Per capire che cosa diventerà davvero l’Unione, come governerà questo centro-sinistra pieno di buone intenzioni, ma anche di facce difficilmente digeribili, bisogna guardare a Roma. Certo. Ma forse bisogna anche dare un’occhiata alle città, alle regioni dove gli uomini di questa maggioranza sono già all’opera. La Liguria, per esempio. Ecco che allora una vicenda, apparentemente di rilievo solo locale, assume un significato nazionale.
È una storia di cemento – tanto, centinaia di migliaia di metri cubi – che rischia di lasciare una traccia devastante e indelebile nel panorama ligure, seconda, forse, soltanto alla rapallizzazione del dopoguerra[1].
Proprio come racconta Fabio Fazio: “Sì, oggi noi viviamo un secondo dopoguerra. Ogni volta che torno nella mia Savona non posso fare a meno di notare il progressivo innalzarsi delle costruzioni. E non capisco… continua a sorprendermi che in tutti, istituzioni, imprenditori, ma anche negli stessi cittadini, l’idea di modernità debba per forza passare attraverso il costruire, l’edificare”. Aggiunge: “Al di là dei singoli progetti, che bisognerebbe conoscere nei dettagli, c’è una cosa che mi colpisce sempre: com’è possibile che tutti noi quando partiamo per le vacanze andiamo a cercare l’angolo isolato, incontaminato, l’hotel de charme… ma poi… poi nei luoghi dove viviamo riusciamo a realizzare l’esatto contrario?”. E conclude: “Oggi è proprio come dopo la guerra. Come durante il boom. Ricordo che allora l’aspirazione della mia famiglia era quella di andare a vivere nelle palazzine nuove a ridosso del fiume. Comunque. La mentalità era quella di costruire a ogni costo, a prescindere dalle ragioni, sociali e urbanistiche, per le quali lo si faceva”.
L’ambiente. L’urbanistica. Ma ci si potrebbe addentrare anche in settori diversi, perché il nodo della questione è anche un altro: la rete – difficilmente districabile – di rapporti politici, finanziari, di potere, insomma, che lega insieme amministratori e onorevoli di destra e di sinistra, imprenditori onnipresenti e dalle molte bandiere. Che gode dell’appoggio di professionisti, giornalisti, professori ansiosi, come diceva Flaiano, di correre in soccorso del vincitore. Non c’è foglia che si muova in Liguria senza il consenso di questo “cartello”. E al centro di tutto c’è lui, Claudio Burlando, vicino a D’Alema, calato alla presidenza della Regione dopo due prove non proprio esaltanti come sindaco di Genova e ministro dei Trasporti.
E qui questa storia locale diventa di nuovo nazionale: in Liguria il centro-sinistra è ormai praticamente sicuro di vincere. Tanto da portare un ex dirigente dei Ds locali, in un gustoso episodio avvenuto nel Porto Antico di Genova, a puntare l’indice su un passante esclamando: “Vedi, quello, se voglio, te lo faccio diventare sindaco”. Sì, il centro-sinistra ligure sa di poter fare il buono e il cattivo tempo. Così, invece di approfittarne per proporre volti nuovi e rinnovare la classe dirigente, decide piuttosto di imporre i propri uomini. Alle regionali del 2005 è la volta di Burlando. I sondaggi indicano che altri candidati avrebbero chance di vittoria anche maggiori, ma il centro-sinistra – i Ds, soprattutto – va dritto per la sua strada. Non importa che una parte della società civile e quel che resta dei movimenti chiedano di far sentire la loro voce. Burlando viene candidato. Burlando vince, certo non stravince. E da quel giorno comincia quello che ormai molti definiscono il “burlandismo”. I tratti distintivi non sono facili da individuare, per lo meno a livello di impostazione ideale. Fare: l’essenziale è essere concreti, fattivi, anche se l’interesse che ispira l’azione non è sempre immediatamente individuabile. Le regole? Non c’è, senza dubbio, la tracotanza del berlusconismo, ma qualcuno ricorda proprio Burlando pronunciare una frase significativa in un’assemblea pubblica. Si discuteva l’approvazione di un criticato progetto urbanistico. E Burlando propose la sua soluzione: i vincoli del piano regolatore “vanno superati con atti foglia a foglia”. Disse proprio così l’allora vicesindaco pidiessino. Era il dicembre 1992.
