ambienti urbani come fondali per foto ricordo". È questo il pensiero espresso in: "Italia reloaded. Ripartire con la cultura" (il Mulino), l´opera di Christian Caliandro, dottore di ricerca in Storia dell´Arte, e di Pierluigi Sacco, professore alla Iuav di Venezia. Alla Fondazione Bruno Kessler, per il Festival dell´Economia di Trento, i due autori si sono intrattenuti, il 4 giugno con Paolo Legrenzi, psicologo economico e professore alla "Ca´ Foscari" di Venezia, e con Tonia Mastrobuoni, giornalista de "La Stampa". "Purtroppo in Italia - ha esordito Tonia Mastrobuoni - il dibattito in merito alla conservazione dei beni culturali si sta concentrano sulla disponibilità dei fondi, si è perso di vista da molto tempo un tema cruciale, ovvero come la cultura viene fruita dal pubblico". Argomento centrale invece nel libro di Caliandro e Sacco che, sulla base anche di alcuni sondaggi effettuati sui visitatori dei musei italiani, esprimono l´idea di una fruizione passiva dei beni culturali. "La società italiana alla fine degli anni ´70 è precipitata in un vortice - ha commentato Christian Caliandro - in una sorta di smarrimento, di decomposizione, come rendono bene alcuni zombie movies del periodo. C´è stata, in sostanza, una sorta di rimozione del passato, di rimpianto e nostalgia, che si è tradotta in assenza di memoria. Questa in buona sostanza è la condizione propria dello zombie; noi viviamo fra le rovine di strutture costruite e prodotte da una cultura precedente". Negli ultimi anni, accanto a un fenomeno collettivo di rimozione, si è affiancato un modo di intendere la cultura strettamente economico: "Ormai le manifestazioni culturali si leggono in termini economici, di marketing - ha spiegato Paolo Legrenzi -, ovvero quante persone hanno visitato la mostra, quanti soldi sono stati incassati, quanto è stato l´indotto complessivo. È un fenomeno che riduce e svilisce la nostra cultura, che riduce i gusti delle persone alle scelte che essi fanno e a ricavare l´assetto culturale di un intero paese dalle preferenze delle persone". L´effetto sui nostri centri storici più belli è stato devastante: "Sono ormai ridotti a parchi tematici, a sfondi per le foto ricordo e per le cartoline - sono state le parole di Pierluigi Sacco -. Venezia ha 20 milioni di turisti all´anno, ma è una città fatta per ospitarne 100 mila ed è evidente l´impatto che questo può avere sulla sua sostenibilità. Si sta desertificando, sta perdendo la memoria di ciò che è, rimane solo un immenso bed&breakfast, una grandissima vetrina incapace di produrre nuovi significati, nuova cultura". Ma la strada d´uscita è indicata da alcuni esempi virtuosi: "Trento, ad esempio, è una delle culle italiane di un nuovo modello di sviluppo, in grado di produrre sistemi di contenuti - ha concluso Sacco -. La sintesi a cui guardare non è il binomio tra patrimonio culturale e turismo, ma quella fra patrimonio e information technology, ovvero l´utilizzo della tecnologia per trasmettere contenuti e informazioni. Dobbiamo creare energia nuova attorno a queste progettualità, come stanno facendo tutti i paesi emergenti, perché le opportunità culturali hanno effetti sull´innovazione, sulla coesione sociale, sul benessere; pensiamo ad esempio alla Corea del Sud, che sta investendo miliardi per creare una piattaforma culturale. Solo attraverso un percorso che intreccia information technology e cultura, quest´ultima potrà trasformarsi e diventare motore dell´economia".