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Andrea Fabozzi
L’invenzione dei senatori “semi” eletti
19 Agosto 2015
Difendere la Costituzione
«Costituzione. Per venire fuori dal pantano della riforma, il governo prepara una "mediazione" che peggiora ancora il nuovo bicameralismo. E imbroglia sulle bocciature dei professori. ».
«Costituzione. Per venire fuori dal pantano della riforma, il governo prepara una "mediazione" che peggiora ancora il nuovo bicameralismo. E imbroglia sulle bocciature dei professori. ».

Il manifesto, 19 agosto 2015 (m.p.r.)

Sena­tori eletti dal popolo o scelti da (e tra) il per­so­nale poli­tico di seconda fascia - come sono i con­si­glieri regio­nali rispetto ai par­la­men­tari? A set­tem­bre la com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali del senato ripren­derà a lavo­rare sul dise­gno di legge di revi­sione costi­tu­zio­nale Renzi-Boschi e dovrà imboc­care una delle due strade. Quin­dici mesi fa la stessa com­mis­sione, all’epoca del primo pas­sag­gio in par­la­mento della riforma, aveva scelto l’elezione diretta, appro­vando un ordine del giorno del leghi­sta Cal­de­roli. Ma il governo non era d’accordo. E così il lavoro del senato è andato avanti igno­rando quell’ordine del giorno e met­tendo le basi per la riforma com’è oggi, con i sena­tori scelti all’interno dei con­si­gli regio­nali. Un pre­ce­dente utile da ricor­dare a chi oggi, quando si chiede l’elezione diretta, risponde che non si può ripar­tire sem­pre da capo.

Allora i leghi­sti stril­la­rono che non si poteva igno­rare l’ordine del giorno per l’elezione diretta, chia­ma­rono in causa la giunta per il rego­la­mento del senato. E lo stesso fece il sena­tore Mauro quando, imme­dia­ta­mente dopo quel voto, fu sosti­tuito nella com­mis­sione da un altro sena­tore del suo gruppo, ma favo­re­vole alla riforma. Iden­tica sorte toccò a due sena­tori della mino­ranza Pd, che però non si oppo­sero alla rimo­zione. In ogni caso la giunta non decise, lo strappo fu sanato con il silen­zio. E siamo a oggi, quando davanti alla com­mis­sione di palazzo Madama c’è il testo nel frat­tempo modi­fi­cato dalla camera, ma non nel punto della com­po­si­zione del senato — se non in una parola che può ser­vire come cavallo di Troia per ammet­tere modi­fi­che sostan­ziali. Il punto è ancora quello: futuri sena­tori eletti dal popolo oppure no?

L’orientamento dei sena­tori attuali non è cam­biato, e resta favo­re­vole all’elezione diretta. Lo dimo­stra la conta degli emen­da­menti. Sono sei i gruppi che hanno pre­sen­tato pro­po­ste per il ritorno al senato elet­tivo, e poi ci sono i 28 della mino­ranza Pd: in totale 170 sena­tori, una comoda mag­gio­ranza asso­luta. Ma sono numeri che dicono poco, per­ché è da esclu­dere che i rap­pre­sen­tanti del gruppo delle auto­no­mie saranno con­se­guenti con i loro emen­da­menti, è assai dif­fi­cile che il gruppo dei dis­si­denti Pd resti com­patto ed è impro­ba­bile che Forza Ita­lia non trovi il modo di rinun­ciare alle sue posi­zioni per aiu­tare Renzi. La strada che la com­mis­sione si avvia a imboc­care allora non è né quella dell’elezione popo­lare diretta né quella dell’elezione di secondo grado, ma una terza via di con­fusa media­zione. L’elezione «semi diretta». O secondo la ver­sione di uno dei regi­sti del com­pro­messo, il sena­tore ed ex mini­stro delle riforme Qua­glia­riello, «con­ta­mi­nare il nuovo senato con il voto popolare».

«Con­ta­mi­nare», non far eleg­gere diret­ta­mente i sena­tori, per­ché Renzi e Boschi (insieme) non inten­dono cedere fino a ripor­tare in mano ai cit­ta­dini la pos­si­bi­lità di sce­gliere i sena­tori. Grande spon­sor della deci­sione è la Con­fe­renza delle regioni (pre­si­dente Ser­gio Chiam­pa­rino) che ha sosti­tuito l’associazione dei comuni nel ruolo di guar­dia del corpo della riforma (all’inizio Renzi aveva pen­sato a un senato com­po­sto inte­ra­mente da sin­daci, ora ne restano 21). In più il pre­si­dente del Con­si­glio ha biso­gno di un argo­mento sem­plice con il quale con­durre la cam­pa­gna per il refe­ren­dum con­fer­ma­tivo che si terrà alla fine del pros­simo anno (al più pre­sto) e che certo non potrà ruo­tare attorno a que­stioni com­pli­cate come il bilan­cia­mento dei poteri o la pro­ce­dura di for­ma­zione delle leggi. «Sena­tori non più eletti sì o no?» Slo­gan che può ulte­rior­mente sem­pli­fi­carsi in «Sena­tori senza sti­pen­dio sì o no?», come ha fatto inten­dere di voler chie­dere agli ita­liani Renzi. Intanto, pre­vi­dente, ha già scelto lo slo­gan della pros­sima festa nazio­nale dell’Unità: «C’è chi dice sì».