L’edilizia. L’urbanistica. Il terreno d’incontro ideale è proprio questo.
“La Liguria è lo sbocco al mare per quindici milioni di persone”, teorizza Burlando. La crisi economica della regione è evidente, bisogna puntare sul turismo, sostiene il governatore. E indica nei porticcioli una soluzione. A qualcuno, però, i progetti – da molte centinaia di milioni di euro – sembrano piuttosto il cavallo di Troia per realizzare colate di cemento. Per far sbarcare gli immobiliaristi. Per portare denaro (ma nelle tasche di chi finirà?). Già, prima arrivano i posti barca, poi, immancabilmente, quelli auto e quindi gli appartamenti. Perfino i grattacieli.
Basta guardare i dati dei quindici progetti in via di approvazione o realizzazione: in tutto sono la bellezza di 9.807 posti barca. Che di per sé già significano occupare una bella fetta della costa. Ma non basta, dietro lo yacht si nasconde il mattone: 37.822 metri cubi di edilizia residenziale, 51.601 di uffici e negozi, 19.122 di alberghi, 33.918 per l’artigianato. Più, ovviamente, le auto: 11.007 posti che da queste parti valgono quanto l’oro. Forse di più. In concreto significa una manovra che modificherà per sempre il paesaggio ligure.
Le località interessate? Ventimiglia, Bordighera, Diano Marina, Alassio, Loano, Savona, Albissola, Varazze, Arenzano, Santa Margherita, Portovenere, tanto per citarne solo alcune. Luoghi dove lo spazio ancora libero di accesso al mare si misura in metri. Forse in centimetri. Di sicuro in euro.
Burlando la spiega così: “Era il 1996 quando iniziai ad occuparmi diporti come ministro dei Trasporti. Nel vedere i numeri della portualità turistica italiana rimasi un po’ imbarazzato, quando appresi che c’erano meno posti barca in 9 mila chilometri di costa italiana che in 200 chilometri di Costa Azzurra. Fu allora che avviammo alcune operazioni significative per il rilancio del settore”.
E dieci anni dopo, diventato presidente della sua regione, Burlando sta vedendo realizzati i propri sogni. Anche se, tra porticcioli, preesistenti, in fase di realizzazione, progettati o anche solo pensati, la Liguria sembra non preoccuparsi dell’ultimo bollettino Onu che ci avverte di come tra vent’anni metà delle coste del Mediterraneo saranno cementificate. E a dire il vero non sembrano preoccuparsene neppure i liguri, ad eccezione di qualche voce isolata. D’altra parte il segreto di questa frenesia costruttrice, che per qualcuno potrebbe addirittura prefigurare un ritorno al “teardismo”[2], pare proprio essere la pax burlandiana in cui amministrazioni di tutti i colori, imprenditori e professionisti, si incontrano nel nome del rilancio dell’economia turistica. Che poi si concretizza quasi esclusivamente sotto forma di porticcioli e imponenti interventi immobiliari.
Un business che non è solo locale. Partiamo da Imperia, la città in cui Burlando ha presenziato alla posa della prima pietra del nuovo porto da 1392 posti barca (più, si intende, 1887 posti auto e 40 mila metri cubi di edifici). Accanto a lui il ministro Claudio Scajola (il reuccio del Ponente ligure, l’altra grande potenza locale), le autorità cittadine di centro-destra e i rappresentanti della compagine societaria che è soprattutto nelle mani dell’Acquamare di Gaetano, Francesco e Ignazio Bellavista Caltagirone (quest’ultimo indagato nell’inchiesta Antonveneta). Tout se tient, come si dice.
