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Peter Schneider
L’integrazione degli immigrati la nostra unica arma contro il terrorismo
26 Luglio 2016
2015-La guerra diffusa
«Siamo un paese di immigrazione e la Cdu per troppo tempo lo ha negato. L’ideologia del Califfato offre un’illusione consolatoria a chi si sente spaesato

«Siamo un paese di immigrazione e la Cdu per troppo tempo lo ha negato. L’ideologia del Califfato offre un’illusione consolatoria a chi si sente spaesato»

La Repubblica, 26 luglio 2016 (c.m.c.)

La Germania è sotto shock. Negli ultimi anni non avevamo mai sperimentato una serie di attentati di una tale violenza. Eravamo nel mirino dello Stato islamico come gli altri Paesi occidentali, ma in confronto a Francia e Belgio eravamo stati risparmiati, grazie a una partecipazione molto cauta alla guerra contro l’Is.

Ora questo “privilegio” è storia passata. Tutti i tedeschi hanno ormai la percezione che ogni giorno qualcuno potrebbe uccidere anche qui. Dopo l’attentato di venerdì scorso a Monaco di Baviera pure opera di uno squilibrato - la polizia ha ricevuto oltre 4mila segnalazioni e ha dovuto rispondere a ognuna di esse. La città, dalla stazione centrale ai mezzi pubblici, era paralizzata. I cittadini erano in preda al panico. Erano tutti convinti che ci fosse un attentatore vicino a loro. Tutto ciò rende la misura di quanto sia facile per il terrorismo immobilizzare una città grande come Monaco.

Ora si cerca di capire cosa sia successo, di scavare nei dettagli. Gli attentati di Wuerzburg, Monaco, Reutlingen e ora Ansbach sono tutti abbastanza diversi, è vero, ma ci si deve chiedere che senso abbia distinguere tra un attentato ispirato dallo Stato islamico e un altro causato da una individuale condizione patologica.

Ovviamente lo Stato islamico è pronto ad appropriarsi del gesto di qualsiasi folle killer. Solo un’ideologia violenta e tremenda come quella che oggi offre lo Stato islamico può portare un giovane piccolo criminale, come erano alcuni dei recenti attentatori, a diventare killer di massa. Non importa che siano donne, vecchi o bambini. Infatti, quest’ideologia islamofascista ha creato un modello, quasi uno standard, che ispira gli attentatori di provenienza musulmana.

L’ideologia dello Stato islamico offre l’illusione di partecipare a un gran momento storico, alla ricostruzione del Califfato che punisce gli infedeli. Ciò non vuol dire che gli attentatori siano militanti attivi dell’Is, ma che l’Is alimenta un clima di violenza dove gli atti di esecuzione di massa diventano normali.

Anche i media hanno un ruolo importante nel causare quest’effetto valanga di attentati a catena. Una volta chiesi a un attentatore del “movimento berlinese del 2 giugno” (il gruppo terrorista anarchico nato negli Anni Sessanta in memoria dello studente Benno Ohnesorg, ucciso da un agente di polizia durante le proteste a Berlino Ovest contro l’arrivo dello Scià di Persia), quale sarebbe stato lo strumento più efficace contro il terrorismo. Mi rispose senza un momento di esitazione: vietare di scriverne sui giornali.

Certo, in un Paese democratico, non possiamo seguire questa raccomandazione, ma in un certo senso aveva ragione. Perché tutti questi folli responsabili di attentati hanno una cosa in comune: vogliono diventare famosi, vogliono avere una grande scena sul palcoscenico del mondo. Non possiamo ignorare – per “correttezza politica“ – che gli attentatori di Wuerzburg, Monaco, Reutlingen e Ansbach erano tutti migranti provenienti da Paesi musulmani.

Ed è un fatto che non può che cambiare inevitabilmente la percezione dei migranti musulmani. Il ventisettenne siriano che ieri sera si è fatto esplodere nel centro di Ansbach aveva presentato richiesta di asilo in Germania. Gli era stata respinta un anno fa. Le autorità gli avevano comunque consentito di rimanere in Germania a causa della guerra in Siria. In Germania vi sono 140mila casi simili, cioé, richiedenti asilo la cui domanda è stata rifiutata.

E ora molti si chiederanno perché vivono ancora qui, perché il governo non li ha ancora espulsi. E il partito di estrema destra Afd (Alternativa per la Germania, in tedesco Alternative für Deutschland) cavalcherà questi eventi.

Bisogna però evitare che la risposta agli attentati sia un clima di diffidenza nei confronti dei migranti. I responsabili di uccisioni sono solo una minima percentuale dei rifugiati arrivati con la recente ondata d’immigrazione. Un parte degli attentatori erano persone cresciute qui, ma che non hanno trovato lavoro o non sono riuscite a integrarsi. Il loro retroterra musulmano culturale è in conflitto con la cultura occidentale da decenni. E in un momento di crisi esistenziale si chiedono: ma a chi appartengo, a questo mondo occidentale corrotto o alla grande comunità dell’Islam, da cui provengo? È allora che trovano rifugio nell’ideologia del Califfato.

L’unico modo di rispondere al terrorismo è l’integrazione. La Germania è un Paese di migranti, ma la Cdu, il partito della democrazia cristiana, lo ha negato per troppo tempo. L’ex cancelliere Helmut Kohl nel 2002 disse distintamente: «Non siamo un Paese di immigrati ». Non è vero, lo siamo da quarant’anni, ma il governo ha attuato politiche in materia in ritardo. Le scuole, ad esempio, hanno iniziato a offrire corsi di lingua tedesca a immigrati solo da un paio d’anni. Troppo tardi. Una cosa è certa. Se non promuoveremo l’integrazione di questi giovani uomini senza orientamento, avremo molti più attentati.

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