Ha scritto a Repub­blica Gior­gio Napo­li­tano, padre nobile della costi­tu­zione Renzi-Boschi, che non si può tor­nare (restare) all’elezione diretta dei sena­tori per­ché a quel punto sarebbe «inso­ste­ni­bile» sot­trarre al senato il potere di dare la fidu­cia al governo e si rica­drebbe nel bica­me­ra­li­smo pari­ta­rio. Un argo­mento iden­tico ha usato uno dei cava­lieri del ren­zi­smo, il capo­gruppo dei depu­tati Ettore Rosato: «Tor­nare all’elezione diretta com­por­te­rebbe, come ci dicono pra­ti­ca­mente tutti i costi­tu­zio­na­li­sti inter­pre­tati, la neces­sità di rein­tro­durre il voto di fidu­cia anche al senato». L’affermazione è inte­res­sante, per­ché il cir­colo stretto ren­ziano non cita mai a suo favore i costi­tu­zio­na­li­sti, anzi usa disprez­zarli chia­man­doli «pro­fes­so­roni». Infatti è falsa. Il dibat­tito costi­tu­zio­nale è evi­den­te­mente assai varie­gato, ma di 32 esperti ascol­tati dalla prima com­mis­sione del senato tra la fine di luglio e l’inizio di ago­sto (non tutti, ma quasi, costi­tu­zio­na­li­sti), la tesi così come espo­sta da Rosato è stata soste­nuta solo da tre pro­fes­sori (Fal­con, Luciani e Tondi della Mura). E ciò nono­stante anche loro, come «pra­ti­ca­mente tutti», hanno evi­den­ziato la stra­nezza del nuovo senato imma­gi­nato da Renzi e Boschi, che si pro­pone come «rap­pre­sen­ta­tivo delle isti­tu­zioni ter­ri­to­riali» (arti­colo 2) ma è dise­gnato in modo da far «pre­va­lere il cir­cuito poli­tico par­ti­tico» (con que­ste parole Cer­rone). Un senato di non eletti che ha tra i suoi poteri quello di par­te­ci­pare alla pro­ce­dura di revi­sione costi­tu­zio­nale è, per citare alcuni dei giu­dizi nega­tivi ascol­tati in com­mis­sione, «incoe­rente», «ibrido», «anfibio».

Mas­simo Luciani, pro­fes­sore della Sapienza non ostile al dise­gno di Renzi, ha spie­gato che meglio sarebbe un’elezione diretta dei sena­tori da parte dei cit­ta­dini in con­co­mi­tanza con l’elezione dei con­si­glieri regio­nali -i sena­tori a quel punto potreb­bero essere con­si­glieri regio­nali a tutti gli effetti ma anche no. Carlo Fusaro, pro­fes­sore a Firenze tra i più con­vinti soste­ni­tori della riforma, giu­dica «bal­zana» l’idea di dele­gare alla legge di attua­zione il cri­te­rio con il quale «semi-affidare» la scelta dei senatori-consiglieri al voto popo­lare, «con­ta­mi­nare» direbbe Qua­glia­riello. Eppure è pre­ci­sa­mente que­sta l’intenzione del governo, che non vuole toc­care il prin­ci­pio dell’elezione di secondo grado per non ria­prire il capi­tolo della com­po­si­zione del senato nel pros­simo, ine­vi­ta­bile, ritorno del dise­gno di legge alla camera.

La solu­zione pre­fe­rita nei ragio­na­menti ago­stani della mag­gio­ranza è quella del vec­chio «listino», cioè un elenco di con­si­glieri regio­nali «spe­ciali» che una volta eletti (e se eletti) avreb­bero diritto a essere nomi­nati in secondo grado tra i sena­tori. Il che avrebbe un van­tag­gio per i par­titi: poter sce­gliere i nomi del listino, e dun­que i pos­si­bili sena­tori, anche affi­dan­doli for­mal­mente alla sele­zione popo­lare. Del resto sul punto sono in pochi a poter van­tare asso­luta coe­renza. Anche il sena­tore Gotor che oggi è tra i più in vista nel fronte dei 28 Pd favo­re­voli all’elezione diretta, un anno fa nel corso del primo pas­sag­gio sostenne que­sta solu­zione, defi­nen­dola «un secondo grado raf­for­zato e qua­li­fi­cato». Ma allora l’Italicum, la nuova legge elet­to­rale, era solo una minaccia.

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