Cosa realizzerà in 40 mesi la Porto Imperia spa? Quello che dovrebbe diventare uno dei più grandi scali turistici del Mediterraneo. Con una spesa di circa 90 milioni di euro si creeranno 1.392 posti barca, e poi più di cento appartamenti e ancora box auto, esercizi commerciali, officine di riparazione e, dulcis in fundo, un campo da golf a due passi dal mare. Di fatto un nuovo quartiere per una città che sembra aver scelto la strada di un turismo elitario che rischia di avere poche o nessuna ricaduta per la collettività.
Ma sarà sicuramente un affarone per un sodalizio che sembra assai affiatato. Quello tra Bellavista Caltagirone e Beatrice Parodi, erede di una dinastia di costruttori sanremesi e vedova del deputato dell’Udc Gianni Cozzi. L’accoppiata è presente anche a Civitavecchia per l’intervento sul porto storico, mentre ad Imperia è stata “benedetta” dal presidente Claudio Burlando accompagnato dal savonese Carlo Ruggeri, figura chiave di questa nuova stagione immobiliare: un presidente provinciale delle Coop che dopo il record di licenze edilizie – 500 mila metri cubi – rilasciate nei suoi due mandati come sindaco di Savona, cos’altro poteva andare a fare se non l’assessore regionale all’Urbanistica?
D’altra parte l’attivismo di Beatrice Parodi è stato pubblicamente elogiato da Burlando nel corso di un convegno all’ultimo Salone nautico organizzato dal Sole-24 Ore. E pazienza se l’amico Prodi ha detto al presidente della Liguria che avrebbe preferito “vedere sulle spiagge più ombrelloni che porticcioli”. La rotta da seguire è quella indicata da Beatrice Parodi che – dopo aver firmato il megaporticciolo di Marina degli Aregai a Santo Stefano – sta per realizzare altri scali a Bordighera, ma soprattutto a Ventimiglia, dove le banchine mettono a rischio una delle rare spiagge di sabbia naturale, conosciuta come le Calandre, per la cui difesa sono già sorti due comitati. L’amministrazione comunale di centro-destra e quella regionale di centro-sinistra hanno assicurato che non ci saranno danni ambientali, ma che il porticciolo si farà, anche perché nasce con intenzioni elitarie e comporterà investimenti per 80 milioni. A parte l’immancabile porzione residenziale (92 appartamenti in villette) ci saranno 572 posti per grandi yacht al costo medio di centomila euro. L’obiettivo dichiarato è quello di soffiare diportisti vip niente meno che alla vicinissima Montecarlo.
Una crociata che condividono Scajola e Burlando, ma che sta creando qualche problema all’interno dei Ds del Ponente. Ad Imperia, per esempio, una larga parte del partito ha sostenuto nelle primarie per il candidato alle provinciali – perse dal centro-sinistra – Oscar Marchisio, che, pur uscito sconfitto, ha coagulato il malessere di fronte a scelte come quella del porto di Imperia (“Un affare da milioni per l’aggiudicatario dell’impresa, una manciata di spiccioli per il Comune, senza dimenticare che Caltagirone si è aggiudicato prima il 33 per cento delle quote con una strana e blindatissima operazione fatta passare in consiglio comunale ed ha poi ottenuto i lavori di realizzazione evidentemente grazie alle sue ottime referenze”). Ma c’è anche qualche disagio per gli elogi nei confronti di “nostra signora del diporto”, come è stata ribattezzata dai suoi oppositori. Beatrice Parodi è stata infatti di recente assolta in primo grado (ci sarà l’appello) per i presunti abusi edilizi legati all’hotel Portosole sulla passeggiata a mare di Sanremo. Marco Andracco, avvocato e vicesindaco Ds della città del Festival, dice che, aldilà dell’esito processuale, “per me quell’albergo resta una mostruosità ambientale”.
