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Marco Bascetta
L’impoverimento europeo che fa paura
30 Aprile 2014
Articoli del 2014
«I difen­sori dell’attuale archi­tet­tura comu­ni­ta­ria e delle sue regole com­pe­ti­tive, insistendo sull’intangibilità di poli­ti­che i cui effetti disa­strosi sono sotto gli occhi di tutti, non fanno che ali­men­tare le pulsioni dellpopulismo».

«I difen­sori dell’attuale archi­tet­tura comu­ni­ta­ria e delle sue regole com­pe­ti­tive, insistendo sull’intangibilità di poli­ti­che i cui effetti disa­strosi sono sotto gli occhi di tutti, non fanno che ali­men­tare le pulsioni dellpopulismo».

Il manifesto, 30 aprile 2014

Com­men­tando il crollo della fidu­cia nell’Unione euro­pea (nel 2013 al 28% tra i cit­ta­dini ita­liani) Ilvo Dia­manti sot­to­li­neava su La Repub­blica di lunedì come l’attaccamento all’Europa soprav­vi­vesse essen­zial­mente per la paura di quel che ci potrebbe acca­dere rima­nen­done fuori. Non è un motivo spre­ge­vole e non si disco­sta poi tanto dalla ragione che ispirò il pen­siero dell’unità euro­pea alla fine della seconda guerra mon­diale: la paura che gli orrori vis­suti dal vec­chio con­ti­nente potes­sero ripe­tersi ancora una volta. Con­verrà allora ripro­porre insi­sten­te­mente all’opinione pub­blica euro­pea qual­cosa di cui spa­ven­tarsi, qual­cosa di real­mente minaccioso.

Per il primo mag­gio i neo­na­zi­sti tede­schi annun­ciano marce in nume­rose città (Rostock, Dort­mund, Dui­sburg, Essen , Kai­ser­lau­tern, Plauen e Ber­lino). Di per sé il fatto non desta ecces­siva pre­oc­cu­pa­zione essendo la Repub­blica fede­rale un paese for­te­mente vac­ci­nato con­tro l’estremismo di destra. Ma è l’eco delle parole d’ordine che pre­pa­rano l’evento, le asso­nanze, le paren­tele fra­seo­lo­gi­che tra gli slo­gan dei nazio­na­li­sti ger­ma­nici e le ester­na­zioni di alcune for­ma­zioni poli­ti­che euro­pee nume­ri­ca­mente con­si­stenti e che si richia­mano non al fasci­smo ma alla demo­cra­zia, che dovrebbe susci­tare spa­vento. «Il nostro popolo prima di tutto», «lavoro e giu­sto sala­rio per tutti i tede­schi», «Ogni tra­sfor­ma­zione comin­cia da te, se sei insod­di­sfatto, se vor­re­sti cam­biare qual­cosa e non vuoi vigliac­ca­mente arren­derti al destino, devi fare qual­cosa. Noi fac­ciamo qual­cosa! Noi ci pren­diamo cura!» Que­sta pre­mi­nenza dell’elemento nazio­nale, l’ostilità verso gli stra­nieri, il richiamo a una par­te­ci­pa­zione in prima per­sona che è in realtà affi­da­mento a un capo, attra­ver­sano con mag­giore o minore inten­sità, più o meno aper­ta­mente esi­bite, anche le prime mise­re­voli bat­tute della cam­pa­gna elet­to­rale dell’euroscetticismo ita­liano. Dal mani­fe­sto di un can­di­dato ber­lu­sco­niano il quale pro­mette «in Europa, prima l’Italia» ai «pugni sul tavolo» dei 5 Stelle che dipin­gono la poli­tica euro­pea come una rissa da osteria.

Una par­tita nella quale il pro­prio paese deve imporsi sbrai­tando sugli altri. Lad­dove non è un movi­mento euro­peo, ma una sin­gola forza poli­tica nazio­nale ad avan­zare la pre­tesa di «rivol­tare l’Europa come un cal­zino». Met­tia­moci poi la riva­lu­ta­zione pre­si­den­ziale del mili­ta­ri­smo e la scelta dei due marò trat­te­nuti in par­ti­bus infi­de­lium, come sim­bolo dell’orgoglio nazio­nale, per com­ple­tare un qua­dro dav­vero sinistro.

D’altro canto, i difen­sori dell’attuale archi­tet­tura comu­ni­ta­ria e delle sue regole com­pe­ti­tive, insi­stendo sull’intangibilità di poli­ti­che i cui effetti disa­strosi sono sotto gli occhi di tutti, non fanno che ali­men­tare que­ste pul­sioni. Lo spau­rac­chio che agi­tano per con­tra­starle (fuori dall’Europa o mutan­done inci­si­va­mente le regole si sta­rebbe ancora peg­gio di così) sbia­di­sce ogni giorno di più, a van­tag­gio delle sirene nazio­na­li­ste, che pos­sono avva­lersi di evi­denti dati di realtà.

Coe­ren­te­mente con una Unione rima­sta in larga misura ostag­gio degli stati-nazione, le ele­zioni per il par­la­mento di Stra­sburgo si gio­cano tutte sulla misu­ra­zione dei rap­porti di forze interni ai sin­goli paesi.

Come spesso accade, è ancora una volta Beppe Grillo a met­tere in chiaro senza troppi giri di parole l’assoluta irri­le­vanza della dimen­sione sovra­na­zio­nale: «Se vinco le euro­pee salgo al Qui­ri­nale e pre­tendo l’incarico». Il pugno vero, insomma, lo si batte sul tavolo di Gior­gio Napolitano

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