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Maria Rita D'Orsogna
L'Isis e la risorsa petrolio
20 Novembre 2015
2015-La guerra diffusa
La strategia economica e l'organizzazione statuale della potenza che sta dietro il terrorismo. Comune.info, 20 novembre 2015

E così sono iniziati i raid statunitensi sui depositi petroliferi controllati dall’Isis. A differenza di Al-Quaeda che finanziava le proprie operazioni con donazioni di ricchi fanatici, l’Isis è capace di produrre petrolio da sé, di vendere le sue risorse e di guadagnarci anche 50 milioni di dollari al mese. Ci sono via vai di migliaia di camion al giorno, il cui valore può anche arrivare a 10mila dollari ciascuno. Dai campi della Siria e dell’Iraq vengono pompati circa 40mila barili al giorno, poi venduti fra i venti e i quarantacinque dollari sul mercato interno e tramite contrabbando. Una “Bonanza” petrolifera per controllare e gestire il Califfato.

L’Occidente sa dei depositi e delle operazioni petrolifere dell’Isis ma il timore è sempre stato di causare troppe vittime civili nei bombardamenti. Gli eventi di Parigi hanno ovviamente cambiato tutto, e in questi giorni si inaugura l’operazione Tidal Wave II. La Tidal Wave I era la missione della seconda guerra mondiale in cui furono colpiti i depositi petroliferi tedeschi in Romania per indebolire i nazisti. Prima degli attacchi, oggi come settant’anni fa, la popolazione è stata avvertita con appositi volantini dal cielo.

Ad oggi, novembre 2015, l’Isis controlla buona parte del territorio siriano e iracheno, con circa 10 milioni di persone sottomesse. Il modo in cui l’Isis gestisce il cosiddetto Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi è di dare abbastanza “autonomia” alle comunità locali tramite governatori regionali, detti walis, che devono seguire le linee generali decise dalla “shura”, una specie di gruppo di consiglieri a livello centrale dell’Isis.

Tre cose sono gestite dall’alto: il petrolio, le strategie per le attività sui social media e le operazioni militari. Le cose più importanti per loro sono i soldi, la propaganda e le azioni di guerra. E i soldi sono il petrolio. Anzi, con il petrolio sono bene organizzati e sempre più sofisticati perché sanno che tutto dipende dai barili che pompano da sottoterra. Gestiscono le riserve che hanno con apposite selezioni del personale, stipendi elevati, di anche mille dollari al mese, e dando priorità a tutti quelli che hanno già esperienza nelle operazioni petrolifere in altri parti del mondo non-Isis. Usano Whatsapp e derivati per contrattare con possibili neo-assunti e per convincerli a trasferirsi nello splendente Califfato.

Fino a poco tempo fa, le operazioni petrolifere dell’Isis erano gestite da Abu Sayyaf, un tunisino. È stato ucciso lo scorso maggio. La sua morte ha portato al sequestro di una enormità di documenti in cui traspare che la produzione e la vendita da ogni pozzo era registrata, e le vendite gestite in modo da ottimizzare i profitti. C’è pure un sistema di tassazione sui residenti. I ricavati vengono gestiti dalla polizia segreta dell’Isis, l’Amniyat, che punisce crudelmente chi abusa dei fondi.

In totale lo Stato Islamico gestisce più di 250 pozzi in Siria con circa 1.300 addetti, fra ingegneri ed operai. Hanno una rete di piccole raffinerie e pure una distribuzione organizzata su gomma. Non si sa esattamente quanti pozzi gestiscano in Iraq, ma si stima che siano centinaia. Si possono dire tante cose sull’Isis, ma una cosa secondo me è vera: hanno idee e strategie malate, ma chiare.

Dall’inizio hanno capito che il petrolio era importante per loro. Nel 2013 occupavano la parte occidentale del Paese, ma l’hanno abbandonata subito dirigendosi verso la parte orientale molto più ricca di greggio, e avendo come obiettivo primario quello di controllarne i giacimenti. Dai pozzi e dalle raffinerie si è passati a un controllo più radicale del territorio della Siria orientale. Da lì sono arrivati a Mosul, nel nord dell’Iraq, conquistata nel 2014. In quella occasione Abu Bakr al-Baghdadi, in un discorso chiese a tutti gli interessati di venire o tornare in Medio oriente a combattere per l’Isis ma che venissero anche ingegneri, dottori e persone altamente specializzate per aiutarli a gestire il petrolio.

A chi lo vendono questo petrolio? Non possono certo esportare direttamente sul mercato straniero, ma il petrolio viene venduto alle comunità sottomesse per fornire loro servizi indispensabili. La città di Mosul, per esempio, ha due milioni di abitanti e tutto il mercato della benzina e del diesel è nelle mani dell’Isis.

La cosa più triste è che pure i ribelli anti-Isis comprano la benzina dall’Isis. La gente dice di non avere altre alternative. Ospedali, negozi, trattori e pure i macchinari per tirar fuori i feriti dalle macerie dalle bombe sono alimentati dal petrolio e dal diesel dell’Isis.

Ovviamente c’è poi il contrabbando che passa principalmente dalla Turchia. Da qui il petrolio riesce ad arrivare su mercati più distanti, più legali. A volte usano le donne come corrieri perché si pensa che destino meno sospetti nella polizia. Si vede che quando serve, c’è la parità dei sessi e alle donne possono essere affidati ruoli importanti, eh? Di fronte a tutto questo sfacelo, mi chiedo come sarebbero le nostre vite se invece che a petrolio le nostre società andassero a sole, a vento e a buonsenso.

Questo articolo è stato ripreso sda un blog del Fatto quotidiano.
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