E di ecomostro, prima di arrendersi di fronte alle sentenze del Tar e alle potenti volontà trasversali di forze politico-imprenditoriali, parlò alcuni anni fa Italia Nostra a proposito del cosiddetto progetto Bofill, dal nome dell’architetto catalano Ricardo Bofill che ha ridisegnato il quartiere affacciato sulla darsena di Savona. C’era da riutilizzare un’enorme area occupata fino a metà anni Novanta da quell’Italsider che aveva consentito a Savona di fregiarsi del titolo di città rossa operaia nonostante fosse accerchiata, soffocata quasi, da località “bianche” a vocazione turistico-commerciale. Ma adesso di quel passato va cancellato anche il ricordo, con un’operazione più di stravolgimento che di riconversione: così oltre alle vecchie acciaierie si è deciso di abbattere un antico e grigio silos di cemento. Per restituire uno spazio alla città conservandone con un progetto culturale le radici industriali? No, per realizzare un intervento residenziale mastodontico con un crescent (un palazzo muraglia disposto a semicerchio), un grattacielo da quasi cento metri e altre costruzioni sparse, ma comunque tutte a pochi metri di distanza dal porto turistico della Torretta. Promotori del business tre potenti locali: Raffaello Orsero – re della frutta importata, con 1.700 dipendenti e 1.600 milioni di euro fatturati nel 2003 – Paolo Campostano, operatore marittimo, e Aldo Dellepiane, l’industriale che rilevò l’Italsider morente e divenne proprietario delle aree. Un’inchiesta nei primi Novanta, sul passaggio dei terreni da pubblici a privati, avviata dall’allora procuratore capo Renato Acquarone – poco tempo dopo promosso in Cassazione – venne accantonata e poi archiviata negli anni successivi.
Va aggiunto che l’attivismo degli imprenditori ha trovato terreno fertile tra gli amministratori. Fu infatti nei due mandati del sindaco Ds Carlo Ruggeri – dal 1998 al 2005, quando divenne membro della giunta regionale di Claudio Burlando – e con la supervisione del riconfermato deputato diessino Massimo Zunino, in precedenza assessore comunale all’urbanistica, che il progetto Bofill decollò. E neppure in senso figurato, visto che in città tutti ricordano il volo Genova-Barcellona su un aereo privato sul quale salirono amministratori e soprintendenti vari, per un viaggio di lavoro nello studio dell’architetto catalano. Il tutto senza dimenticare la collaborazione di Cristoforo Canavese, dieci anni fa agguerrito deputato di Forza Italia, oggi apprezzato – a sinistra – presidente dell’Autorità portuale savonese che è, manco a dirlo, sostenitore anche dell’altro grande intervento in ebollizione, il porticciolo della Margonara al confine con Albissola con tanto di grattacielo ricurvo a strapiombo sul mare: una specie di banana alta 120 metri. A disegnarlo Massimiliano Fuksas, caro alla sinistra.
Bofill e Fuksas, architetti di fama, non c’è dubbio. Perché il “ricatto” psicologico è un po’ questo: abbiamo sempre detto che la nostra Savona è in crisi, che siamo provinciali, e adesso vi opponete quando arrivano i grandi nomi internazionali? Niente di meglio, come simbolo di questa supposta lotta a chi penserebbe in piccolo, di due torri di cento metri. Di cemento e cristallo. Come New York, peccato solo che qui siamo a Savona. Per rendersi conto veramente di quello che sta succedendo bisogna, però, guardare i plastici. C’è il porto storico di Savona, poche centinaia di metri di fronte, in mezzo a vecchi magazzini appena recuperati e sorvegliato dalla torre medievale alta meno di venti metri. Un equilibrio architettonico delicatissimo, su cui all’improvviso crescono due torri che tagliano l’orizzonte e schiacciano verso il basso la città vecchia. Beato chi comprerà gli appartamenti sospesi su tutta la Liguria. Ma gli altri, quelli che vivono nelle strade là sotto?
