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Giorgio Todde
L'isola che c'è e batte gli "sviluppitici"
7 Ottobre 2008
Sardegna
Riflessioni dopo la sconfitta del referendum berlusconiano per salvare le lottizzazioni della costa. Liberazione, 7 ottobre 2008

Non c'è sindaco-manager, assessore d'impresa, impresario che non ripeta ossessivamente la metafora del "volàno della crescita". In genere, però, della propria crescita.

Indomabili anime lottizzatrici vedono colli non costruiti e si lamentano che là non c'è "niente". La parola "niente" significa, nel vocabolario sviluppista, che non ci sono case, alberghi, garage, parcheggi, e che ci sono solo alberi, fiumi silenziosi e declivi. Colli senza volàno.

Una parte della Sardegna è già perduta strangolata dal cemento, i posti di lavoro promessi sono apparsi e scomparsi come il lampo del magnesio, le rendite sono rimaste sempre le stesse, le medesime persone, però sono ingrassate. Intanto, gomito a gomito con le imprese, alcuni sindaci e politici ogm, insistono nell'immaginare la nostra Isola come una Golconda del mattone e confondono tragicamente l'amministrare con l'edificare. Un mondo a testa in giù che ripete se stesso sino all'estinzione.

Ricostruire.

Beh, ricostruire, come dopo una guerra, il nostro paesaggio mezzo bombardato è un modo saggio e possibile di produrre un lavoro saldo e duraturo poiché la ricostruzione e la conservazione di un tessuto urbano devastato è una faccenda complessa che non ha un termine e richiede intelligenza, inventiva, fatica e pazienza.

Allora sì che la parola "valorizzare" assumerebbe un senso profondo e non nasconderebbe, come ora, la volontà volgare di edificare qualsiasi cosa, sino all'esaurimento del territorio.

I luoghi intatti hanno un valore immenso, anche economico, in sé e certo non li "valorizza" un'impresa edile che agisce senza regole. La politica sì, li può mettere in valore proteggendoli, come è accaduto in Sardegna, con leggi e norme.

Dare un valore ai quartieri desolanti che necessitano di una bonifica urbana, rendere guardabili - e quindi vivibili - le nostre periferie, ricostituirle e dargli un decoro che non hanno mai posseduto. Decostruire i nostri paesi dissennatamente "sviluppati". Beh, questo sarebbe rendere un valore perduto ai luoghi.

Chi definisce estetizzante - con una nota di disprezzo - questa visione del paesaggio e delle cose dimentica che i sensi con i quali noi percepiamo il paesaggio veicolano ogni nostra idea, fantasia, sicurezza, cultura e perfino la salute. E dimenticano che chi costruisce bei paesi e belle città non lo fa perché è un esteta decadente e ozioso ma per l'elementare bisogno di armonia che esiste in ciascuno di noi.

Moltiplicare i metri cubi all'infinito non è "sviluppo". Consolida alcune rendite, sì, e non è definibile "sviluppo".

Ragioniamo su cosa c'è di male nei 50.000 abitanti di Olbia che assume anabolizzanti demografici e svuota i paesi dell'interno, sul significato degli innumerevoli colombari-abitazione nel devastato hinterland di Cagliari, sul perché Sassari si è circondata di una periferia sconfortante, sul perché Nuoro detiene un primato di deformità urbana che vuole estendere al suo monte, sul perché i paesi dell'interno si desertificano sedotti dal brillio della bigiotteria costiera.

Il fallimento di chi ha voluto il referendum sulla legge "salvacoste" per annullarla è il fallimento degli sviluppisti - un goffo fallimento nella Gallura dove chi gridava di più contro il Piano Paesaggistico ha avuto torto - rappresenta, prima che una vittoria politica, il segno felice di una società riflessiva che non vuole uno sviluppo malato ed esige la protezione dei luoghi sacri nei quali si identifica.

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