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Grégoire Allix
«L’idea di spazio pubblico liberamente accessibile è sempre più minacciata»
15 Dicembre 2008
Un’intervista sui problemi di fondo della città contemporanea globalizzata al vincitore del «Grand prix national d'urbanisme» David Mangin. Le Monde, 14 dicembre 2008 (f.b.)

Titolo originale: «La notion d'espace public libre d'accès et gratuit est de plus en plus menacée»

L'architettoDavid Mangin riceverà il 16 dicembre il principale premio nazionale per l’urbanistica dalle mani del ministro per l’ecologia, l’energia, lo sviluppo sostenibile e la pianificazione territoriale, Jean-Louis Borloo. Mangin irrompe sulla scena mediatica nel 2004, con la vittoria nel discusso concorso per la riqualificazione dello spazio delle Halles, a Parigi.

Nello stesso anno, pubblica un libro dal titolo La Ville franchisée : formes et structures de la ville contemporaine(editore La Villette). A sessant’anni David Mangin si fa apostolo di una “urbanistica del possibile” contro il fantasma della eco-città ideale.

Secondo lei, cos’è una città sostenibile?

La città sostenibile (durable, durevole - ndr) è quella in grado di cambiare per adattarsi a mutate condizioni economiche, sociali, ecologiche. É una città permeabile, l’esatto contrario degli ambienti seclusi che diventano sempre più diffusi in tutto il mondo. Una città che consente di accedere quotidianamente ai servizi essenziali come la scuola o i negozi senza bisogno di prendere la macchina. Dove l’idea di spazio pubblico liberamente e gratuitamente accessibile non è più minacciata.

Si riferisce alle "gated communities", quei quartieri privati e chiusi?

Non solo. Le « gated communities» sono uno schermo che ci impedisce di vedere il nostro quotidiano. Il complesso dei sistemi di circolazione automobilistica che produce gigantesche énclave inaccessibili: aree commerciali, parchi divertimenti, quartieri residenziali. Dagli Stati Uniti alla Cina, si vedono moltiplicarsi città in « franchsing» dalla sovrapposizione di prodotti urbani standardizzati racchiusi da svincoli e corsie veloci.

In città come Dubai o Shanghai questa logica è spinta agli estremi, a costituire universi paralleli autoreferenziali. Il che non produce affatto città ludiche, contrariamente a quanto sbandierato: non c’è nulla di più noioso di una metropoli che non si può percorrere.

Quanto lei descrive vale assai poco per la città storica.

La città storica non rappresenta più del 5% delle aree urbane in Francia. Ma egualmente dentro il tessuto antico i nuovi piani di mobilità spostano la circolazione verso i viali trasformando le vie in un intrico di sensi unici, ricreando una logica distributiva e un sistema per enclaves di neo-villaggi.

Come opporsi a questo fenomeno?

Non è facile. Le strategie degli operatori del sistema stradale e quelle degli specialisti in geomarketing convergono a creare un territorio entro il quale scompare la geografia, una città univoca, piene di cose maligne. Non serve a nulla criticare gli stili di vita autoreferenziali e securitari: non ti ascoltano. La cosa che può farsi sentire, sono le conseguenze delle grandi enclave in termini di dipendenza dall’auto, di costi economici, di esclusione urbana dei più giovani e dei più anziani.

Cosa prevede?

La questione della dispersione urbana è ancora molto difficile da tradurre nei testi, l’ha chiaramente mostrato il Grenelle dell’ambiente. Occorrerebbe concentrarsi sulle grandi riserve fondiarie disponibili nei territori già urbanizzati o da urbanizzare, costruire una rete intermedia che consenta di densificare e di creare diversificazione funzionale mescolando abitazioni, attività commerciali, attività…. Se la gente è così attratta da delle case individuali mal concepite, è anche responsabilità nostra. Non abbiamo saputo rinnovare la forma della città densa.

Una risposta alla crisi fondiaria e finanziaria consisterebbe nel permettere ai proprietari di suddividere e densificare i loro lotti per costruirvi altre abitazioni o, meglio, una piccola fabbrica o un ufficio. Ciò aiuterebbe a fare evolvere delle periferie sparpagliate in direzione del modello del faubourg che consente l’affermarsi di forme libere e di funzioni diversificate.

Gli ecoquartieri vanno di moda. Che ne pensate?

Se l’ecoquartiere è una struttura di isolamento che obbliga a parcheggiare la propria automobile nel quartiere a fianco, il suo interesse è limitato. Il problema è in primo luogo dui creare legami più stretti fra i quartieri. Occorre evitare che i requisiti ambientali raggiunti in certi edifici occultino un più generale peggioramento della vita o della città. Il problema prioritario rimane quello del disegno generale della città. E’ in un raggio di 50 km che occorre ripensare i problemi e le scelte. Il territorio vasto consente di integrare le relazioni con le nuove centralità, con la natura, con l’agricoltura periurbana, con l’industria.

Lei lavora sul tema della Grande Parigi con il gruppo Descartes, una delle dieci equipe internazionali di architetti incaricate di riflettere sull’avvenire della metropoli.

Il nostro filo conduttore potrebbe essere, in tempo di crisi, l’ottimizzazione: ottimizzazione delle risorse naturali (la Senna, la Marna, le foreste....) per rispondere alla sfida del riscaldamento globale; ottimizzazione delle infrastrutture migliorando il sistema dei trasporti pubblici intraperiferico e sviluppando una rete intermedia per veicoli elettrici (moto, scooter etc) che consentirà di introdurre con più decisione questa città permeabile; infine, ottimizzare le risorse fondiarie esistenti o ‘virtuali’, ad esempio attorno alle future stazioni del TGV, sui giganteschi parcheggi, frazionando i lotti e, in maniera decisa ed estesa, attorno ai boschi e presso i fiumi..

A queste condizioni potremo dare una risposta ai problemi concreti degli abitanti della regione e al loro desiderio di vivere e investire nel lungo periodo su questa metropoli.

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