A Savona la vicenda Bofill ha messo in evidenza le diverse anime della sinistra. Ha provocato grossi malumori. Prima di tutto con una clamorosa spaccatura all’interno di Rifondazione comunista, partito che dopo 12 anni di opposizione ha deciso di schierarsi al fianco dell’amministrazione cittadina. Patrizia Turchi, psicologa e volto noto del partito, è andata via sbattendo la porta giusto mentre il suo segretario, Franco Zunino, diventava assessore all’ambiente proprio nella giunta regionale Burlando. Turchi è diventata consigliere comunale d’opposizione per il partito “A sinistra per Savona”, esperimento ideato con Franco Astengo, politologo e animatore della sinistra radicale fin dagli anni Settanta.
I due non sono teneri: “Siamo di fronte”, dicono, “ a un governo della città oligarchico e di stampo corporativo che sta completando l’opera del teardismo, consegnando il lungo processo di deindustrializzazione alla speculazione edilizia”. E Domenico Buscaglia, ingegnere e a capo di un’altra lista civica: “Hanno concentrato nelle loro poche aree quasi duecentomila metri cubi di edifici, tanti da riempire il mercato edilizio savonese per vent’anni”.
Ma l’opposizione alla cementificazione è stata pressoché sconfitta. E adesso non le resta che praticare un’operazione di memoria infarcita di qualche freccia avvelenata. Intanto in città sono pochi quelli che non cedono al richiamo del mattone. Tra i tanti anche Simone Rossi, figlio di Ennio, geometra capo del comune.
Simone è uno dei soci della srl Sea Extension creato assieme a Patrizia Giallombardo, apprezzatissima allenatrice della squadra nazionale di nuoto sincronizzato nonché moglie del riconfermato deputato Massimo Zunino (Ds). E che per la riviera sia in corso una nuova stagione del mattone lo conferma anche l’arrivo di un’altra società. Si chiama Colonie Cremonesi, come quelle che sorgevano a Bergeggi di fronte al mare, e ha come capofila Ottavio Riccadonna, al vertice dell’omonima azienda vinicola. Riccadonna ha acquisito delle quote proprio dalla Sea Extension della moglie del deputato. Con l’industriale di Alessandria ci sono ingegneri e commercialisti che hanno sviluppato il progetto per vip di Colletta di Castelbianco nell’entroterra di Albenga, primo paese medievale telematico, e poi Vincenzo Ricotta, presidente di Arcigola e Slowfood di Savona, e un avvocato genovese, Luca Catalano, residente a Montecarlo con società immobiliari registrate a Londra. Tra le proprietà di extralusso che la Realinvest di Catalano cerca di vendere agli inglesi ci sono anche alloggi esclusivi di Alassio realizzati da Luigi Zunino, nessuna parentela con i politici locali, ma ricchissimo immobiliarista rimasto coinvolto con Ricucci e soci nell’indagine di Antonveneta.
Come a dire: anche fuori regione si è capito che in Liguria per i costruttori è iniziata una lunga estate. Lo aveva intuito, e con buon anticipo, Gianpiero Fiorani: come hanno spiegato i magistrati milanesi, l’ex patron della Banca Popolare di Lodi aveva creato società che, grazie a un gruppo di imprenditori amici, seppur in maniera occulta, controllava. Società che potevano servire sia per fare buoni affari che per far girare soldi di origine e destinazione incerta. Ambrogio Marazzina e Aldino Quartieri, costruttore il primo e commercialista il secondo, tra i più intimi del banchiere arrestato, avevano dato vita a società ad Imperia, Alassio, Celle Ligure. A Imperia nel mirino c’era l’ex area Italcementi, che doveva trasformarsi in un maxi intervento residenziale e commerciale. Fiorani si era portato in elicottero l’allora ministro Claudio Scajola e l’imprenditore Caltagirone per sorvolare la città e in particolare le aree del nuovo porto e dell’Italcementi. A Celle Ligure il business era rappresentato da una palazzina con 400 posti auto a poche decine di metri dal mare. Operazione benedetta dalla giunta di centro-sinistra, che nonostante indagini della procura e sequestri ha anche approvato una variante per sanare alcuni abusi.
