Il manifesto, 19 agosto 2015 (m.p.r.)
Senatori eletti dal popolo o scelti da (e tra) il personale politico di seconda fascia - come sono i consiglieri regionali rispetto ai parlamentari? A settembre la commissione affari costituzionali del senato riprenderà a lavorare sul disegno di legge di revisione costituzionale Renzi-Boschi e dovrà imboccare una delle due strade. Quindici mesi fa la stessa commissione, all’epoca del primo passaggio in parlamento della riforma, aveva scelto l’elezione diretta, approvando un ordine del giorno del leghista Calderoli. Ma il governo non era d’accordo. E così il lavoro del senato è andato avanti ignorando quell’ordine del giorno e mettendo le basi per la riforma com’è oggi, con i senatori scelti all’interno dei consigli regionali. Un precedente utile da ricordare a chi oggi, quando si chiede l’elezione diretta, risponde che non si può ripartire sempre da capo.
Allora i leghisti strillarono che non si poteva ignorare l’ordine del giorno per l’elezione diretta, chiamarono in causa la giunta per il regolamento del senato. E lo stesso fece il senatore Mauro quando, immediatamente dopo quel voto, fu sostituito nella commissione da un altro senatore del suo gruppo, ma favorevole alla riforma. Identica sorte toccò a due senatori della minoranza Pd, che però non si opposero alla rimozione. In ogni caso la giunta non decise, lo strappo fu sanato con il silenzio. E siamo a oggi, quando davanti alla commissione di palazzo Madama c’è il testo nel frattempo modificato dalla camera, ma non nel punto della composizione del senato — se non in una parola che può servire come cavallo di Troia per ammettere modifiche sostanziali. Il punto è ancora quello: futuri senatori eletti dal popolo oppure no?
«Contaminare», non far eleggere direttamente i senatori, perché Renzi e Boschi (insieme) non intendono cedere fino a riportare in mano ai cittadini la possibilità di scegliere i senatori. Grande sponsor della decisione è la Conferenza delle regioni (presidente Sergio Chiamparino) che ha sostituito l’associazione dei comuni nel ruolo di guardia del corpo della riforma (all’inizio Renzi aveva pensato a un senato composto interamente da sindaci, ora ne restano 21). In più il presidente del Consiglio ha bisogno di un argomento semplice con il quale condurre la campagna per il referendum confermativo che si terrà alla fine del prossimo anno (al più presto) e che certo non potrà ruotare attorno a questioni complicate come il bilanciamento dei poteri o la procedura di formazione delle leggi. «Senatori non più eletti sì o no?» Slogan che può ulteriormente semplificarsi in «Senatori senza stipendio sì o no?», come ha fatto intendere di voler chiedere agli italiani Renzi. Intanto, previdente, ha già scelto lo slogan della prossima festa nazionale dell’Unità: «C’è chi dice sì».
Ha scritto a Repubblica Giorgio Napolitano, padre nobile della costituzione Renzi-Boschi, che non si può tornare (restare) all’elezione diretta dei senatori perché a quel punto sarebbe «insostenibile» sottrarre al senato il potere di dare la fiducia al governo e si ricadrebbe nel bicameralismo paritario. Un argomento identico ha usato uno dei cavalieri del renzismo, il capogruppo dei deputati Ettore Rosato: «Tornare all’elezione diretta comporterebbe, come ci dicono praticamente tutti i costituzionalisti interpretati, la necessità di reintrodurre il voto di fiducia anche al senato». L’affermazione è interessante, perché il circolo stretto renziano non cita mai a suo favore i costituzionalisti, anzi usa disprezzarli chiamandoli «professoroni». Infatti è falsa. Il dibattito costituzionale è evidentemente assai variegato, ma di 32 esperti ascoltati dalla prima commissione del senato tra la fine di luglio e l’inizio di agosto (non tutti, ma quasi, costituzionalisti), la tesi così come esposta da Rosato è stata sostenuta solo da tre professori (Falcon, Luciani e Tondi della Mura). E ciò nonostante anche loro, come «praticamente tutti», hanno evidenziato la stranezza del nuovo senato immaginato da Renzi e Boschi, che si propone come «rappresentativo delle istituzioni territoriali» (articolo 2) ma è disegnato in modo da far «prevalere il circuito politico partitico» (con queste parole Cerrone). Un senato di non eletti che ha tra i suoi poteri quello di partecipare alla procedura di revisione costituzionale è, per citare alcuni dei giudizi negativi ascoltati in commissione, «incoerente», «ibrido», «anfibio».
Massimo Luciani, professore della Sapienza non ostile al disegno di Renzi, ha spiegato che meglio sarebbe un’elezione diretta dei senatori da parte dei cittadini in concomitanza con l’elezione dei consiglieri regionali -i senatori a quel punto potrebbero essere consiglieri regionali a tutti gli effetti ma anche no. Carlo Fusaro, professore a Firenze tra i più convinti sostenitori della riforma, giudica «balzana» l’idea di delegare alla legge di attuazione il criterio con il quale «semi-affidare» la scelta dei senatori-consiglieri al voto popolare, «contaminare» direbbe Quagliariello. Eppure è precisamente questa l’intenzione del governo, che non vuole toccare il principio dell’elezione di secondo grado per non riaprire il capitolo della composizione del senato nel prossimo, inevitabile, ritorno del disegno di legge alla camera.
La soluzione preferita nei ragionamenti agostani della maggioranza è quella del vecchio «listino», cioè un elenco di consiglieri regionali «speciali» che una volta eletti (e se eletti) avrebbero diritto a essere nominati in secondo grado tra i senatori. Il che avrebbe un vantaggio per i partiti: poter scegliere i nomi del listino, e dunque i possibili senatori, anche affidandoli formalmente alla selezione popolare. Del resto sul punto sono in pochi a poter vantare assoluta coerenza. Anche il senatore Gotor che oggi è tra i più in vista nel fronte dei 28 Pd favorevoli all’elezione diretta, un anno fa nel corso del primo passaggio sostenne questa soluzione, definendola «un secondo grado rafforzato e qualificato». Ma allora l’Italicum, la nuova legge elettorale, era solo una minaccia.