Sì, in Liguria si fanno buoni affari. Fiorani lo sapeva. Non si possono dimenticare i verbali degli interrogatori del numero uno della Popolare di Lodi e del suo braccio destro Gianfranco Boni quando sottolinea gli ottimi rapporti con il senatore ligure Luigi Grillo (Forza Italia, indagato nell’indagine Antonveneta) e con la banca Carige nel cui consiglio siedono Alessandro Scajola (fratello dell’ex ministro Claudio) e il figlio dell’onorevole Vito Bonsignore (europarlamentare dell’Udc indagato anche lui per Antoveneta). Ma Fiorani parla anche dei rapporti con Marcellino Gavio, l’industriale noto per aver ceduto alla provincia di Milano (governata dal centro-sinistra) la sua quota nell’autostrada Serravalle, suscitando un vespaio politico con Gabriele Albertini. Con la plusvalenza realizzata (176 milioni), ha lasciato intendere l’ormai ex sindaco di Milano, Gavio avrebbe appoggiato la scalata di Unipol a Bnl.
Ecco, questo Gavio. La cui borsa della spesa in Liguria conta già autostrade e aree portuali, e da ultimo anche lo stabilimento chimico, rilevato dal fallimento, di Ferrania in Valbormida, dove dovrebbe sorgere anche una centrale a carbone finanziata con soldi statali. Soci di Gavio nell’avventura, gli armatori Messina e Giovanni Gambardella. Lo stesso Gambardella (un passato da manager pubblico, prima nell’acciaio, alla guida dell’Ilva, e poi come consulente del comune di Trieste, quando il sindaco era Riccardo Illy, che adesso lo ha voluto anche nella regione Friuli Venezia Giulia) che “riconvertitosi” da tempo a imprenditore vuole realizzare il porticciolo turistico al confine di Albissola con la megatorre di Fuksas.
E chissà se l’architetto più amato dalla sinistra immagina che tra i suoi committenti c’è anche l’imprenditore di Nizza Pierre Noiray, che tre anni fa venne arrestato perché, come scrisse Nice Matin, fu accusato di creare fondi attraverso false consulenze per porticcioli in Tunisia e, guarda caso, in Italia. Soldi che, secondo l’accusa dell’epoca, servivano a foraggiare un parlamentare di destra fedelissimo di Nicolas Sarkozy.
E in quest’orgia nautica nessuno vuole restare tagliato fuori. Anche Pietra Ligure, di nuovo riviera savonese, ha già affidato il suo progetto – 250 posti barca e 800 box auto – ad un architetto genovese, Vittorio Grattarola, ex assessore pidiessino all’Urbanistica di Genova. Erano i primi anni Novanta, Grattarola finì in carcere durante Tangentopoli, per poi essere assolto con formula piena così come il suo sindaco di allora, Claudio Burlando.
A chi prova a opporsi non resta che istillare qualche preoccupante dubbio, come fa Vittorio Coletti, ordinario di Lettere e filosofia all’università di Genova: “Con questa smania gigantistica che la contraddistingue (tipica per la verità di tutte le speculazioni), si stanno per ripetere sul mare gli stessi orrori che si sono fatti in terraferma dagli anni Sessanta in poi: urbanistica da periferia, tessuto sociale assente e scadente, città fantasma, senza centro, senza anima. Ora, chi non sarebbe disposto a rinunciare a qualcuno dei guadagni che pure ci sono stati in termini di microeconomia locale pur di tornare a vedere un pezzo di verde a Arma di Taggia o a non vedere i tristi casermoni di Ceriale o Spotorno?”. Secondo Coletti la nautica da diporto “abbasserà ancora di più il già miserevole livello qualitativo delle presenze in Liguria, portando un tipo di pubblico analogo a quello che sarebbe attirato da maxiparcheggi riservati a gipponi di 5 metri”. E ancora: “Dopo la devastante esperienza di un’edilizia ipertrofica, senza gusto e senza garbo, che ha offerto una villeggiatura anonima in squallidi loculi costosi, come non interrogarsi sulla compatibilità con quel che resta del territorio ligure di impianti portuali troppo grandi, spaventose cattedrali nel deserto come gli Aregai o inaccessibili enclave cementificate come quella che si prospetta a Imperia, nell’unico fronte mare ancora accessibile in piena città? Se è vero che non si può dire solo no e non si trova niente di meglio, per rilanciare il turismo in Liguria, che favorire i parcheggi delle barche, perché non porsi almeno rigidissimi vincoli di dimensione, non evitare di costruire i porti nelle insenature naturali (come in parte è avvenuto ad Alassio), non evitare che diventino garage preclusi a chi non ha la chiave, non curare l’edilizia di servizio secondo criteri di discrezione e di eleganza? Ma la discrezione e l’eleganza interessano ancora a qualcuno?”.
Ma a sollevare dubbi sul nuovo boom edilizio ligure è anche il clamoroso addio di Renzo Piano al progetto più importante di Genova: gli Erzelli. Deve – o forse doveva – essere la trasformazione di un’area destinata al deposito container in un distretto dell’alta tecnologia. Qualcosa di simile al polo nato vicino a Nizza. Un’operazione dal nome ambizioso, “Leonardo”, come il genio che sapeva coniugare bellezza e tecnica. In sostanza: la spianata di oltre 350 mila metri quadrati vicino all’aeroporto doveva essere utilizzata per imprese hi-tech, laboratori di ricerca e formazione per il 70 per cento, mentre il 30 per cento doveva essere coperto da attività complementari (residenze, servizi, cultura, strutture sportive). Un complesso che avrebbe dovuto ospitare un campus universitario e attirare diecimila addetti per 250 imprese. Poi qualcosa è cambiato: banche e immobiliaristi entrano nella società che gestisce l’operazione. Viene approvata una consistente variazione di destinazione d’uso degli immobili. Grazie ai nuovi criteri la quota di residenziale passa dal 5 al 25 per cento, il verde (originariamente al 15 per cento) e i negozi (10 per cento) insieme non superano ora il 5. Resta sempre al 70 per cento la quota di edilizia a uso industriale, destinata alle imprese hi-tech. Ma con la clausola che anche questa potrà diminuire passando al 60 per cento. A favore, neanche a dirlo, dell’edilizia residenziale. Non basta. Le abitazioni non saranno più ospitate nelle torri progettate da Piano, ma in più vendibili villette. È troppo, e l’architetto decide di lasciare. “Gli Erzilli sono come il monte Olimpo per Genova”, racconta Piano, “sulla sua sommità io avevo progettato i centri di ricerca, università, incubatori di aziende e… certo, anche una porzione di abitazioni, tutto circondato da un grande prato che guardava il mare e la città. Ma poi si sono messi d’accordo con un costruttore che vuole circondare il prato con villette vista-mare. Me ne sono andato”.
Mattone, cemento. Ma, in fondo, soprattutto una particolare visione della politica che anima parte del centro-sinistra. Resta da capire se sarà quella destinata a prevalere, in Liguria, ma soprattutto nel resto del paese. Genova-Italia?
[1] A cavallo degli anni Sessanta-Settanta, Rapallo, cittadina del Levante genovese incastonata tra mare e collina, è vittima di una grande colata di cemento. Una speculazione edilizia tanto selvaggia, e contemporanea a quella del ponente sanremese denunciata da Italo Calvino, da diventare un neologismo citato dai dizionari.
[2] Alberto Teardo, socialista, è il presidente della Regione Liguria che viene arrestato – e condannato – nei primi anni Ottanta. La sua vicenda anticipa secondo molti la Tangentopoli di dieci anni dopo. Teardo era a capo di una rete di intrecci e interessi che attraversavano la politica, l’imprenditoria – in particolare il settore edilizio – la criminalità, ed il suo nome compare in documenti sequestrati a Licio Gelli (n.d.a).